di Giovanni Cominelli
Tre convinzioni soggiacciono al lungo testo della “Fratelli tutti”, che è il titolo della “Lettera circolare” – è questo il significato filologico del lemma “enciclica” – che papa Francesco ha fatto pervenire agli abitanti del Pianeta:
a) se il mondo si trova nelle drammatiche condizioni attuali, una qualche responsabilità la portiamo tutti e ciascuno sulle spalle;
b) la storia degli uomini è sottoposta ad una rottura imprevista, irreversibile;
c) nessuno, singolo individuo o popolo, ne sortirà da solo.
Poiché la strada che abbiamo davanti è impervia, l’Enciclica si propone come un viatico intellettuale per il nostro cammino, “come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!”. E’ una carta topografica.
Questo approccio spiega perché la “Fratelli tutti” non sia un documento di dottrina sociale, come lo sono state altre Encicliche – la Rerum Novarum del 1891, la Quadragesimo anno del 1931, l’Octogesima adveniens del 1971, la Laborem exercens del 1981, la Centesimus Annus del 1991 – volte a definire ufficialmente una dottrina e a condannarne altre.
Perciò ha poco senso indugiare con accanita acribia filologica sul testo, quasi fosse l’autobiografia intellettuale di Bergoglio, per verificare se e in che misura egli abbia introdotto dei passaggi autocritici rispetto ai risvolti populistici e illiberali della sua argentina “teologia del popolo” o delle modifiche rispetto alla tradizionale dottrina cattolica della funzione sociale della proprietà privata. Marcello Veneziani lo ha accusato di stare più a sinistra di Lenin e di Mao. Lo stesso fanno Il Giornale e La Verità, che confondono, non si sa se solo per ignoranza crassa o anche per malafede ostinata, la teologia della liberazione con “la teologia del popolo” di Carlos Scannone e di Hernan Benitez – il confessore di Evita Peron – che ha influenzato il linguaggio di Bergoglio e la sua idea del popolo come poliedro che sostituisce la “classe” e “gli ultimi” della teologia marxista.
In questa Enciclica il Papa “si limita” a riproporre verità antiche almeno quanto il Vangelo in un contesto storico presente radicalmente nuovo.
La talpa del Covid-19 ha scavato sotto il XXI secolo e lo ha fatto collassare. Secondo l’OMS, circa 800 milioni di esseri umani sono stati finora infettati. I numeri sono in crescita. La terra promessa del vaccino che sconfiggerà il virus non è ancora in vista, l’umanità si aggira tuttora nell’arido deserto dell’Esodo. La pandemia ha acuito i conflitti geopolitici tra popoli e stati, non ha reso gli uomini più miti e più generosi. Ha reso più difficile e faticosa la condizione umana.
Se la tentazione è quella di stare rannicchiati in posizione fetale sotto la linea dell’orizzonte per paura del futuro, l’Enciclica ci invita a sollevare lo sguardo sui mutamenti che la pandemia ha già prodotto nell’animo umano e nelle strutture economiche, sociali, culturali, istituzionali e politiche. Se gli individui, le società, i partiti e i governi camminano come sonnambuli sul ciglio dell’ignoto, istupiditi dall’immediatezza, l’Enciclica chiama al risveglio. E’ un tentativo, che muove dalla fede cristiana, di fondare una speranza per tutti sulla coscienza di una comunità terrestre di destino. Quella fondata sull’ ”andrà tutto bene” è stata troppo simile ad un fuoco fatuo.
Il punto di partenza di una simile costruzione è la presa d’atto che la pandemia non è un castigo divino, ma “la realtà che geme e si ribella”. L’Enciclica cita lo straordinario verso dell’Eneide (I, 462): “Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”, traducibile modernamente più o meno così: “Stillano lacrime le cose e l’esser-per-la-morte urta la mente”.
E perciò incomincia con il metterci davanti i bivi del presente.
Ne illumina parecchi: tra “le ombre di un mondo chiuso” e il “pensare e generare un mondo aperto”; tra “populismo” e “popolarismo”; tra “ un modello di globalizzazione che mira a omogeneizzare, dominare e depredare” e “un modello di globalizzazione che rispetti la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo”; tra un’interpretazione fondamentalista, fanatica e intollerante della religione e una religione rispettosa delle differenze; tra il sapere storico e il piacere dell’emozione immediata; tra una politica come potere personale e puro marketing e una politica come “amore politico”…
Il Papa denuncia “le ideologie senza pudore”, “…che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni. A tale scopo hanno bisogno di giovani che disprezzino la storia, che rifiutino la ricchezza spirituale e umana che è stata tramandata attraverso le generazioni, che ignorino tutto ciò che li ha preceduti”. Quali ideologie?
1- In primo luogo quella versione del neo-liberismo, che affida alla mano invisibile del mercato la soluzione dei problemi sociali e che illude e si illude che il benessere tracimi spontaneamente dalle classi privilegiate verso il basso così come le briciole cadono dalla tavola del ricco epulone a beneficio di Lazzaro. La realtà è che le diseguaglianze e la loro autopercezione sono aumentate nel mondo. Il meccanismo capitalistico globale ha certamente fatto accedere – si calcola – circa 800 milioni di persone oltre la soglia della povertà, ma ha anche allungato le distanze all’interno del mondo globalizzato, generando crescenti tensioni sociali e politiche.
2- La seconda ideologia è quella del populismo, che investe sulle paure, sugli istinti più bassi, sulla svalutazione delle istituzioni e della legalità.
3- La terza è quella del nazionalismo esasperato e xenofobo, che non riesce a prendere atto che “le migrazioni saranno il futuro del mondo” e che solo una loro regolazione sovrannazionale sarà in grado di governarle.
4- La quarta è quella del totalitarismo, le cui radici stanno nella negazione del carattere trascendente della dignità umana.
Papa Francesco prende di mira la globalizzazione così come si è venuta realizzando: “la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”. In effetti, non siamo mai stati così connessi, ma mai così reciprocamente lontani, “in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza. Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori”. L’avanzare di questo globalismo – Google già nel 2016 controllava il 90% del mercato dell’informazione –
“favorisce normalmente l’identità dei più forti che proteggono sé stessi, ma cerca di dissolvere le identità delle regioni più deboli e povere, rendendole più vulnerabili e dipendenti. In tal modo la politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali che applicano il ‘divide et impera’”.
Il testo dell’Enciclica va letto per intero, che uno sia credente o no, perché è denso di temi: il ruolo delle religioni, che devono essere attente alla dimensione politica dell’esistenza, però nella forma della fraternità universale, in cui lo era Charles de Foucauld; la ripresa della triade rivoluzionaria, libertà, eguaglianza, fraternità, che ha fatto dire al fantasioso filo-trumpiano Mons. Carlo Maria Viganò che l’Enciclica sembra scritta da un massone o da un eretico; la fiducia umanistica nel sapere e nella ragione, capace di cogliere la verità, contro ogni fenomenismo scettico e contro il populismo per il quale la scienza è corrotta, i media sono corrotti, la politica è corrotta e pertanto la Realtà è “una realtà personale”; la “memoria penitenziale”, che costruisce il perdono e la pace, perché tiene viva la memoria storica dei conflitti e degli orrori perpetrati dagli uomini.
Poiché siamo ritornati in un tempo di “incertezza e rischio” – “Ungewissheit und Wagnis” è il titolo di un famoso libro del 1937 di Peter Wust, esistenzialista cristiano e resistente al nazismo – ben più radicale di quello degli anni ’30 del ‘900, il metodo di fondazione della speranza, suggerito e argomentato da Papa Francesco, merita tutta la nostra attenzione, sempre che siamo convinti che occorra costruire un nuovo paradigma per l’epoca post-Covid 19.
(Pubblicato su www.santalessandro.org, sabato 10 ottobre)
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.