Sta facendo discutere l’opinione pubblica cattolica, statunitense ed europea, la lettera del Cardinale Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, al presidente dei Vescovi americani Gomez, ultraconservatore. Lettera che stoppa radicalmente l’iniziativa clamorosa da parte dell’ala conservatrice di negare la comunione al Presidente Biden (in quanto favorevole alla legislazione pro aborto). Questa intervista di Pierluigi Mele con il costituzionalista, e deputato PD, Stefano Ceccanti cerca di approfondire i contenuti di questa lettera.
Professor Ceccanti, i termini della lettera non sono per niente teneri nei confronti dei conservatori: tra le righe si denuncia il comportamento strumentale dell’iniziativa di Gomez. È così professore?
Veda, io partirei da un po’ più lontano, dall’anniversario che si celebrerà domani. Il 14 maggio 1971, 50 anni fa, Paolo VI scrisse al Cardinale Roy la lettera Octogesima Adveniens, per gli 80 anni dalla Rerum Novarum. Il parametro per le nostre questioni è quello perché essa rappresenta il punto di arrivo della riflessione conciliare sul tema dei rapporti tra Chiesa e politica. Infatti, pur avendo la Gaudium et Spes, la Costituzione conciliare, espresso alcune scelte significative, tra cui il riconoscimento dell’opzione preferenziale per la democrazia (paragrafo 31), lo specifico capitolo 4 ebbe una trattazione del tutto insufficiente perché essa coincise con la giornata del ritorno di Paolo VI dall’Onu, il 5 ottobre 1965, e i lavori dell’assemblea furono concentrati sul suo discorso. Fu questa la ragione per la quale Paolo VI rifece il punto con la Octogesima Adveniens ed in particolare nei punti 4 e 50.
Il punto 4 fa due affermazioni molto importanti che deideologizzano l’insegnamento sociale: la prima è che “Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale” e la seconda è che le comunità cristiane attingono da esso “principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione” che consentono di giungere a conclusioni concrete. L’elemento comune di principi, criteri e direttive è il fatto che essi hanno dei margini di elasticità rispetto alle soluzioni concrete. Margini che evidentemente non sono infiniti, l’elastico oltre una certa soglia si rompe, ma ciò non di meno essi esistono, le soluzioni concrete non coincidono con essi. E’ per questo che, come chiarisce il n. 50: “Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili” con “uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro”.
Dietro queste affermazioni si coglie tutta la finezza di un papa che per storia familiare conosceva la concretezza della vita politico-parlamentare che è fatta non di referendum su princìpi, ma di continue mediazioni tra più princìpi che entrano in gioco nella stessa decisione, tra princìpi e realtà sociale concreta e tra diverse visioni che sono rappresentate in una società aperta. Solo così si evitano approcci strumentali.
Lei quindi ritrova questo approccio che viene da lontano nella lettera del Prefetto, ovvero specificamente nel punto in cui si afferma che né il tema dell’aborto, né quello della eutanasia possono essere usati come ‘unica materia in cui si richiede il pieno livello di responsabilità da parte dei cattolici. Una gran picconata al “partito dei valori non negoziabili”? Ma quello non veniva dal pontificato di Giovanni Paolo II e dalla Nota dottrinale del 2002 della medesima Congregazione che però Ladaria cita come fondamento della sua critica?
Anche nell’enciclica “Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II del 1995 (che aveva confermato l’opzione prefrenziale per le democrazie liberali nella Centesimus Annus del 1991) si riscontrano almeno due importanti passaggi nella medesima direzione della Octogesima Adveniens. Il primo (par. 71) ricorda sulla base dell’insegnamento di Tommaso (su cui a lungo aveva riflettuto Jacques Maritain) che la difesa e lo sviluppo di alcuni principi e valori non coincide con la massima estensione possibile del diritto penale per punire comportamenti che li neghino:” la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave”. Se un principio o un valore siano concretamente sviluppati in un ordinamento dipende da una serie di incentivi, da un insieme di politiche pubbliche: può darsi che un diritto penale meno esteso accompagnato da politiche sociali positive più consistenti abbiano in un determinato contesto storico, effetti ben più positivi. Il secondo (par. 73) tende a valorizzare comportamenti politico-parlamentari tesi alla riduzione del danno.
Viceversa questo senso della complessità non sembra riprodotto per intero nella Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2002 perché essa sembra presupporre che vi siano ambiti in cui “l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno” (par. 4) in cui cioè lo schema sia bianco-nero, tutto-nulla, verità-errore. Qui sta il problema teorico, che poi è anche un serio problema pratico: infatti la Nota risulta a tutt’oggi del tutto disapplicata e non per volontà dei singoli, ma perché in questi termini è sostanzialmente inapplicabile. Ora alcuni vescovi americani, i primi che concretamente vogliano farlo sia pure arrivando a conclusioni sulla Comunione non direttamente previste nel testo, credono di interpretare correttamente la Nota ritenendo che questo ragionamento riguardi un particolare ambito materiale, in particolare i temi dell’aborto e dell’eutanasia perché sarebbero i primi citati nel testo. Il cardinale Ladaria, a nome della Congregazione, reagisce segnalando che scegliere un preciso ambito materiale finirebbe per selezionare arbitrariamente alcune materie a danno di altre: “sarebbe fuorviante dare l’impressione che l’aborto e l’eutanasia da soli siano gli unici temi centrali della Dottrina Sociale cattolica, che richiedono il più alto livello di rendiconto da parte dei cattolici”.
Il cardinale Ladaria, così facendo, evita opportunamente un doppio standard tra materie diverse, ma logicamente gli esiti possibili sono due e sono opposti. O si conferma che sia possibile teorizzare che rispetto a tutti i principi e valori che si vogliano difendere e sviluppare vadano rifiutati compromessi, ma allora diventa sostanzialmente impossibile fare politica specie nelle sedi parlamentari, si arriva a un non expedit generalizzato o, viceversa, si ammette che esistono sempre margini di elasticità. Ovviamente tutte le istanze sociali, comprese quelle ecclesiali, hanno il diritto di ritenere che nei casi concreti l’elasticità sia usata oltre i limiti ragionevoli e possono benissimo contestare i concreti compromessi raggiunti, ma non possono disconoscerne a priori l’esistenza. Questo nodo non può essere aggirato. E’ la nota del 2002 come tale che non funziona su quell’aspetto, difforme rispetto all’impostazione dell’Octogesima Adveniens, che la rende inapplicabile e che, qualora si tenti di applicarla, crea conflitti non risolubili.
Pensa che questo intervento rasserenerà l’episcopato americano, o, invece, alimenterà contrasti (fomentati dai vari Bannon e Viganò)?
Come ho cercato di spiegare prima per esteso chiarendo il parametro (l’Octogesima Adveniens) e ciò che fa problema (la Nota del 2002) la linea dell’episcopato americano è insostenibile. Peraltro si tratta in questo momento e da molti anni dell’unico episcopato che sta tentando un’applicazione intransigente di quella Nota. Farebbe bene a riflettere sul suo isolamento non solo rispetto al Papa, ma anche alla Chiesa universale.
Cosa può significare per la politica americana questo intervento?
Mentre l’intervento della Conferenza episcopale si inseriva in quella logica di over partisanship, di eccesso di partigianeria che segna quel paese da vari anni e che tanto nuoce alla democrazia americana, l’intervento del cardinal Ladaria si presta ad un più positivo rapporto con la politica. Non è in questione il diritto di esprimere posizioni critiche in pubblico secondo le regole del diritto di libertà religiosa in una società aperta, ma la Chiesa cattolica deve decidere se in una situazione già segnata da molte polarizzazioni vuole essere vista come parte del problema o parte della soluzione. Un certo intransigentismo finisce non col portare un contributo nella vita politica ma con l’esasperare le differenze politiche dentro la Chiesa.
Non si può non vedere anche un riverbero per l’Italia, la patria del “ruinismo”…… Anche lei vede questo?
In Italia quel periodo è tramontato irreversibilmente da tempo, prima sul piano politico e poi su quello ecclesiale. Accantonerei pertanto le polemiche sul passato e mi concentrerei sulla ricerca di una linea che raccolga in positivo la spinta innovativa del pontificato. Una linea che va sapientemente costruita.