di Giovanni Cominelli
Al saggio del 1991 di Claudio Pavone dedicato alla Resistenza italiana – “Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza” – questo articolo “ruba” solo un pezzo del titolo. Il saggio parla di tre “guerre” intrecciate: guerra di liberazione nazionale, guerra civile, guerra di classe. Solo un pezzo, perché, ovviamente, le differenze tra la Resistenza italiana e quella iniziata il 24 febbraio dagli Ucraini contro l’invasore russo sono rilevanti.
Anche quella ucraina è guerra nazionale; ma nel senso che è la resistenza di un intero Paese: un popolo di 40 milioni di abitanti, un esercito di 230 mila soldati. La Resistenza italiana fu condotta solo da una consistente minoranza di civili e militari. Noi fummo prima alleati dei nazisti e poi da loro sanguinosamente invasi; l’Ucraina è stata invasa dai post-comunisti.
Quanto alla “guerra civile”, è in corso nel Donbass in Ucraina da più di sette anni, ha prodotto circa 14 mila morti, alimentata dai Russi e condotta da militari russi camuffati, da mercenari privati, e finanziata da oligarchi e mafiosi locali del Donbass. Non si vedono tracce di guerra di classe. Di sicuro gli Ucraini non vogliono “fare come in Russia” come invece desideravano settori delle Brigate Garibaldi.
Ma, oltre le differenze, vi è un nucleo identico tra le due Resistenze: la moralità. Essa consiste nel combattere per la libertà e le libertà, cioè per un modello di società e di Stato di diritto, nella quale siano riconosciuti e realizzati i diritti fondamentali della persona umana, la separazione liberale dei poteri, il pluralismo politico e culturale, le elezioni libere da brogli. In una parola: si battono per la libertà umana, il valore fondante, l’eguaglianza, la fraternità. Ed è per questo che difendono la sovranità dello Stato sul proprio territorio: perché lo Stato sovrano è garanzia giuridica delle libertà.
La Resistenza contro eserciti armati è necessariamente armata ed è perciò anche mortale. Di quella italiana l’ANPI ha fornito i tragici numeri: 44.700 caduti, tra cui qualche migliaio di donne. Vi si devono aggiungere i 40 mila militari caduti, che volsero il fucile contro gli ex-alleati tedeschi, e altri 40 mila militari internati che morirono nei Lager tedeschi. Almeno 10 mila i morti civili nelle rappresaglie. La posta in gioco di quelle vite perdute, il cui ricordo è scolpito sulle molte lapidi dei muri delle città del Nord, fu la libertà.
Ma, a questo punto, entrano in campo, qui in Italia, schiere petulanti di geo-politologi da rivista, da giornale, da TV e da social. Hanno sostituito i virologi.
Come si permette Zelensky di mandare al massacro i propri cittadini, facendo la resistenza con il corpo degli altri? Non sarebbe più razionale che si arrendesse subito, che la smettesse di fare il Giamburrasca? Prima si arrende, prima arriva la pace. Non può vincere! D’altronde, non possiamo certo innescare una guerra nucleare per Zelensky. Realismo vuole che si arrenda.
Tanto più che l’Ucraina è un Paese tra i più corrotti, in cui gli oligarchi e gli interessi costituiti continuano a minare lo Stato di diritto e a comprometterne lo sviluppo. Parole di Transparency. Soprattutto nel Donbass, dove gli oligarchi mafiosi si affrontano a colpi di kalashnikov. Vanno pacificati! E chi lo può fare meglio dei Russi, che di cleptocrazia si intendono parecchio, al punto che i cleptocrati del Donbass siedono nella Duma russa?
E poi ci sono i nazisti e il famoso Battaglione Azov. Lo ha ribadito Putin nel suo discorso nello stadio proprio ieri.
E poi, come sostengono settori della destra cattolica, simpatizzante politica del Berlusconi simpatizzante di Putin, ha ragione il Patriarca Kirill: gli Ucraini inseguono l’Occidente marcio e decadente, che fa largo spazio ai gay… Che belli i tempi del basso Medioevo cristiano, quando i gay venivano bruciati o impiccati per i genitali. Viva la guerra metafisica: parola di Kirill.
E poi ci sono quei cattolici preoccupati per la pace, per i quali le guerre sono sempre ingiuste, anche quelle di resistenza. Se Caino minaccia, Abele si deve arrendere. Forse sarà risparmiato. Forse…
E poi ci sono quelli che pensano al costo della benzina e del gas e del pane e della polenta…
La comparsa di queste posizioni consente di misurare fino a che punto è arrivata la nostra decadenza spirituale e morale, quanto grave la perdita di memoria storica della nostra società civile e quali le ragioni profonde dell’insorgenza populista di questi anni. Permette di capire perché l’economia del benessere ha assunto il primato rispetto alla politica e perché abbiamo volto – Tedeschi in testa – il nostro sguardo altrove, quando Putin aggredì la Cecenia nel 1999, la Georgia nel 2008, l’Ucraina nel 2014, annettendosi la Crimea e fomentando la guerra civile nel Donbass, la Siria nell’autunno del 2015.
Intanto, emerge che noi qui abbiamo un’idea molto strana di democrazia. Zelensky è stato eletto con il 73,22% dei votanti proprio su una piattaforma anti-corruzione e filoeuropeista. I rappresentanti delle forze “naziste” nel Parlamento ucraino si riducono ad un solo deputato, con il 2,5% di voti popolari, mentre il famoso Battaglione Azov conta meno di tremila uomini. E i milioni di profughi? Non scappano certo da Zelensky. Fuggono a milioni dai bombardamenti russi. Mentre circa 300 mila ucraini sono rientrati in patria per combattere contro gli invasori. E Zelensky non è scappato, pur sapendo di rischiare la fucilazione, che i Russi hanno spesso riservato ai capi di governo invasi, dall’Ungheria nel 1956 all’Afghanistan nel 1979.
Ma ciò che di più grave e di più allarmante si intravede nella nostra coscienza di Italiani è la caduta della memoria storica e civile della tavola dei valori dell’Occidente cristiano-liberale, che pone la libertà e le libertà a fondamento della società civile e delle istituzioni politiche. A tal punto che appare sconvolgente, irrealistico, assurdo che un popolo, posto di fronte alla minaccia per la vita dei singoli e per la sua esistenza in quanto Stato-nazione, scelga di difendere la libertà a costo della vita. Eppure, ci ammoniva Piero Calamandrei nel “Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza”, tenuto a Milano il 26 gennaio 1955: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
Quale lenta erosione in questi decenni è accaduta della nostra etica collettiva, se ciò che conta di più è il nostro benessere, alimentato dal gas russo e dal tranquillo flusso delle importazioni/esportazioni? Se la geo-economia ha preso il sopravvento sulla geo-politica? Se la nostra libertà è divenuta un diritto assoluto di fare ciò che vogliamo al momento, ma non è più intesa come dovere e come responsabilità?
Sì, c’è una decadenza morale dell’Occidente e di noi che ne facciamo parte. Ma non nasce dall’imperfezione strutturale delle nostre fallibili democrazie. Nasce dall’aver messo al primo posto della nostra scala di valori il benessere, “lo stare in pace” et pereat mundus!…
Occorre riconoscere che la Resistenza ucraina ci ha dato una sferzata, ci ha costretti a uscire dal sonnambulismo, per il quale stavamo nel mondo come dentro una bolla. Improvvisamente, come ha osservato Gabriele Nissim, dei Giardini dei Giusti, “da un giorno all’altro, ciò che appariva scontato e a cui pochi davano attenzione come il valore della libertà, del pluralismo, della prevenzione dei genocidi, della stessa pace è diventato oggetto di attenzione. Si è capito che se non ci si prende cura della democrazia, della libertà, e se non si creano forme di solidarietà che vanno oltre ai nostri confini tutto rimane sempre in bilico e il male estremo è sempre alle porte”.
Come ha spiegato Draghi, dando armi di resistenza all’Ucraina, noi difendiamo anche noi stessi.
Editoriale da santalessandro.org, sabato 19 marzo 2022
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.