di Pietro Ichino
Nel tentativo di invertire il trend negativo dei sondaggi, il ministro del Lavoro Di Maio riscopre la bandiera della “retribuzione come variabile indipendente”.
La Commissione Lavoro del Senato si appresta a licenziare per l’Aula un disegno di legge che impone un limite minimo universale di retribuzione oraria pari a 9 euro.
Se la settimana lavorativa è di 40 ore, in un mese si lavorano circa 173 ore; e 9 euro moltiplicato per 173 fa una paga di 1557 euro al mese. Secondo i dati forniti dall’Inps, nei dieci settori maggiori coperti da un contratto collettivo nazionale firmato da Cgil Cisl e Uil, oggi, più di metà degli addetti (per la precisione: il 52,9 per cento) lavora per una retribuzione inferiore a questa.
La legge che la maggioranza giallo-verde si appresta a varare, dunque, avrebbe l’effetto di aumentare bruscamente la retribuzione di circa metà dei lavoratori italiani, con probabili effetti di aumento indotto (per ristabilire il collegamento con i diversi livelli di professionalità) anche nell’altra metà.
Se un aumento per legge degli standard retributivi di questa entità fosse possibile senza contraccolpi negativi per i livelli occupazionali, vorrebbe dire che aveva ragione la sinistra sindacale quando, negli anni ’70, sventolava la bandiera della “retribuzione come variabile indipendente del sistema”.
Tutto induce a ritenere, però, che quell’idea sia realisticamente praticabile soltanto nelle situazioni particolari nelle quali i lavoratori possono proporsi di erodere una rendita monopolistica o monopsonistica; e che invece, al di fuori di quelle situazioni, in un contesto connotato dalla concorrenza globale, l’aumento autoritativo generalizzato delle retribuzioni al di sopra della produttività marginale sia destinato a causare una riduzione della domanda di lavoro e una corrispondente riduzione dei livelli di occupazione.
Ma il ministro del Lavoro di queste obiezioni non vuole neanche sentir parlare: sono “discorsi da professori” che a lui non interessano. Per risollevare il gradimento del M5S nei sondaggi non c’è niente di meglio che promettere agli italiani l’aumento delle retribuzioni per legge. Sperando che ci credano. E che il giorno della verifica venga il più tardi possibile.
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino