di Carlo Fusaro
Assai opportunamente Italia Viva (primo firmatario Matteo Renzi) ha presentato la proposta di legge costituzionale per modificare la forma di governo e introdurre una forma di elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri (dotandolo di potere di nomina e revoca dei ministri). Opportunamente perché per ora sul fronte governativo (Meloni-Casellati) tutto tace: dopo aver finto il rilancio del tema riforme istituzionali (e del c.d. presidenzialismo) e fatto in pompa magna qualche improduttivo incontro non se n’è più sentito parlare.
Ora un testo (di minoranza) c’è. E volendo si potrebbe cominciare a discutere nel merito, facendola finita con le chiacchiere propagandistiche. Anche perché non c’è davvero più nulla da scoprire dal punto di vista tecnico. La questione è solo ed esclusivamente di volontà politica: chi ce l’ha e chi no.
Infatti di presidenzialismo in senso stretto non si parla da inizio anno (e giustamente): la stessa maggioranza l’ha abbandonato (forse Lega esclusa: in funzione antiMeloni) e ha indicato di convergere sull’ipotesi di un incisivo rafforzamento del presidente del Consiglio (da trasformare in un vero e proprio primo ministro forte di più poteri giuridici e politici, quelli da derivanti da una forma di investitura popolare diretta).
Non basta: il “Riformista” diretto da Renzi pubblica un articolo pro e un articolo contro il c.d. sindaco d’Italia. Ma vanno letti con attenzione e perciò faccio diretto rinvio al giornale.
Come si può intuire dall’articolo di Marilisa D’Amico (pro) e da quello di Dario Parrini (contro), in realtà fra il testo di IV, il sì di D’Amico e il no di Parrini ci sono pochissime differenze e basterebbe sedersi a un tavolo un par d’ore per trovare un’intesa.
Mi spiego subito.
Il limite principale (direi l’unico) della soluzione sindaco d’Italia sta nella sua indiscutibile rigidità (una volta eletta la presidente del Consiglio si torna ad elezione se – per qualsiasi ragione – viene a mancare: dimissioni, sfiducia, incandidabilità sopravvenuta, infermità, morte: come per sindaci e presidenti di regione). Ma a leggere i testi si capisce che:
1) la stessa proposta di IV prevede che in caso di premier sfiduciato è prevista una seconda votazione “di verifica” dopo 24 ore (una prima attenuazione importante della rigidità);
2) il sì di D’Amico si coniuga con la proposta di permettere una forma limitata e condizionata di sfiducia costruttiva, nel rigoroso ambito della maggioranza legittimata dal voto popolare (una decisiva attenuazione della rigidità)
3) il no di Parrini, accanto a una soluzione di tipo tedesco (impraticabile perché inutile), prevede l’introduzione di una legge elettorale decisiva che permetta eleggendo la Camera politica di indirettamente legittimare una candidata primo ministro (come nel modello Salvi della Commissione D’Alema).
Se solo governo e maggioranza si dessero una mossa…
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).