di Cataldo Intrieri
Negli ultimi giorni il nostro mondo è drasticamente cambiato: è sperabile se ne diano accorti anche nel mondo giudiziario.
Lo sciopero dei magistrati ha dato il via a reciproci scambi di bordate tra ANM ed Unione delle camere penali.
Un conflitto che viene da lontano e che oggi si innesta su un mondo drasticamente cambiato dal populismo e dagli effetti dei conflitti, anche se i contendenti fingono di non accorgersene.
Avvocati e magistrati sembrano due pugili sfiancati costretti a tenere la scena di un duello che passa ormai sopra le loro teste ed ha come assoluto protagonista un governo espressione ultima dell’ondata populista che ha cambiato il volto della politica ben oltre i confini italiani .
Per certi versi è come vedere un film muto ai tempi della scoperta del sonoro: il mondo va da un’altra parte .
Sicuramente di un’altra epoca è la protesta dei magistrati sulla scalinata della cassazione come fosse quella di Odessa nella Corazzata Potemkin di cento anni fa ( ma fortunatamente Meloni non ha mandato i carabinieri a sparare contro).
C’è un pò di stanchezza in giro: in fin dei conti è difficile negare che la separazione sia giusta alla luce di ciò che è successo nel frattempo: dal caso Palamara alla vicenda Nigeria-gate con i pm che celano prove decisive e poi di fronte allo scetticismo del tribunale tentano di ricusarlo insinuando intese tra il presidente ed i difensori, tanto inaccettabile gli deve essere parso il disaccordo dei colleghi del collegio giudicante.
Difficile negare, anche per i più incalliti pasdaran delle toghe, che per certi processi il mancato accoglimento delle tesi dell’accusa equivalga ad una sorta di tradimento. che indebolisce il prestigio della categoria.
Ma fuori sincrono e fuori tempo massimo è anche l’avvocatura che sta per vincere una lunga battaglia per realizzare il giusto processo penale , quando esso è ormai diventato un cumulo di macerie: il fatto è che il diritto penale del processo è ormai diventato il diritto penale della prevenzione.
Nel corso degli ultimi anni a fronte del declino del processo tradizionale, ormai bucherellato da troppe modifiche , correzioni , strappi in nome di situazioni eccezionali ( di volta in volta la pandemia, il crimine mafioso, i femminicidi , ora immigrazione e devianza giovanile ) si sono sviluppate procedure parallele che hanno il vantaggio di maggiore speditezza e di non dover rispettare tempi e pastoie del codice processuale ordinario.
Ecco dunque il ricorso sempre più frequente alle misure di prevenzione come confische e sequestri : il vantaggio è l’ apprensione di vasti patrimoni senza necessità di preventiva condanna ma sulla base dei precedenti o dell’appartenenza dei presunti titolari dei beni a categorie “ a rischio”. Gli effetti sono altrettanto devastanti come quelli di una condanna, tale essendo la rovina economica cui spesso non si può porre riparo.
Su Linkiesta nei giorni scorsi Marco Taradash ha illustrato i contenuti , per molti versi ancora ignoti, del pacchetto sicurezza del ministro Piantedosi, in corso di esame al senato, che consente l’espansione di attività di spionaggio e sotto copertura della polizia e dei servizi con l’uso pressoché senza controllo di intercettazioni anch’ esse preventive su semplice impulso degli organi di indagine per sventare ipotesi di terrorismo e crimine organizzato , sotto il solo controllo della presidenza del consiglio.
In realtà, lo scandalo dell’uso del software Graphite, ne ha invece rivelato l’uso per spiare giornalisti ed addirittura sacerdoti ed attivisti di ong violando i protocolli della casa produttrice.
Ancora, va ricordata la procedura “ accelerata “ di espulsione degli immigrati provenienti da “ paesi sicuri” scelti dal governo .
Tutte queste procedure parallele hanno in comune l’indebolimento della funzione di controllo di legalità da parte della magistratura, chiamata a semplicemente ratificare decisioni assunte dai servizi e dalle forze di sicurezza.
A questa deriva cercano di opporsi gli organi giurisdizionali con funzioni di garanzia e contrappeso ad un uso sconsiderato della legislazione, sottratta a colpi di decretazione di urgenza al controllo del parlamento.
In tal senso si registrano ultimamente l’annuncio di un ricorso per conflitto di attribuzioni da parte dei parlamentari Cuperlo, Tabacci e Camusso ed una ordinanza della Cassazione di rimessione alla Consulta del giudizio di costituzionalità dell’abrogazione del reato di abuso di ufficio in violazione degli accordi convenzionali con l’UE. Saranno due importanti occasioni per “testare “ il Giudice delle leggi nella sua nuova composizione, così travagliata e sofferta.
Per ultima arriva l’indiscrezione che l’infaticabile ministro Nordio stia lavorando all’ennesima riforma, finalizzata a sottrarre ai pm “separati in casa” dai giudici la guida della polizia giudiziaria.
Ciò per evitare che i procuratori diventino dei super-poliziotti, in realtà è un ritorno ai tempi del vecchio codice inquisitorio di marca fascista, dove lo Stato autoritario ed occhiuto, diffidando dei magistrati, controllava direttamente le indagini penali.
Una vera e propria erosione dello Stato di diritto che sinistramente sembra evocare più che le fumose teorie della P2 le sinistre distopie di Philip K. Dick e George Orwell. Il capovolgimento della realtà sembra la regola: ecco che anche riforme all’apparenza garantiste, nel nome del “diritto penale liberale” si possono rivelare invece specchietti per ingenue allodole garantiste, abbagliate da una inedita truffa delle etichette.
Come sostiene uno dei più autorevoli giuristi italiani, Paolo Ferrua, uno dei padri del processo accusatorio, ciò che si vede è “Il circolo vizioso: dal processo accusatorio senza la separazione delle carriere alla separazione delle carriere senza il processo accusatorio. Aperta la discussione su quale sia peggio”. Intanto che si discute oziosamente, muore la democrazia come l’abbiamo conosciuta.
Avvocato penalista del Foro di Roma, scrive di giustizia per Linkiesta e Domani.