di Massimo Balducci
1.Premessa
Nel 2019 e nel 2020 la UE (la Commissione ed il Consiglio) (1) hanno indirizzato all’Italia una serie di raccomandazioni relative alla necessità di migliorare il rendimento della nostra amministrazione pubblica. Tali raccomandazioni sono state riprese dalle linee guida indirizzate all’Italia in relazione al Next Generation EU come le riforme orizzontali ed abilitanti per poter usufruire con profitto dei fondi del Next Generation EU (2).
É noto che gli uffici della Commissione hanno reagito negativamente alla bozza di PNRR inviata in via informale agli uffici della Commissione al punto che il Presidente Draghi ha dovuto richiedere, in via del tutto irrituale, l’intervento della Presidente della Commissione von der Leyen ad evitare una bocciatura ante litteram del piano italiano.
La burocrazia della Commissione non è certo una burocrazia infallibile i cui giudizi sono necessariamente sempre corretti (3) ma si tratta comunque di una buona burocrazia che regge molto bene il confronto con alcune delle migliori burocrazie al mondo, quali le burocrazie scandinave e quelle germaniche. Orbene a questi burocrati non è sfuggito che nessuna delle raccomandazioni avanzate all’Italia in relazione alla necessità di migliorare il rendimento della nostra pubblica amministrazione e della giustizia civile veniva recepito. Qui non va sottovalutato che la burocrazia della Commissione ha maturato una esperienza trentennale in sforzi vari miranti a promuovere la modernizzazione delle burocrazie dei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale. Gli stessi strumenti messi a punto in 30 anni di esperienza sono ignorati dal nostri PNRR.
Qui vogliamo avanzare una ipotesi di interpretazione di questo dialogo tra sordi. La mancata reazione positiva dell’Italia alle sollecitazioni della UE non è dovuta alla responsabilità del nostro livello politico né alla incompetenza dei nostri vertici burocratici. Si tratta della necessità di fare un salto di qualità e di cambiare il paradigma che, in maniera non consapevole, sta alla base della nostra pubblica amministrazione. Questo salto di qualità andrebbe promosso dagli studiosi della pubblica amministrazione. Il fatto è che questi studiosi sembrano non percepire la necessità di questo quality leap e continuano a ricercare la risoluzione agli evidenti problemi di inefficienza amministrativa rigirando il coltello nella piaga, cioè continuando a far leva sulle caratteristiche base del nostro modello amministrativo, quelle stesse caratteristiche che sono la causa dei nostri problemi e che andrebbero abbandonate e superate.
2.Il modello burocratico italiano: le sue caratteristiche latenti e pregnanti
Già alla fine della prima guerra mondiale (4) si è cominciato a parlare della necessità di semplificare la nostra amministrazione. Se l’invocazione alla semplificazione dopo un secolo continua a farsi sentire c’è da chiedersi se le cause della complicazione amministrativa siano mai state individuate e rimosse o se, purtroppo, non ci si sia concentrati sul sintomo (l’inutile complicazione amministrativa) anziché ricercare le cause del sintomo per rimuoverle.
Ma quali sono le caratteristiche, latenti ma potentemente efficaci, del nostro modello burocratico che determinano i problemi attuali?
Innanzi tutto va evidenziato che il nostro modello burocratico si è consolidato durante gli anni ottanta del 1800, per l’azione di CRISPI (5). Tale modello si caratterizza sostanzialmente in tre componenti fondamentali:
Vediamo qui di seguito questi tre punti.
2.1.Mancata separazione tra funzione e funzionario
La nostra amministrazione non è una amministrazione weberiana proprio perché nella nostra amministrazione non esiste la separazione tra funzione e funzionario.
Può essere interessante soffermarsi rapidamente a considerare come viene definito lo strumento dell’organo nella dottrina italiana ed in quella delle amministrazioni classiche e weberiane (francese e tedesca).
Per noi l’organo è la persona che presta la sua testa, le sue braccia e le sue gambe all’amministrazione (nella cultura amministrativa tedesca questo elemento viene definito come unità di azione, Handlungseinheit). Nella cultura amministrativa tedesca l’organo è l’articolazione strutturale, l’ufficio che si fa carico delle microperazioni in cui si articola la macrostruttura. Per fare un esempio: da noi il Prefetto è un organo del Ministero degli Interni; in Germania organo del Ministero degli Interni è la Prefettura e il Prefetto è una Handlungseinheit.
La non separazione dell’elemento strutturale da quello personale è evidenziata, nella prassi quotidiana della vita amministrativa, dalla totale assenza della tabella dei rimpiazzi. La tabella dei rimpiazzi (strumento di prassi quotidiana sopra le Alpi) codifica chi è chiamato a sostituire chi, in caso di assenza. La mancanza di questo strumento comporta una serie di disfunzioni da non sottovalutare: il blocco delle attività in caso di assenza di un funzionario e una perdita di tempo notevole per il dirigente nel reperire, di volta in volta, chi deve sostituire l’assente. Il risultato è comunque, spesso, rappresentato dal fatto che la “pratica” si blocca durante l’assenza del funzionario. Il problema della paura di apporre la propria firma da parte dei nostri dirigenti è da ricondursi alla mancanza di una chiara separazione tra funzione e funzionario.
2.2.Assenza dei processi
Nella nostra amministrazione i processi sono del tutto assenti. I problemi vengono affrontati con la logica del “caso per caso” ed ogni atto deve essere obbligatoriamente firmato dal dirigente. Non si sono strutturate modalità operative uniformi per tipologie di problematiche. Se gli si va a chiedere di mostrare dei processi, il dirigente pubblico italiano non sa che rispondere. Al massimo esibisce una serie di slide in power point di corsi che ha seguito sui processi. Ma la codifica dei processi non esiste.
La legge 241 /1990 al comma 1 dell’art. 5 arriva a stabilire la necessità di individuare i responsabili di procedimento. Ma nulla dice sulla necessità di codificare i procedimenti. Per di più la citata legge 241/90 distingue la funzione del responsabile di procedimento dalla funzione di responsabile di provvedimento. Mentre il responsabile di procedimento è un funzionario, il responsabile di provvedimento, per l’art. 17 del testo unico sul pubblico impiego (Dlgs 165/2000) deve essere un dirigente.
La mancanza di processi ha conseguenze negative su molti fronti. Qui ne evidenziamo una soltanto. L’assenza di processi impedisce la realizzazione di una digitalizzazione reale dell’attività amministrativa. O peggio, la digitalizzazione forzata potrebbe tradursi in una cristallizzazione del caos vigente nell’amministrazione.
La nostra macchina amministrativa è tenuta insieme esclusivamente dal meccanismo gerarchico. Ogni atto a valenza esterna deve essere firmato dal dirigente. In questo modo il dirigente si trova sul tavolo ogni mattina una mole di atti da firmare. Il che comporta due alternative: o li legge tutti prima di firmarli e acquista un ritardo di qualche centinaio di atti ogni giorno, o li firma in maniera inconsapevole. Durante i corsi che ho tenuto alla SNA, chiedevo spesso ai dirigenti quante firme mettessero ogni giorno. I dirigenti del Ministero dell’economia affermavano apporre qualche centinaio di firme al giorno. È noto che il presidente dell’ANAC Cantone apponeva diverse centinaia di firme al giorno. C’è una terza possibilità: il dirigente firma solo gli atti dei funzionari di cui si fida. In questi casi la fiducia è spesso acquisita, non sulla base della competenza, ma sulla base di capacità di negoziazione e comunicazione del funzionario sottoposto. Tutto questo crea un clima di invidie e ripicche personali che rende il clima organizzativo semplicemente irrespirabile.
Qui va rammentata l’esperienza positiva realizzata negli anni ottanta dall’ingegner Billia all’INPS prima e all’INAIL poi. L’ingegner Billia, chiamato al capezzale di questi due enti oramai sull’orlo del tracollo, rivoluzionò il modello organizzativo basando tutto sui processi che furono codificati adeguatamente. La codifica dei processi permise di decentrare in periferia la firma degli atti come pure permise una digitalizzazione allora (siamo negli anni ’80) all’avanguardia in Europa. Per esperienza diretta posso affermare che il clima dell’INPS e dell’INAIL è molto migliore del clima che si respira nel resto della nostra pubblica amministrazione.
Recentemente all’INPS è stata accorpata l’INPDAP. La amalgama delle due organizzazioni sta presentando dei problemi non banali. All’INPDAP ogni pensione è calcolata da un dipendente che è espertissimo in tutte le norme pensionistiche e nella giurisprudenza. All’INPS esiste un pool di esperti giuridici che sviluppa per ogni tipologia di casi un algoritmo secondo cui calcolare la pensione. Questi algoritmi vengono poi trasformati in programmi informatici.
Purtroppo l’esperienza dell’ing. Billia non è stata generalizzata all’amministrazione e si sta lentamente sfumando sia all’INPS che all’INAIL. Molte amministrazioni hanno copiato il lessico dell’INPS e hanno dato vita nei propri regolamenti organizzativi alle “unità di processo” che, però, a differenza dell’INPS e dell’INAIL non sono caratterizzate dalla gestione di uno o più processi, semplicemente perché i processi non esistono.
Qui dobbiamo segnalare che se non si affronta ab imis fundamentis questo problema la digitalizzazione della nostra amministrazione si tradurrà in una abbuffata per consulenti più o meno qualificati e in una cristallizzazione delle disfunzioni esistenti.
Nel PNRR si prevede la realizzazione del censimento di tutti i processi della nostra amministrazione. Un tale censimento era stato di fatto già previsto dal comma 1 dell’art 5 della legge 241/90. Di fatto presso che la stessa cosa era prevista dalla lettera d comma 4 dell’art 1 del Dlgs 286 del 1999. Anziché reiterare un obbligo che esiste da più di 30 anni (tra l’altro, che posto occupa nella gerarchia degli standard il PNRR?) ci si dovrebbe chiedere perché questo obbligo non è stato adempiuto. Probabilmente ci si renderebbe conto che si devono fare tre cose per poter dar corso alla realizzazione di questo obbligo: (i) eliminare i vincoli normativi che lo rendono impossibile (separazione di responsabile di procedimento da responsabile di provvedimento e modificare l’art 17 del Dlgs 165 del 2000 che prevede una firma dirigenziale per ogni atto a valenza esterna) (ii) produrre una normativa che specifichi come devono essere strutturati i procedimenti amministrativi (sulla falsariga della Bundesverwaltungsverfahrengesetz tedesca) e (iii) attivare un profondo programma di riqualificazione/in service training delle risorse umane della nostra amministrazione a “lavorare secondo processi” e non secondo il meccanismo gerarchico.
2.2.1.Processi e gerarchia
Cosa significa lavorare per processi? Chiunque sia coinvolto in una attività lavorativa deve costantemente rispondere a questa domanda: ora cosa devo fare? Il premio Nobel per l’economia H.A. Simon (6) sosteneva che il coordinamento dell’attività umana è garantito da una serie di meccanismi che riducono la complessità di chi è chiamato a prendere queste decisioni. Questi “meccanismi di riduzione della complessità decisionale” sono 4 e possono essere considerati come una coppia di due coppie. Mi spiego. Da una parte abbiamo la prima coppia di meccanismi di riduzione della complessità decisionale: la gerarchia e la tradizione.
Da un’altra parte abbiamo la seconda coppia di meccanismi di riduzione della complessità decisionale: la professionalità e i processi.
Innanzi tutto una considerazione che riguarda il quadro normativo:
É quindi indispensabile modificare l’approccio del pubblico funzionario ai suoi compiti, non solo in modo da cambiare i suoi comportamenti ma anche in modo da portarlo a stendere la normativa in maniera adeguata.
2.3. Amministrazione e contabilità
La pubblica Amministrazione Italiana tiene nettamente separate le attività amministrative dalle attività contabili. Questo significa che chi è chiamato a realizzare un servizio o a svolgere una attività di controllo della legalità non è cosciente dei costi che la sua attività comporta e, quindi, non tara la sua attività in relazione ai costi (7).
Questa tradizione si è rafforzata ai tempi dei governi centristi del secondo dopoguerra: la DC, su impulso di Andreotti, trasformò definitivamente quello che avrebbe dovuto essere un ispettorato del Ministero delle Finanze con il compito di supervisionare le spese dei vari ministeri, in un organo di gestione diretta della spesa, per cui i ministeri operano ma le spese determinate dal loro operare vengono gestite separatamente dalla Ragioneria Generale dello Stato, una realtà monstre che non ha eguali nei Paesi OCSE.
Va qui rammentato che la messa in opera della legge 42 del 2009 (che prevede l’introduzione della contabilità per missioni) (8) è in effetti vanificata dalla incapacità della nostra amministrazione di tenere sotto controllo i flussi finanziari. La cosa è particolarmente evidente nei tentativi di applicazione del Dlgs 118 del 2011 (il decreto di applicazione della contabilità per missioni negli enti locali) (9).
La incapacità di tenere insieme gestione e contabilità è messa in evidenza in maniera eclatante dai meccanismi di gestione e incentivazione della performance oggi in vigore nella nostra amministrazione. Tali meccanismi separano inopinatamente (e, se vogliamo, comicamente) il controllo dei prodotti realizzati, affidando tale controllo ad organismi diversi: la Corte dei Conti (nel caso degli enti locali la Corte dei Conti Regionale e il collegio dei revisori dei conti) per quanto riguarda il controllo (esclusivamente di correttezza legale-formale) delle spese realizzate) e l’Organismo Indipendente di Valutazione per quanto riguarda i prodotti e servizi realizzati. Ci si dimentica che la performance è data dal rapporto prodotti-servizi realizzati /risorse impegnate per realizzarli (10).
3.I tentativi di riforma sin qui realizzati
Va qui evidenziato che i numerosi tentativi di riforma della nostra amministrazione non hanno mai affrontato queste caratteristiche di fondo del nostro modello amministrativo ma solo i sintomi disfunzionali di queste cause profonde del malessere amministrativo. La pressoché totalità dei tentativi di riforma del nostro modello burocratico, lungi dall’affrontare il tema della mancata separazione tra funzione e funzionario e la strutturazione delle funzioni, si è concentrata sull’unico elemento della nostra costruzione amministrativa: il rapporto di impiego. I nostri tentativi di riforma della nostra amministrazione sono rimasti imbrigliati negli schemi cognitivi che sono alla radice delle nostre disfunzioni: la mancata separazione di funzione da funzionario, l’assenza di processi e il collegamento tra gestione e contabilità.
3.1.L’assenza dei processi
In ordine a questo punto possono valere due semplici osservazioni.
Da una parte il diverso modo di far fronte alla richiesta di maggiore efficienza ed efficacia imposte dal primo conflitto mondiale. L’amministrazione francese (in Francia come in Italia non esiste un diritto procedurale amministrativo) ha reagito portando all’interno del Ministero della Guerra l’ingegner Fayol, il responsabile della pianificazione della Renault. L’ingegner Fayol, uno degli autori classici dello scientifica management (11), importò un modello basato sui processi. Tale modello non si è mai tradotto in uno strumento giuridico, come in Germania, ma è diventato una costante della cultura gestionale dell’amministrazione francese, costante rinforzata nel secondo dopoguerra dalla istituzione nell’ambito del Ministero dell’Economia dello SCOM (service centrale organisation et méthode).
Diversa è stata la risposta data dall’amministrazione italiana alla necessità di migliorare il suo rendimento durante la prima guerra mondiale. La reazione italiana fu quella di creare una amministrazione separata per gli acquisti e di affidarne la gestione ad un imprenditore di chiara fama, l’industriale della seta Crespi.
L’intreccio di necessità di modernizzazione dell’amministrazione e impedimento alla modernizzazione determinato dagli schemi concettuali con cui questa necessità è affrontata è rappresentato in maniera emblematica dalla vicenda dell’introduzione della “qualifica funzionale” agli inizi degli anni ottanta dello scorso secolo.
Sino ad allora i singoli dipendenti delle pubbliche amministrazioni erano inquadrati in qualifiche definite da “attribuzioni”, cioè da una serie di poteri/autorità secondo il modello tradizionale dell’amministrazione tenuta insieme esclusivamente dal meccanismo gerarchico. A seguito di spinte prevalentemente sindacali, ma non solo sindacali, si arrivò a trasformare il meccanismo della qualifica definita da “attribuzioni” (di potere/autorità) in una qualifica definita da “mansioni oggettive” (cfr. Legge 312 del 1980). Tale norma si è di fatto risolta in una riforma vuota perché l’amministrazione non è stata in grado di definire i contenuti oggettivi delle mansioni (non più semplici qualifiche definite da attribuzioni). Per definire tali contenuti sarebbe stato necessario poter derivare i contenuti delle mansioni da precisi processi realizzativi. Dal momento che tali processi non esistono, la riforma del 1980 ha smantellato l’ordine gerarchico esistente senza saperlo sostituire con un inquadramento alternativo basato sui processi (12).
La legge 241/90, che impone l’individuazione dei responsabili di procedimento è una norma che ci è stata imposta da Consiglio d’Europa (raccomandazione dell’Assemblea Parlamentare della sessione estiva del 1978), raccomandazione che ha richiesto ben 12 anni per essere presa in considerazione. Di fatto la legge 241/90 individua i procedimenti ma non li codifica.
3.2.Il rapporto di impiego è tutto
Il malinteso continua e, agli inizi degli anni novanta dello scorso secolo, si concepisce una riforma radicale non della pubblica amministrazione ma del rapporto di impiego. Con il Dlgs 29 del 1993 si pretende di trasformare il rapporto di impiego dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni in un rapporto di impiego di natura privatistica, con l’esclusione del rapporto di impiego delle forze di polizia, delle forze armate, della magistratura, degli insegnanti universitari, dei diplomatici e di altre categorie.
Il Dlgs 29/93 si basa su un malinteso di fondo e introduce una serie di veri e propri obbrobri tecnici. L’errore di fondo riguarda il fatto che si basa sull’assunzione che la pubblica amministrazione potesse assumere solo dipendenti caratterizzati da rapporto di impiego pubblico. Ma, se si va ad analizzare la progressiva affermazione del concetto di rapporto di impiego pubblico che dovrebbe caratterizzare non solo lo Stato Centrale (come era originariamente sulla base della normativa promossa dal Ministro De Stefani negli anno venti dello scorso secolo) ma anche gli enti locali e altre amministrazioni, ci si rende presto conto che da nessuna parte veniva statuito che le pubbliche amministrazioni potessero avere solo dipendenti caratterizzati da un rapporto di impiego di natura pubblicistica.
Similmente ai diritti di proprietà (le pubbliche amministrazioni sono titolari di diritti di proprietà privatistici e pubblicistici) le pubbliche amministrazioni hanno sempre potuto avere alle loro dipendenti caratterizzati da un rapporto di natura privatistica così come dipendenti caratterizzati da un rapporto di natura giuspubblicistica (con le guarentigie e i particolari doveri che ne conseguono). L’acquis communautaire farà chiarezza in proposito stabilendo che un rapporto di impiego alle dipendenze di una pubblica amministrazione può essere considerato di natura giuspubblicistica solo se si verificano congiuntamente i due fattori seguenti: (i) l’esercizio della pubblica autorità (in francese “l’exercice de la puissance publique”, in tedesco “Ausübung hoheitlicher Befugnissen”) e (ii) la salvaguardia degli interessi generali dello Stato (13).
Volendo ridurre tutti i problemi relativi alla pubblica amministrazione a problemi di “rapporto di impiego pubblico” il Dlgs 29(1993 opera una serie di ulteriori errori le cui conseguenze si fanno ancora oggi sentire. In maniera particolare, all’art. 20, introduce una definizione contorta ed errata di “controllo” confondendo il controllo sul raggiungimento dei risultati (riconducibile alla categoria del controllo manageriale o controllo di gestione, cioè un controllo inteso come strumento di potere direzionale) con il controllo nella sua accezione di compliance con una serie di standard predefiniti (14).
4.Riforme e metodologia
Il caso italiano non è il primo di questo tipo. Il passaggio alla democrazia dei paesi dell’Europa Centrale e Orientale ha dovuto fare i conti con problemi simili. Una notevole esperienza è stata maturata in questo campo. É sulla base di questa esperienza che i funzionari della Commissione sono rimasti delusi. Le nostre proposte di riforma non rispettano i criteri metodologici minimi.
Per superare le disfunzioni sopra evidenziate va sviluppata una vera e propria strategia di modernizzazione amministrativa. Strategia che deve articolarsi nelle seguenti fasi:
Gli sforzi fatti sin qui per migliorare la nostra amministrazione, fanno, non solo riferimento a modelli concettuali sorpassati, ma lasciano molto a desiderare dal punto di vista metodologico .
Le proposte contenute nel nostro PNRR non seguono questa traccia minimale e propongono solo una serie di azioni senza inquadrarle in una schema più generale. In maniera particolare quello che salta agli occhi è la totale assenza di un logframe (logical framework) dove i problemi, i sintomi, gli obiettivi e le tappe di passaggio tra la situazione esistente e il modello a tendere vengono coordinati e ricevono una serie di scadenze temporali (15).
5.Conclusioni
Per operare una reale riforma della nostra amministrazione bisogna fare un salto di qualità di tipo culturale. Non spetta tanto al politico o al funzionario fare questo salto. Questo salto dovrebbe essere realizzato dai nostri esperti, dai nostri ricercatori.
Purtroppo sembra che nemmeno questi esperti e questi ricercatori siano in grado di realizzare questo cambiamento di paradigma. Non ci resta altro da fare che chiedere ai nostri partner europei di affiancarci ed aiutarci in questo sforzo. Qui, più che ai partner della UE, penso ai partner del Consiglio d’Europa o collegata Commissione di Venezia che hanno maturato più di trenta anni di esperienza nell’affiancamento del PECO nei loro sforzi di modernizzare le loro amministrazioni.
Mi corre l’obbligo di fare una ultima osservazione. La carenza di processi e la mancata istituzionalizzazione rappresentata dalla mancata separazione tra struttura e persona non è propria solo delle nostre pubbliche amministrazioni ma caratterizza anche le nostre imprese private.
Note
1) DOCUMENTO DI LAVORO DEI SERVIZI DELLA COMMISSIONE Relazione sullo Stato di diritto 2020 Capitolo sulla situazione dello Stato di diritto in Italia ; RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2019 dell’Italia Relazione per paese relativa all’Italia 2020 che accompagna il documento COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO EUROPEO, AL CONSIGLIO, ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA E ALL’EUROGRUPPO Semestre europeo 2020: valutazione dei progressi in materia di riforme strutturali, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici e risultati degli esami approfonditi a norma del regolamento (UE) n. 1176/2011 {COM(2020) 150 final}
2) Cfr. https://www.fasi.biz/it/notizie/novita/22524-recovery-fund-commissione-ue-linee-guida-governi.html
3) La vicenda dei contratti per ii vaccini anti covid 19 ha messo semplicemente in evidenza che la burocrazia della Commissione non ha alcuna esperienza in materia di contrattazione commerciale; la débacle della Commissione in questo caso è da imputare agli Stati Membri che hanno affidato alla Commissione un compito per cui non era preparata
4) G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana, Bologna, Il Mulino 2020 pp, 277 e ss,
5) Cfr. G. MELIS, Storia..,cit, p.124 e ss.
6) Cfr. M. Balducci, “Entre prescription et description: le dilemme de l’ «Administrative Behavior» de Simon et son impact sur l’ étude des organisations (et sur celles de la public choice) », Revue Française d’administration Publique, 2009, III
7) Cfr. G. MELIS, Storia…, cit, p. 113 e ss.
8) In parole povere la contabilità per missioni articola il piano dei conti sul versante della spesa non a seconda della natuta dei beni e servizi acquistati (antibiotici, garze, vitamine etc.) ma a seconda della destinazione degli acquisti realizzati (per realizzare interventi di cardiochirurgia, terapie per il covid 19 etc. L’assenza di una contabilità per missioni è la vera causa del fatto che sin qui non si è riusciti a realizzare nessuna spending review ma solo tagli lineari della spesa (tagli sui medicinali e non sui costi di gestione).
9) Cfr. M. BALDUCCI, «Rendre des comptes pour rendre compte : l’évolution de la comptabilité des collectivités locales en Italie», Revue Française d’Administration Publique, 2016, n° 160, pages 1079-1092
10) M. BALDUCCI, “La performance come adempimento” in: W. ANELLO, M. BALDUCCI (eds.) , Cosa si può imparare dagli altri: peers’review of performance management at local level in Italy, France, UK, Belgium, Germany, in print, Franco Angeli, Milano, with the support od Council of Europe, forthcoming
11) Per un inquadramento storico dei vari approcci ai temi dell’organizzazione e del management cfr M. BALDUCCI “Ingegneria organizzativa e scienza politica” , Rivista Italiana di Scienza Politica, 1977, 2 e la letteratura ivi citata
12) Cfr. M. BALDUCCI, “Fonction Publique en transition: le cas italien”, Revue internationale des sciences administratives, 1982, 3-4.
13) Cfr. Causa 152/73, Sotgiu Racc. [1974] 153; causa 149/79, Commissione contro Belgio Racc. [1980] 3881; causa 149/79, Commissione contro Belgio Racc. [1982] 1845; causa 307/84, Commissione contro Francia Racc. [1986] 1725; causa 66/85, Lawrie-Blum Racc. [1986] 2121; causa, 225/85 Commissione contro Italia Racc. [1987] 2625; causa C-33/88, Allué Racc. [1989] 1591; causa C-4/91, Bleis Racc. [1991] I-5627; causa C-473/93, Commissione contro Lussemburgo Racc. [1996] I-3207; causa C173/94, Commissione contro Belgio Racc. [1996] I-3265; causa C-290/94, Commissionecontro Grecia Racc. [1996] I-3285
14) Cfr. M. Balducci (a cura di), Valutazione e controllo: strumenti di valutazione per tenere sotto controllo pubbliche amministrazioni, banche e organizzazioni no profit, Milano, Franco Angeli, 2014 (in maniera particolare I contributi di Balducci e NUCCI
(15) Cfr. A mo’ di esempio https://www.ganttexcel.com/free-gantt-chart-excel-template-d3/?utm_campaign=1432720444-55744838563&utm_kwd=&utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_content=518356186557&gclid=EAIaIQobChMItKSFvfCt8AIVZ-S7CB0_IQKREAEYASAAEgL_afD_BwE ; in maniera particolare si veda lo strumento messo appositamente a punto dalla Commissione https://eeas.europa.eu/archives/delegations/fiji/press_corner/all_news/news/2015/20150420_01_en.pdf e inopinatamente ignorato dal nostro PNRR
Massimo BALDUCCI (Ancona 1949) ha diviso la sua attività tra ricerca accademica, formazione e consulenza di organizzazioni pubbliche e private. Già full professor di Organization Theory allo European Institute of Public Administration di Maastricht e docente di auditing e controlling al “Cesare Alfieri” di Firenze, docente stabile di European Public Management alla Scuola Nazionale di Amministrazione (SNA) di Roma. È stato vicepresidente dello European Network of Training Organizations for Regional and Local authorities (ENTO). Collabora con il Consiglio d’Europa, lo United Nations Development Program e la Banca mondiale a vari programmi di assistenza a pubbliche amministrazioni.