di Cataldo Intrieri
Intorno alla cd Riforma Nordio della giustizia si svilupperà nei prossimi mesi il più duro degli scontri politici.
Quella che dovrebbe essere considerata in un paese normale un’occasione di confronto tecnico lucido e di innovazione istituzionale ha assunto invece i deprecabili contorni di una zuffa ideologica in cui i simboli contano più del merito delle questioni in esame.
Sono tre i punti qualificanti della riforma : La creazione di due distinti CSM per giudici e pm, la creazione di un’Alta Corte di Giustizia come organismo disciplinare sottratto al controllo del CSM ed infine i meccanismi elettivi dei membri del Consiglio e della Corte che verrebbero affidati al sorteggio sia per i togati che per gli eletti dal Parlamento.
Un emendamento di FI che intendeva assegnare ai deputati la scelta autonoma dei propri rappresentanti e’ stato ritirato per la volontà del governo di blindare la riforma .
Sulla presunta “ separazione “ il sindacato dei magistrati ha promesso una dura battaglia politica che potrà sfociare in un programma di scioperi e di “ mobilitazione culturale e una sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui pericoli di questa riforma, che, sia a livello centrale che locale, si articoleranno in diverse iniziative con l’immediata istituzione di un comitato operativo a difesa della Costituzione aperto all’avvocatura, all’università, alla società civile, indipendente da ogni ingerenza politica, anche in vista di una possibile consultazione referendaria, per far conoscere alla cittadinanza i pericoli derivanti dalla riforma”.
Parole incendiarie degne di un Maurizio Landini ma che appaiono del tutto spropositate rispetto ai pericoli che si vorrebbero sventare .
Vediamo di capire quale possa essere un approccio pacato e riformista alla questione
Va detto per obiettività che la temuta “ separazione “ tale non è perché i pm resteranno comunque nell’ordinamento giudiziario con le medesime garanzie , a partire da inamovibilità e responsabilità civile a carico dello Stato, di cui hanno usufruito sino ad oggi.
I timori di un possibile controllo politico sui pm sono allo stato meramente ipotetici e legati ad altri aspetti della riforma come la composizione della corte disciplinare e dei CSM.
Ciò che causa l’ostilità dei magistrati è il timore semmai di una minore forza politica che la divisione delle funzioni e degli organismi rappresentativi arrecherebbe alla capacità della magistratura di difendere il proprio potere e la propria autonomia .
Va detto che allo stato non c’è nulla che giustifichi questi timori .
Il modello di riforma ricalca quello portoghese ed in una intervista rilasciata a PQM, inserto sulla giustizia de IL RIFORMISTA , l’ex giudice portoghese della CEDU Pinto de Albuquerque, famoso per le sue caparbie dissenting opinion, ha dato un parere ampiamente positivo.
Dopo mezzo secolo di separazione , ma meglio sarebbe dire “ divisione delle funzioni “ l’autonomia dei magistrati ne è uscita rafforzata e non si sono registrate ingerenze .
Ciò non vuol dire che non esistano pericoli , ma che la questione deve essere affrontata con spirito pragmatico ed individuando i veri settori di rischio.
A partire dal meccanismo del sorteggio dei membri dei CSM e dell’Alta Corte.
Esso è inaccettabile, discriminatorio e ai limiti della costituzionalità .
C’è chi ha fatto notare che un simile meccanismo sia l’ennesima applicazione del principio populista dell’ “ uno che vale uno” , del disprezzo verso la politica ad ogni livello, compresa quella associativa .
Molto più probabilmente alla base vi è l’idea di ridurre il CSM a mero organo amministrativo levandogli ogni rilievo politico . In ogni caso in un’ottica riformista tale innovazione è inaccettabile, non si può condannare l’opinione ed il dibattito di idee come nocivo senza capire che si restringe la libertà non solo dei magistrati ma della società nel suo insieme.
Ancora , e non ultimo aspetto, sullo sfondo si staglia l’attacco alla giurisdizione anche sovranazionale con finalità di controllo della stessa.
Questo è ciò che abbiamo visto negli ultimi anni in Polonia Ungheria ed Israele prima del 7 ottobre .
E’ avvenuto che con forme diverse governi autoritari ed illiberali di destra hanno tentato di controllare la progressione delle carriere ed addirittura l’efficacia delle sentenze delle magistrature superiori come la corte costituzionale in Israele consentendo al governo di poterle disapplicare.
L’eco delle polemiche sui decreti albanesi deve risuonare come un sinistro avvertimento che la tentazione può esservi anche in Italia.
Per questo sarebbe un tragico errore attestarsi in difesa di un privilegio corporativo quale quello di un comune tetto riparatorio per pm e giudici che ormai l’opinione pubblica interpreta negativamente.
La capacità di individuare i veri nodi critici e su questi chiamare ad una comuna intesa studiosi , avvocati ed intellettuali sarà esiziale per la magiststura che in questi ultimi anni non ha mai dato segnali dopo la triste vicenda dell’Hotel Chamoagne e dei traffici elettorali di sapersi auto riformare e rinnovare. Altrimenti non è difficile prevedere per le toghe lo steso triste destino del sindacato dei minatori di Arthur Scargill contro Margareth Thatcher negli anni ‘70 in Gran Bretagna. Chiedendo scusa alla “Lady di Ferro” per il paragone con l’attuale premier italiana.
Avvocato penalista del Foro di Roma, scrive di giustizia per Linkiesta e Domani.