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COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

La situazione dello Stato di diritto nell’UE. Relazione sullo Stato di diritto 2020

(COM(2020)580)

Bozza di relazione dell’on. Stefano Ceccanti

 

Iniziamo oggi l’esame della Relazione sullo Stato di diritto 2020 – La situazione dello Stato di diritto nell’Unione europea, documento attraverso il quale la Commissione europea ha per la prima volta avviato il nuovo Meccanismo per lo Stato di diritto.

Si tratta, nelle intenzioni della Commissione europea, di avviare un ciclo annuale di valutazione delle condizioni di salute di quello che è ritenuto il principio cardine dell’architettura costituzionale degli ordinamenti moderni, oltreché uno dei valori fondanti l’UE, richiamato dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea.

 

Il concetto di Stato di diritto

Il concetto di Stato di diritto è il risultato di una lunga elaborazione condotta sul piano dottrinale e normativo. Nell’ambito dell’UE, fondamentale al riguardo è stato il combinato disposto della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, delle tradizioni costituzionali degli Stati membri, dei Trattati, e dell’evoluzione delle politiche e della legislazione dell’UE, a cui si aggiunge, poi, fuori dall’UE, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Ad esso sono riconducibili il principio di legalità, inteso come sottoposizione dei poteri pubblici alla legge e divieto di esercizio arbitrario del potere esecutivo; la certezza del diritto; il principio del bilanciamento tra i poteri e la garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia dell’ordine giudiziario, fino a ricomprendere anche la tutela del pluralismo sociale, con particolare riferimento alla libertà e al pluralismo dei media.

Nonostante il rispetto dello Stato di diritto sia formalmente garantito da una tutela multilivello, la Commissione ha inteso integrare lo spettro di strumenti vigenti con una iniziativa che sostanzialmente mira a diffondere un’approfondita consapevolezza delle questioni che interessano tale valore e a realizzare un ambiente europeo in grado di prevenire minacce e criticità in grado di comprometterne il rispetto.

 

La scarsa efficacia dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione Europea

La relazione e il ciclo annuale di valutazione dello Stato di diritto sono il risultato di una discussione avviata da tempo, focalizzata sulle criticità, sotto il profilo dell’efficacia, che sono stati riscontrate nelle attività di monitoraggio, prevenzione e risposta a livello europeo rispetto al verificarsi di rischi di violazione o effettive lesioni dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.

Tale discussione ha preso le mosse, in particolare, dalla riconosciuta scarsa efficacia dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea (TUE), il quale prevede un’articolata procedura in cui intervengono le principali Istituzioni europee, all’esito della quale il Consiglio può definire una sanzione nei confronti dello Stato membro in cui sia stata constatata l’esistenza di una violazione grave e persistente del principio: tale sanzione può consistere nella sospensione di quello Stato da alcuni dei diritti previsti dal Trattato, compreso il diritto di voto in sede di Consiglio.

Sul piano concreto, le prime esperienze di tale procedura hanno messo in evidenza che il difetto fondamentale dello strumento risiede nella prevalenza del momento politico su quello tecnico giuridico (l’adozione della sanzione dipende sostanzialmente dal pronunciamento del Consiglio dell’UE e del Consiglio europeo). Tale criticità è peraltro accentuata dal profilo delle maggioranze che sono richieste a seconda dei vari passaggi nell’ambito della procedura, nonché dal fatto che l’adozione di una sanzione è comunque subordinata ad un voto unanime del Consiglio europeo sulla constatazione di una violazione grave e persistente dello Stato di diritto da parte di uno Stato membro.

A riprova della sostanziale inefficacia dello strumento, basti pensare che il funzionamento della procedura testé citata è stata sperimentata solo per due volte (nei confronti di Polonia e Ungheria), rivelandosi peraltro farraginosa, atteso che in entrambi i casi non si è mai superata la fase istruttoria dell’iter.

 

Monitoraggio e sanzioni: un approccio realistico ma ambizioso

Dalla constatazione di tali oggettive difficoltà la Commissione europea ha fatto discendere non già la proposta di modificare i Trattati, ma di utilizzare gli spazi giuridici a disposizione per rafforzare il monitoraggio e la possibilità di intervenire più efficacemente per l’adozione di sanzioni, ovvero per esercitare una sorta di moral suasion nei confronti degli Stati membri i cui comportamenti siano ritenuti in grado di minacciare lo Stato di diritto.

Si tratta di un approccio realistico ma ambizioso, che la Commissione europea sta consolidando, con la recente adozione di ulteriori atti volti a rafforzare la politica europea in tale settore: il Piano d’azione per la democrazia europea, recante una serie di misure volte a garantire lo svolgimento libero e regolare delle elezioni, a promuovere una forte partecipazione democratica, a sostenere mezzi d’informazione liberi e indipendenti, nonché a contrastare la disinformazione; la Strategia per rafforzare l’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, fonte di diritto primario dell’UE che nel corso degli anni ha assunto un ruolo centrale sia per la legislazione europea sia per la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE e delle Corti nazionali.

La relazione in esame, elaborata dalla Commissione europea sulla base di un dialogo permanente con autorità nazionali e portatori di interesse, è volta a far scaturire come follow up un dibattito ciclico presso il Consiglio, presso il Parlamento europeo, nonché presso i Parlamenti nazionali.

 

Il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali

È opportuno soffermarsi su quest’ultimo significativo aspetto, poiché il coinvolgimento delle Assemblee rappresentative degli Stati membri nel nuovo meccanismo, proposto parallelamente sia dalla Commissione europea sia dal Parlamento europeo, si declina lungo tre dimensioni: la possibilità che i Parlamenti nazionali prendano parte alle attività consultive prodromiche alla redazione della relazione; la promozione del dialogo a livello nazionale sulle risultanze del documento della Commissione europea (che, anticipo fin d’ora, si articola in un capitolo generale sull’UE e l’insieme dei capitoli specifici per Paese); il coinvolgimento delle Assemblee nazionali in un dibattito interparlamentare promosso dal Parlamento europeo.

Da tale assetto emerge il ruolo imprescindibile dei Parlamenti, che si giustifica sulla base di tre motivi: 1) le questioni riconducibili allo Stato di diritto presentano profili di rilevanza costituzionale e legislativa; 2) i Parlamenti sono le istituzioni in cui si realizza al livello più alto il principio della rappresentanza politica; 3) nei Parlamenti il confronto coinvolge sia la maggioranza sia le opposizioni, a differenza dei Governi, che sono espressione della sola maggioranza.

In premessa, merita segnalare che i nuovi strumenti della relazione e del ciclo annuale sullo Stato di diritto sono stati concepiti anche a seguito della discussione che si è sviluppata nel contesto del Semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’UE (secondo semestre 2014), durante la quale sono stati offerti utili contributi al dibattito su come migliorare la politica europea in materia di Stato di diritto e di diritti fondamentali.

Da ultimo, occorre ricordare che la sede di cooperazione interparlamentare prefigurata nella proposta di ciclo annuale sullo Stato di diritto è stata sperimentata per la prima volta con lo svolgimento della riunione a Bruxelles del 10 novembre 2020, nel corso della quale sono stati scambiati punti di vista sul contenuto della Relazione, nonché sull’impatto della pandemia sulla democrazia, sullo Stato di diritto e sui diritti fondamentali.

 

I contenuti della Relazione

La Relazione – come accennato – consiste di due parti: una di carattere generale, volta a individuare temi e tendenze comuni agli Stati membri, nonché evoluzioni positive (o best practices) apparse in uno o più Paesi, e 27 capitoli che contengono le valutazioni specifiche della situazione nei singoli Stati membri; essa non contiene invece raccomandazioni specifiche per Paese per sanare o prevenire l’esistenza di carenze nel rispetto della Rule of law, né produce conseguenze dirette per i Paesi in cui fossero riscontrate violazioni e carenze generalizzate dello Stato di diritto, rimanendo all’uopo destinati i tradizionali strumenti dell’articolo 7 del TUE e della procedura di infrazione.

I documenti sono articolati al loro interno in approfondimenti su settori dell’ordinamento dai quali è desumibile il grado di tenuta del principio dello Stato di diritto:

– il sistema giudiziario;

– il quadro anticorruzione;

– il pluralismo e la libertà dei media;

– questioni istituzionali relative al bilanciamento dei poteri.

L’oggetto di questa mia relazione riguarderà in particolare gli ultimi due argomenti, mentre è opportuno che le prime due tematiche richiamate siano approfondite nella relazione per la II Commissione.

 

L’impatto di Covid-19

Vale la pena anzitutto soffermarsi su quella parte del lavoro della Commissione dedicata alle possibili ricadute delle misure emergenziali di contrasto alla proliferazione del Covid 19 sulla salvaguardia dello Stato di diritto. Si tratta di un tema su cui si sta accendendo un importante dibattito anche a livello dell’UE, cui è associato, per forte affinità, quello della compressione dei diritti fondamentali come conseguenze dell’azione dei Governi per contenere la pandemia.

Al riguardo giova ricordare che il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione sull’impatto delle misure connesse al COVID-19 sulla democrazia, sui diritti fondamentali e sullo Stato di diritto, con la quale ha, tra l’altro, sottolineato che le misure di emergenza possono costituire un rischio di abuso di potere e che, ove abbiano effetto sullo Stato di diritto, sulla democrazia e sul rispetto dei diritti fondamentali, devono essere soggette a tre condizioni generali, ovvero la necessità, la proporzionalità in senso stretto e la temporaneità. Il Parlamento europeo, in tale circostanza, ha altresì invitato i Governi nazionali a non abusare dei poteri di emergenza per approvare norme non legate agli obiettivi dell’emergenza sanitaria di COVID-19.

La materia è del resto estremamente delicata, atteso che le misure adottate a livello nazionale per il contrasto al diffondersi del virus, hanno avuto significative implicazioni circa il godimento di diritti fondamentali. Basti pensare alle limitazioni alla libertà di movimento, a quella di organizzare e partecipare a pubbliche manifestazioni o, ancora, alle misure che hanno parzialmente compresso il diritto all’istruzione o alla assistenza sanitaria per i soggetti affetti da patologie diverse dalla pandemia. 

La relazione in esame ha in qualche modo preceduto alcuni degli argomenti sottolineati dal Parlamento europeo circa le criticità per lo Stato di diritto in rapporto alla pandemia. In particolare, nella parte generale del documento, la Commissione europea sviluppa tre riflessioni chiave:

1) l’importanza di garantire che il processo decisionale urgente ed efficace, prevalentemente condotto dagli esecutivi, rimanga inquadrato in una logica di bilanciamento dei poteri e, dunque, sia possibile il controllo parlamentare, sia in funzione di indirizzo sia in funzione di verifica ex post circa le misure giuridiche adottate, nonché il controllo sulle leggi da parte delle Corti costituzionali e delle Corti supreme;

2) l’insorgere di ostacoli all’esercizio del controllo democratico da parte dei media e degli organismi della società civile durante i periodi emergenza e il rischio che siano adottate misure restrittive della libertà di espressione e di accesso alle informazioni (anche a fini politici);

3) la resilienza del sistema giudiziario, messo a dura prova dalla sospensione parziale delle attività degli organi giurisdizionali in dipendenza del COVID-19, con il rischio di compromettere il diritto fondamentale di accesso a un giudice indipendente e a un ricorso giurisdizionale effettivo. La Commissione, in questo senso, saluta con favore le iniziative volte alla digitalizzazione delle comunicazioni con gli uffici giudiziari e dello svolgimento dei processi.

 

La situazione dell’Italia

Passando alla parte della relazione specificamente dedicata all’Italia, è opportuno segnalare che il paragrafo concernente la libertà di espressione e di informazione si apre con la constatazione che il dato normativo costituzionale e legislativo stabilisce un solido quadro volto a garantire il pluralismo dei media nel nostro Paese. Tuttavia permangono, secondo la Commissione europea, preoccupazioni circa l’indipendenza politica dei media italiani.

In tal senso la relazione ricorda, peraltro, che ancora 15 anni dopo la segnalazione da parte della Commissione di Venezia (organismo consultivo del Consiglio d’Europa e tra i principali motori di riflessione giuridica indipendente, internazionalmente riconosciuta) permarrebbe la mancanza di disposizioni efficaci sulla prevenzione del conflitto di interesse, e che l’Osservatorio del pluralismo dei media (MPM) nel 2020 classifica l’Italia a medio rischio a tale riguardo, e conclude che nel settore audiovisivo l’influenza politica continua a essere notevolmente avvertita. Al riguardo segnalo del resto come la I Commissione abbia all’esame diverse proposte di legge in materia di conflitto di interesse (C. 702, C. 1461 e C. 1843) e abbia in proposito adottato alcune settimane fa come testo base un testo unificato delle predette proposte di legge.

In misura minore, secondo la Commissione europea questa valutazione si applicherebbe anche al settore dei giornali, a causa delle relazioni indirette tra gli interessi degli editori e il Governo, a livello sia nazionale sia locale.

La Commissione riconosce altresì l’utilità della creazione, per iniziativa del Ministero dell’Interno, di un Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti, al fine di monitorare la situazione e mettere a punto le necessarie misure di tutela (prima iniziativa in Europa intesa a creare un meccanismo di sicurezza di questo tipo).

Infine, la relazione mette in luce l’evoluzione giurisprudenziale in tema di reato di diffamazione avvenuta a seguito della sentenza della Corte di cassazione del 19 settembre 2019, n. 38721, la quale, in conformità agli orientamenti della Corte EDU, ha statuito che in caso di offese verbali la pena detentiva dovrebbe essere contemplata soltanto in circostanze eccezionali. La Commissione ricorda da ultimo che la Corte Costituzionale, intervenuta sul punto con l’ordinanza n. 132/2020, ha rinviato l’udienza al 21 giugno 2021 per consentire al Parlamento di riflettere sul rispetto del principio costituzionale della libertà di espressione come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Appaiono confortanti le indicazioni della Commissione europea sul ruolo della società civile in Italia, ritenuta vivace e diversificata. In tale contesto la relazione richiama la delibera, da parte della Corte Costituzionale, di norme integrative del proprio Regolamento interno, volte a promuovere una maggiore partecipazione della società civile e del pubblico ai lavori della Corte.

La Commissione europea prende altresì in considerazione le iniziative normative volte alla creazione di un organismo indipendente per i diritti umani, in linea con le raccomandazioni del comitato ONU sui diritti dell’uomo. Si tratta, come è noto, di un tema che da tempo attende risposte e che è oggetto di alcune proposte di legge, presentate alla Camera, recanti l’istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani fondamentali. In tale contesto appare particolarmente importante, soprattutto per gli ambiti di competenza della I Commissione, il rilievo, contenuto nella Relazione, circa la mancata creazione di un’istituzione autonoma e indipendente per la tutela dei diritti fondamentali; tale rilievo può infatti costituire uno sprone per dare impulso ai tre progetti di legge in materia (C. 855, C. 1323 e C. 1794) all’esame della stessa I Commissione. Si tratta di un invito autorevole, che rafforza ulteriormente la consapevolezza, che del resto già abbiamo, circa l’esigenza di intervenire quanto prima su tale tema, dopo il tentativo, non andato a buon fine per ragioni procedurali, di risolvere la questione nell’ambito del disegno di legge europea 2019-2020 (C. 2670), in corso di esame alla Camera.

La Commissione europea segnala, infine, che destano preoccupazione la complessità del processo di registrazione delle ONG e i ritardi nell’attuazione della legge che armonizza le norme relative al settore non profit. Inoltre, secondo la relazione il contesto in cui operano le ONG attive nel settore della migrazione e dell’asilo è influenzato da pregiudizi negativi e lo spazio civico è considerato ristretto. Del resto, alcune campagne di opinione contro le ONG si sono rivelate, alla distanza, puramente denigratorie e del tutto infondate.

 

La protezione del bilancio dell’Unione

Da ultimo, merita soffermarsi sulla recente approvazione del regolamento europeo relativo a un regime di condizionalità in materia di Stato di diritto per la protezione del bilancio dell’Unione. Il regolamento introduce un meccanismo fondato sull’irrogazione di sanzioni (tra l’altro, la sospensione dei pagamenti e degli impegni a valere sul bilancio UE, la riduzione dei finanziamenti nell’ambito degli accordi esistenti e il divieto di concludere nuovi impegni) nei confronti degli Stati ove siano riscontrate violazioni dei principi dello Stato di diritto che compromettono o rischiano seriamente di compromettere in modo sufficientemente diretto la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o la tutela degli interessi finanziari dell’Unione.

Lo strumento non ha precedenti, e vale la pena segnalare che la sua approvazione ha costituito un banco di prova determinante per l’adozione di tutto il bilancio a lungo termine dell’UE e per l’avvio del piano europeo per la ripresa e per la soluzione della crisi da pandemia. Esso rappresenta plasticamente il cambiamento di approccio da parte delle Istituzioni europee: con tale normativa la Commissione europea, condivisibilmente, ha assunto un atteggiamento fermo, che individua nel possibile pregiudizio economico un efficace deterrente, perché tocca interessi concretamente e immediatamente percepibili. Non si tratta di comprimere il legittimo pluralismo su scelte legislative, tanto più all’interno di un processo di graduale federalizzazione, ma di affermare alcuni standard irrinunciabili di scelte costituzionali comuni.

Resta da valutare se il punto di equilibrio che è stato individuato per realizzare il compromesso tra Istituzioni e per convincere Stati membri refrattari all’adozione finale della normativa, sarà soddisfacente ai fini della difesa dello Stato di diritto. In particolare, come stabilito dalle conclusioni del Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2020, occorrerà attendere le linee guida della Commissione europea sulle modalità di applicazione del regolamento, e probabilmente, prima ancora, il pronunciamento della Corte di giustizia europea sull’eventuale ricorso per annullamento del nuovo regime, onde verificare se tale iniziativa rappresenterà un’effettiva svolta nella politica di difesa di uno dei più importanti valori fondanti dell’UE, anche tenendo conto delle riserve espresse dal Parlamento europeo nella recente risoluzione, approvata il 17 dicembre, rispetto alla dichiarazione interpretativa del Consiglio.

In conclusione, è auspicabile un rapido esame della prima relazione sullo Stato di diritto, nella consapevolezza che un opportuno seguito, dato a livello nazionale, al lavoro della Commissione europea è il primo passo per l’opera di sensibilizzazione circa principi che troppo spesso diamo per scontati e che invece devono essere continuamente coltivati, al fine di non retrocedere dalle conquiste più avanzate dalle moderne democrazie.

In questo senso, è altresì auspicabile che l’esame si svolga in tutti i Parlamenti degli Stati membri, anche ai fini di eventuali ulteriori iniziative che potranno vedere coinvolte le Assemblee rappresentative. Al riguardo, segnalo che l’esame dell’atto della Commissione europea risulta completato solo dalla Camera dei Rappresentanti del Belgio e dal Bundesrat della Germania, mentre è tuttora in corso nei seguenti Parlamenti: il Parlamento danese, la Seimas della Repubblica di Lituania, il Consiglio nazionale della Repubblica slovacca e il Parlamento svedese.

Pro futuro sarebbe opportuno che venisse esaminata più nel dettaglio la capacità effettiva di azione dimostrata dai Parlamenti a tutela dell’equilibrio dei poteri durante la pandemia, anche utilizzando alcuni degli studi già pubblicati, come quelli della Fondazione Schuman (https://www.robert-schuman.eu/en/bookshop/0259-the-impact-of-the-health-crisis-on-the-functioning-of-parliaments.)

Sempre in termini di approfondimenti, il testo della relazione fa riferimento in più punti agli utili dati di Trasparency, che – basati come sono sulle percezioni – possono però dare un’immagine non del tutto corretta della realtà, soprattutto in alcuni Paesi: occorrerebbe pertanto sviluppare metodologie diverse, di integrazione e verifica dei predetti dati.

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2 Commenti

  1. Piero mercoledì 23 Dicembre 2020

    Non sono esperto giurista per questi temi. Apprezzo il lavoro di Ceccanti e lo invito a coniugare nel miglior modo e il più coinvolgente possibile anche i diritti e il ruolo dei cittadini e dei Popoli, soggetti fondamentali delle Istituzioni tutte…

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  2. stefano ceccanti giovedì 24 Dicembre 2020

    Grazie, se non ricevi già la rassegna quaotidiana puoi scrivere a stefano.ceccanti@libero.it
    Se non ricevi ancora la mia rassegna scrivimi a stefano.ceccanti@libero.it grazie

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