di Enrico Morando
Relazione introduttiva alla presidenza nazionale di Libertà Eguale, 8 aprile 2022
L’aggressione russa all’Ucraina impone radicali mutamenti di agenda, anche ai riformisti della sinistra liberale, perché cambia profondamente il contesto nel quale sono chiamati ad operare.
1- Ha proposto la priorità assoluta del tema della sicurezza: impone cioè di progettare una nuova architettura di sicurezza globale, per la quale occorreranno anni di lavoro e di cooperazione lungo un progetto preciso. Infonde fiducia constatare che si tratta di un processo che è già in corso. Lo dimostrano, tra gli altri, due fatti: il primo, è accaduto mercoledì scorso. Al vertice Nato hanno partecipato, oltre ai 30 membri del Patto, altri otto Paesi: quattro europei (Svezia, Finlandia, Georgia e Ucraina) e quattro dell’area Asia e Pacifico (Giappone, Corea del sud, Australia e Nuova Zelanda). È certamente rilevante se i Paesi europei in questione aderiranno o no alla NATO. Ma è ancora più rilevante che con questo incontro, di fronte alla minaccia sistemica della Russia, l’Alleanza delle democrazie, proposta da Biden già nel discorso di insediamento e nella vittoriosa campagna contro Trump, abbia cominciato a tradursi in cooperazione attiva, ai fini della sicurezza comune.
Perché questa accelerazione? Semplicemente perché l’aggressione ad una nazione indipendente e pacifica, nel cuore dell’Europa, da parte di una potenza nucleare che dispone del secondo esercito del mondo, non è un fatto locale, circoscritto all’ambito europeo, per quanto gravissimo. È una “sfida alla sicurezza globale“. Qualsiasi strategia di risposta che non assuma la stessa dimensione sarebbe a priori destinata al fallimento e ci esporrebbe a rischi fino a ieri “impensabili”.
Il secondo fatto è la svolta nella politica verso la Russia e nella politica di difesa della Germania. Nel suo grande discorso al Bundestag del 27 febbraio, il cancelliere Olaf Scholz non ha esitato né ad impegnare la Germania a fornire armi alla resistenza Ucraina, insieme agli altri paesi Nato, né ad affermare che “chiunque legga i saggi storicizzanti di Putin, chi abbia assistito alla sua dichiarazione di guerra all’Ucraina,…non può più avere dubbi sul fatto che Putin voglia costruire un impero russo“. Nè ha esitato a trarne le conclusioni: “…dobbiamo investire molto di più nella sicurezza del nostro Paese. Per proteggere la nostra libertà e la nostra democrazia… L’obiettivo è un esercito tedesco potente, all’avanguardia e progressista su cui fare affidamento e proteggerci.… Nella consapevolezza che la Bundeswer da sola non ha i mezzi per contenere tutte le future minacce”.
Un discorso e delle decisioni che costituiscono di per sé la prova che siamo già usciti dal vecchio contesto della politica di sicurezza -quello nel quale un massiccio riarmo tedesco non era annoverato né tra le cose probabili, né tra quelle possibili-, per entrare nella fase in cui si deve costruire quello nuovo.
Questo nuovo contesto è quello di una guerra fredda tra USA e Cina? Non so se si possa già rispondere positivamente a questa domanda. La Cina ha certamente ambizioni geostrategiche e punta ad un ruolo da protagonista nel processo volto a stabilire nuove regole della governance globale. Il totale allineamento alla posizione della Russia -se questo è il suo obiettivo-presenta per la Cina dei rischi enormi: la Russia, infatti, le regole della governance globale esistenti le viola tutte e, per questo, si appresta a divenire un specie di paria. Al tempo stesso, non si può chiudere gli occhi sul fatto che in questo momento i media controllati dallo Stato cinese -a cominciare dal Quotidiano del popolo- forniscono ai loro lettori una versione della vicenda Ucraina del tutto coincidente con quella di Putin. È un particolare molto importante, se teniamo in conto il rilievo strategico che ha assunto l’informazione.
In ogni caso, per concludere su questo primo punto: nel lavoro di costruzione di questo nuovo contesto di sicurezza globale dovranno essere tenute in gran conto due scelte di fondo (ne ha parlato recentemente Jeremy Fleming, direttore della comunicazione dell’Agenzia per la sicurezza del Regno Unito). In primo luogo, devono essere definiti nuovi modi per collaborare e cooperare con tutti i partner dell’Alleanza delle democrazie e devono essere costruite proposte convincenti di cooperazione rivolte agli Stati che non hanno ancora deciso da che parte stare. In secondo luogo, dovrà essere sempre garantita -nel processo di costruzione di questo nuovo contesto di sicurezza globale-, la piena fedeltà ai valori e ai principi fondamentali che hanno fatto il successo della democrazia liberale negli anni che ci stanno alle spalle.
È in questo contesto che si colloca la scelta di rispettare l’impegno preso con gli alleati ad accrescere fino al 2% del PIL le spese per la difesa. Non dobbiamo farlo solo perché “quest’impegno è stato preso da tempo“ ( della serie: io, potessi scegliere, non lo farei. Ma i governi precedenti…”). Ma perché è vitale per la sicurezza di ciascuno. Ed è decisivo, per l’efficacia di questa scelta, che l’impegno di ogni singola nazione europea sia immediatamente collocato nel contesto della costruzione di uno strumento unitario di difesa europea, pilastro fondamentale della capacità operativa della NATO. È molto importante che, su questo punto, il PD e le forze della sinistra riformista italiana -grazie alla nettezza delle scelte operate dal segretario Letta- abbiano sostenuto con vigore la posizione di Draghi e del Governo, con un impegno che garantisce il Paese -da parte del centrosinistra- ben oltre l’orizzonte temporale del Governo in carica in questo momento.
Il Presidente Draghi ha sostenuto, nei giorni scorsi, che “è un fatto che la pace arriva se l’Ucraina si difende“. Una frase che rende chiaro il nesso tra la guerra in corso e la prospettiva della sicurezza globale da costruire nel medio periodo: la resistenza Ucraina è una componente essenziale per il successo della costruzione di una nuova architettura di sicurezza, in Europa e nel mondo, perché può impedire che Putin esca vincitore dalla tragica avventura bellica in cui ha precipitato la Russia. Benissimo, quindi, la scelta comune di sostegno attivo della resistenza…
Proprio per questo, però, è urgente privare Putin del sostegno alla sua guerra che viene dagli acquisti europei di petrolio, gas e carbone. Ha scritto Jean Pisani-Ferry: “I leader europei dovrebbero chiarire al pubblico che non possono sconfiggere un avversario pronto a sopportare un calo del 20% del PIL, se gli europei non sono disposti a rischiare un calo del 2%“. Dobbiamo riconoscere che mentre gli aiuti militari stanno funzionando, grazie al coraggio e allo spirito di sacrificio dell’esercito e dei cittadini dell’Ucraina, le sanzioni economiche -che pure nel medio periodo avranno un peso rilevante-, non stanno funzionando, almeno nell’immediato: la Russia ottiene da noi quasi un miliardo al giorno per alimentare la sua guerra.
L’embargo totale subito, quindi, sembra una scelta più efficace ( e dunque più prudente) di quella delle sanzioni graduali e crescenti nel tempo. La resistenza Ucraina non ha tutto questo tempo.
Per alcuni Paesi europei -la Germania e l’Italia su tutti- è una scelta difficile, che presenta rischi elevati. Ma è molto probabile che, anche dal punto di vista economico, i rischi determinati dalla incertezza connessa ad una guerra lunga siano addirittura più elevati. Per non considerare quelli -anche di tipo economico-, connessi ad una vittoria acquisita da Putin anche grazie alle risorse finanziarie che vengono dall’Unione Europea.
Anche in questo caso, la scelta per l’immediato va collocata in un orizzonte di tempo più lungo. Nell’immediato, bisogna trovare gas (e farlo arrivare nelle nostre case e alle nostre imprese) da paesi diversi dalla Russia. Cioè, dobbiamo diversificare le fonti del gas che usiamo. Ma, subito, dobbiamo compiere delle scelte che ci consentano, nel medio-lungo periodo, di essere meno dipendenti non solo dal gas russo, ma dal gas in generale. Su questo tema, ho trovato convincenti gli argomenti di Umberto Minopoli in materia di ripresa di un programma nucleare in Italia, sviluppati in un recente articolo sul Foglio.
Gli effetti negativi della scelta dell’embargo subito possono essere limitati se contemporaneamente si approva un programma europeo per la politica energetica comune che abbia dimensioni e caratteristiche analoghe a quelle del Next Generation EU, che è stato costruito per far fronte ad una minaccia comune, ma tenendo conto della diversa esposizione al rischio di ogni singolo Paese dell’Unione.
Quando parlo di effetti negativi dell’embargo, da contrastare con programmi europei, mi riferisco alla dimensione economica, ma soprattutto a quella sociale. Quest’ultima, delle due, è quella più rilevante. Infatti, se le previsioni degli istituti di analisi economica ipotizzano che l’embargo immediato potrebbe provocare una caduta del Prodotto -rispetto alle previsioni pre-conflitto-, tra l’1 e il 2% del PIL, non c’è bisogno di essere esperti per valutare quali sarebbero le fasce sociali più colpite. I programmi di intervento dovrebbero dunque assumere questa priorità, sia perché è giusto in sé, sia perché è per questa via che si possono contenere le derive populiste che possono essere alimentate dalle sofferenze sociali indotte dalle scelte di contrasto all’aggressione di Putin.
Una scelta per l’adozione di programmi europei simili al Next Generation EU sembra del resto imporsi anche per far fronte ai rischi connessi al riaccendersi dell’inflazione in un contesto di bassa crescita (un problema già presente prima della guerra, che quest’ultima rende ancora più difficile).
La politica monetaria, da sola, non può tutto -esattamente come una corda può molto se c’è da tirare, ma può poco se c’è da spingere. Se il problema è il rischio di stagflazione, la soluzione sta nella costruzione di un nuovo equilibrio tra politica monetaria e politica fiscale. Proseguire nella sospensione temporanea delle regole fiscali (Patto di stabilità) e mantenere l’intonazione espansiva della politica monetaria della BCE può essere ed è necessario nell’immediato, ma non è certamente sufficiente nel futuro prossimo. Allo stesso modo, in Italia, limitarsi ad invocare lo scostamento di bilancio nell’immediato, come se la politica fiscale del Paese potesse essere definita a prescindere dalla costruzione di un nuovo equilibrio in sede europea, è un’illusione (la politica fiscale nazionale non ha la potenza di fuoco necessaria) e può costituire addirittura un pericolo, facendo tornare il dubbio circa la sostenibilità del debito pubblico italiano.
2- Infine, Un’osservazione sulla situazione politica italiana e sulla prospettiva del campo del centrosinistra.
Non descrivo in questa sede i termini della discussione che si è sviluppata qualche tempo fa, su Libertàeguale, tra Michele Salvati, Claudio Petruccioli e il sottoscritto, nella quale sono poi intervenuti anche Fasano, Rodriguez e Addario. La ricaduta finale delle due posizioni riguardava la discussione sulla legge elettorale -maggioritaria (per me, e per Fasano, Rodriguez, Addario) o proporzionale (per Michele e Claudio). In entrambi i casi, lo sforzo era quello di collocare l’alternativa tra l’una e l’altra proposta nella valutazione di ciò che serve al Paese (ed è realisticamente realizzabile), nel quadro degli attuali rapporti di forza tra centrodestra e centrosinistra e all’interno di questi due campi politici.
Come può influire, la guerra in Ucraina e ciò di cui ho parlato fino ad ora, sull’evoluzione della situazione e della nomenclatura politica italiana?
A me sembra di vedere, nel campo del centro-sinistra largo (comprendente il PD, all’interno del quale si può ormai collocare LEU, le forze riformiste come Azione e Italia Viva, il M5S di Conte), la conferma -contrastata, ma in via di consolidamento- della centralità del PD, che Letta ha collocato su solide posizioni atlantiste e ed europeiste. Posizioni che sono state assunte con nettezza, mantenute e sviluppate con la necessaria fermezza, senza reticenze, ritardi o contraddizioni derivanti dall’esigenza di mediazioni preventive con gli alleati.
Poiché si tratta di posizioni convergenti con quelle di Draghi -costantemente volte a determinare un terreno più avanzato di mediazione per Draghi stesso all’interno del governo (penso, ad esempio, alla posizione assunta da Letta sull’embargo del gas russo)-, a me pare si possa dire che il PD e le forze minori di sinistra liberale sono (e vengono percepiti) come il “partito“ più leale a Draghi e più impegnato a sostenerne le politiche. È evidente che nel M5S crescono le contraddizioni, le tentazioni di smarcarsi. È infatti molta la distanza tra ciò che si fa oggi (ad esempio, esaltare il carattere decisivo del TAP che porta gas non russo in Italia e il successo del ministro Di Maio nella recente missione in Azerbaigian) e ciò che si è fatto ieri (lo stesso Di Maio, Vicepresidente del Consiglio: ” Sul TAP sono stato molto chiaro: il M5S era ed è no TAP“). Ma proprio questa distanza, secondo me, segnala la potenzialità e il realismo di una prospettiva che scommetta sulla vocazione maggioritaria del PD e delle forze riformiste nel campo del centro-sinistra, nella prospettiva di un rinnovato bipolarismo, cui l’esperienza del Governo Draghi e i suoi risultati, assieme al consenso che riscuotono, arrecano forza e credibilità. Non sto dicendo che sia facile. Sto dicendo che è possibile.
È evidente che -nel campo del centro-destra- Fratelli d’Italia di Meloni sta tentando la stessa operazione, cambiato quello che c’è da cambiare. Meloni può contare, in partenza, su di un consenso elettorale più vasto e su di una maggiore omogeneità dell’elettorato dello schieramento. Un vantaggio competitivo che non può certo essere trascurato ( Segatti 2021). Ma conduce l’operazione di costruzione della propria egemonia sul centro-destra in condizioni di maggiore debolezza politica. Nel caso di Fratelli d’Italia, infatti, le contraddizioni e i ritardi da superare non sono solo quelli degli alleati -Lega soprattutto, ma anche Forza Italia, in tema di filoputinismo.
Sono anche quelli interni al partito che cerca di affermare la sua “vocazione maggioritaria“. Può così accadere che da un lato Fratelli d’Italia -unico partito di opposizione-, appaia e sia più allineato al Governo, in materia di contrasto all’aggressione di Putin, degli altri partiti di centrodestra che fanno parte della maggioranza. Ma, dall’altro lato, accade che Meloni e il suo partito salutino la vittoria di Orban in Ungheria con toni che mostrano la fragilità della loro scelta europeista e atlantica: “ È interesse dell’Europa riapassionare gli ungheresi alla causa comune e chiudere gli spazi all’ingerenza di Russia e Cina…” Il problema, per Meloni, è che il da lei celebrato Orban pensa che le “ingerenze“ da cui ci dovremmo difendere non sono quelle di Russia e Cina, ma quelle della Unione Europea rispetto alle singole nazioni che ne fanno parte. E agisce di conseguenza.
Tutto ciò, in vista della competizione del 2023, mina la credibilità e l’affidabilità del centro-destra egemonizzato da Fratelli d’Italia e gli rende difficile intestarsi -come invece può fare il centro-sinistra egemonizzato dai riformisti- l’esperienza del Governo Draghi. Anche perché il maggiore partito del centro-destra ha scelto, per calcolo elettorale, di sottrarsi al vincolo della responsabilità nazionale, restando fuori dalla maggioranza. Una scelta che si sta rivelando utile per la crescita del consenso, ma contraddittoria per un partito che abbia ambizioni maggioritarie.
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)