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L’ascesa del nazionalismo nel mondo

Alessandro Maran giovedì 27 Febbraio 2025
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di Alessandro Maran

Che cosa hanno in comune il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il presidente russo Vladimir Putin, il leader cinese Xi Jinping, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il primo ministro indiano Narendra Modi?

Parecchio, secondo Michael Kimmage, storico e direttore del Kennan Institute del Wilson Center. Su Foreign Affairs, in un nuovo articolo sull’ordine mondiale che Trump sembra preferire, Kimmage scrive che sono tutti nazionalisti interessati principalmente alla grandezza dei loro paesi. “Sono sedicenti uomini forti che danno poca importanza ai sistemi basati su regole, alleanze o forum multinazionali”, scrive Kimmage. “Sostengono e propagandano la gloria passata e futura dei paesi che governano, imponendo un mandato quasi mistico al loro governo. Sebbene i loro programmi possano comportare cambiamenti radicali, le loro strategie politiche si basano su ceppi di conservatorismo, facendo appello, sopra le teste delle élite liberali, urbane e cosmopolite, all’elettorato animato da una fame di tradizione e un desiderio di appartenenza”.
E ora stanno dominando l’arena internazionale, poiché l’ordine mondiale post-Guerra fredda ha lasciato il posto a un “caleidoscopio” di programmi nazionali.
Il lato positivo, scrive Kimmage, è che gli Stati Uniti potrebbero esercitare un potere considerevole nel nuovo assetto relativamente anarchico, in cui i paesi potenti perseguono i propri interessi e talvolta cercano di cambiare i confini. In modo più pessimistico, scrive Kimmage, l’ascesa del nazionalismo e il declino dell’ordine mondiale liberale potrebbero comportare gravi rischi. Se i confini non sono più sacrosanti – un precedente che la Russia ha tentato di stabilire invadendo l’Ucraina – ciò potrebbe causare altre guerre in Europa, dove storicamente per i confini si è combattuto, avverte Kimmage.
“Con Trump al potere (negli Stati Uniti), il senso comune ad Ankara, Pechino, Mosca, Nuova Delhi e Washington (e molte altre capitali) decreterà che non esiste un unico sistema (internazionale) e nessun insieme di regole concordato”, scrive Kimmage. “In questo contesto geopolitico, l’idea già tenue di ‘Occidente’ regredirà ancora di più (…) I paesi europei sono stati condizionati ad aspettarsi la leadership degli Stati Uniti in Europa e un ordine basato su regole (…) fuori dall’Europa. Il rafforzamento di questo ordine, che si sta sgretolando da anni, spetterà all’Europa, una confederazione di stati senza esercito e con scarso potere coercitivo organizzato (…) Nessuna delle usuali descrizioni dell’ordine mondiale è più valida: il sistema internazionale non è unipolare, bipolare o multipolare. Ma anche in un mondo senza una struttura stabile, l’amministrazione Trump può ancora usare il potere americano, le alleanze e la politica economica per disinnescare la tensione, minimizzare i conflitti e fornire una base per la cooperazione tra paesi grandi e piccoli. Ciò potrebbe soddisfare il desiderio di Trump di lasciare gli Stati Uniti, alla fine del suo secondo mandato, in una situazione migliore di quanto non fosse all’inizio” (https://www.foreignaffairs.com/…/world-trump-wants…).
Qualche anno fa, Michael Kimmage ha scritto «The Abandonment of the West: The History of a Idea in American Foreign Policy» (Basic Books, 2020), un bel libro che all’epoca ho recensito anche su Fb (https://perfondazione.eu/la-difesa-delloccidente-cornice…/).
La difesa dell’Occidente, che Kimmage definisce come un concetto geopolitico e culturale piuttosto che come un luogo geografico, è stata il nucleo animatore della politica estera statunitense sin dall’inizio del ventesimo secolo. Nel libro Kimmage traccia l’ascesa del concetto nella prima metà del secolo e poi il suo graduale declino sotto le critiche sia della sinistra (che vedeva il paradigma come troppo bianco e troppo imperiale) sia della destra (che lo riteneva troppo multinazionale), fino alla sua scomparsa dopo la fine della Guerra fredda. Un tempo i presidenti americani decantavano regolarmente l’Occidente nei loro discorsi e le università richiedevano corsi introduttivi sulla civiltà occidentale. Non più. Oggi, lamenta Kimmage, sono altre le idee che guidano la politica estera americana: da un lato, la ricerca di un «ordine internazionale liberale universale» e, dall’altro, il nazionalismo illiberale di «America First». E si può ben dire che Donald Trump sia stato «il primo presidente non occidentale degli Stati Uniti».

Naturalmente, Kimmage illustra i costi di questa perdita: l’idea, infatti, aveva fornito una ragione per l’impegno internazionale, una bussola per affrontare le sfide autoritarie di stati come la Cina e la Russia e un principio guida più ampio per la politica estera statunitense. Ora L’editoriale di ieri di Martin Wolf, il principale commentatore economico del Financial Times, ha un titolo che non avrei mai pensato di leggere: “Gli Stati Uniti sono ora il nemico dell’Occidente” (https://www.ft.com/…/b46e2e24-ca71-4269-a7ca-3344e6215ae3).

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