di Giovanni Cominelli
Per quanto si possa torturare i numeri per far confessare loro l’inconfessabile, quelli delle ultime elezioni regionali resistono ad ogni pressione indebita. Qui si parla di quelli assoluti, non di percentuali. I numeri assoluti fotografano il consenso verso i partiti e, indirettamente, l’interesse verso le istituzioni; i numeri percentuali rispecchiano i rapporti di forza tra i partiti, definiscono la quantità di seggi spettante a ciascuno e, dunque, decidono chi governa e chi sta all’opposizione.
Ci limitiamo qui a quelli che riguardano i candidati-Presidente in Lombardia.
Nel 2018 il Presidente Fontana ottenne 2.793.369 voti. Nel 2023 ne ha ottenuti 1.774.477. Ha perso per strada 1 milione e 18.892 voti. Il PD nel 2018 presentò Gori, che portò a casa 1.633.373. Il M5S ne aveva presi da solo 974.993, candidato Violi. Nel 2023, in alleanza con il M5S, Majorino conquista 1.101.417di voti. Ne perde 531.956; ma l’alleato attuale – il M5S – ne perde 974.993.
Dove sono finiti i 2 milioni e mezzo di voti perduti dagli opposti schieramenti? Si sono sciolti nell’alta marea dell’astensione, salita al 58,3%. Su 7.882.634 di elettori aventi diritto, Fontana ne intercetta solo 1.774.477. E’ lecito chiedersi a nome di chi realmente parli e governi un Presidente eletto con questi numeri.
Il fenomeno dell’astensione non è nuovo, ma sta diventando una costante, tanto alle politiche quanto alle regionali. Una costante patologica.
Preso atto delle conseguenze positive per la stabilità del governo Meloni, per ora, e delle convulsioni, che non si placheranno tanto presto, nel campo dei perdenti-meno e dei perdenti-di più, è urgente guardare dentro la voragine che si è aperta sotto i partiti e sotto l’istituzione che governano.
L’astensionismo impone due ordini di riflessione.
Il primo riguarda il rapporto partiti e istituzioni. La crisi della politica partitica influisce negativamente sulla reputazione delle istituzioni, soprattutto in un sistema politico-istituzionale nel quale il rapporto con le istituzioni è fortemente intermediato dai partiti. Se i partiti sono poco credibili, le istituzioni continuano a svettare, come le Piramidi, nel deserto della politica, ma perdono legittimazione. Il cittadino che dalla propria riva privata del fiume voglia passare a quella pubblica delle istituzioni, deve usare il traghetto dei partiti. Se lo trova poco sicuro, decide di stare fermo di qua. Come i partiti hanno trattato/ridotto l’istituzione-Regione, che hanno gestito dalla sua fondazione? In un precedente articolo, relativo al DDL Calderoli, si faceva notare come la Regione si sia trasformata sempre di più da Ente legislativo e di programmazione in Ente amministrativo. La struttura amministrativa regionale si è ingigantita, è diventata inefficiente, ma sempre più costosa. Le regole interne di funzionamento e lo stile sono gli stessi dell’Amministrazione dello Stato, che è da sempre il vero motore di unità/unificazione, al ribasso, del Paese. I rapporti con i Comuni, ridotte le Province a simulacri, sono diventati clientelari. Nell’ultimo anno una pioggia di micro-finanziamenti ha investito le Amministrazioni dei Comuni ai fini di opere più diverse e improbabili, certamente non strategiche: nuovi lampioni, nuove facciate, qualche frana, qualche parco, qualche marciapiede, qualche area pedonale… E questa è una delle cause della tenuta della Lega nelle Valli lombarde. Le grandi questioni della vita quotidiana dei cittadini – Sanità, la Formazione professionale, Viabilità … – sono state mal governate. Così, chi votava per speranza o per protesta, ha smesso di sperare, di protestare, di votare.
Il secondo ordine di riflessioni riguarda il rapporto partiti e cittadini.
Che cosa accade nel “Conscio singolare” di milioni di individui, quando si accumula in un “Inconscio collettivo” apparentemente irrazionale, oscuro e sfuggente, che retroagisce sul “Conscio singolare”?
L’incapacità di guardarvi dentro può portare Carlo Calenda a dire che, a volte, “gli elettori hanno torto”. Ma quand’anche, si tratta di comprendere i loro “torti”. Se i partiti si chiudono a conchiglia di fronte ai risultati elettorali – è il caso del PD, del M5S, della Lega, di Forza Italia, di Azione/-Italia Viva, di quasi tutti, insomma – si precludono semplicemente la comprensione della società, nella quale pure ambiscono a gettare radici.
Il fatto è che la crisi spirituale indotta dagli eventi globali – covid – guerra- trasformazioni socio-economiche – inflazione – terremoti – tocca tutti quanti, non solo le anime colte, che abitano nelle ZTL. Anche a chi abita nelle aree interne, nelle piccole città, nelle campagne, nelle valli. Perché il primo carattere della globalizzazione è che tutti sono connessi con tutti e con il tutto. Tutti gli eventi sono davanti a tutti, qui e ora, contemporaneamente. Nessuno è al riparo. È un salto quantico della Mente collettiva. In che cosa consiste, dunque, la crisi spirituale? Che l’intreccio disordinato delle emozioni, delle paure, delle percezioni, delle interpretazioni del mondo sta dissolvendo l’idea che vi possa essere una verità e che bisogni incessantemente cercarla. Si sta decomponendo il sistema di pensiero, che sta alla base della civiltà europea: la verità come “adaequatio rei et intellectus”. Il mondo appare come un arazzo visto da dietro: un intreccio multicolore e insensato di fili. L’operazione filosofica e culturale oggi più di moda è quella della decostruzione. Non è incominciata oggi. È nata negli anni ’60 come operazione descrittiva con Jacques Derrida, a sua volta erede creativo di altri lasciti – da Nietzsche a Heidegger – per trasformarsi da subito in prescrittiva: la verità/realtà non esiste. Il patchwork di Sanremo ne è stata la metafora e la plastica realizzazione. Ora, se non c’è più verità/realtà non c’è più etica pubblica. Che viene ridotta a predicazione e imputazione di diritti. L’effetto civile e sociale complessivo è l’entropia dei pensieri e dei comportamenti, la crisi della memoria, il ripiegamento e la fuga verso un’identità privata, affidata ai vettori più diversi: i consumi, la comunità locale, l’etnia, la nostalgia del passato. Questo è ciò che si muove nel Conscio/Inconscio.
A questo punto, non è così impertinente la domanda: che c’entrano i partiti e la politica con Derrida? C’entrano: perché trasformare “lo spirito del tempo” così incerto e frammentato in partecipazione attiva alle vicende del mondo e, dunque, alla politica, non è possibile senza uno sforzo di cercare e di dire la verità sul mondo medesimo. Dire la verità sul mondo e fare derivare da questa dei doveri pubblici: questo è la missione dei partiti. Verità di parte, si intende: filosofia, ideologia, sapere del mondo. Se invece sono ridotti a otri pieni di vento, a reti bucate degli interessi e del fanatismo ideologico, allora diventano incapaci di portare dalla riva privata a quella pubblica e alle istituzioni che la incarnano.
Editoriale da santalessandro.org
Sabato, 18 febbraio 2023
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.