di Giovanni Cominelli
Sui fragili spalti di milioni di persone arrivano oggi ondate di paura, di incertezza, di odio, di violenza, di fondamentalismo, di irrazionalismo, di irresponsabilità, di demagogia politica, di faziosità, di false informazioni… La vicenda afghana le condensa tutte quante.
Le proprie paure interagiscono con quelle di ogni altro, gonfiandosi a dismisura. Si parla qui non di quelle private, ma di quelle “pubbliche”, delle angosce che hanno come oggetto il destino collettivo. Sono le paure dell’Homo occidentalis, si intende. L’esperienza del mondo che fa un cinese o un nigeriano è probabilmente molto diversa e forse meno incerta e meno sofferente.
E’ comunque certo che la fenomenologia della coscienza occidentale appare oggi particolarmente drammatica.
Altre volte in Occidente si è avvertita una sorta di malinconia del tramonto, a partire da Spengler. Lungo tutti gli anni del Dopo-Grande guerra la visione dell’uomo e della storia, ereditata dal Settecento filosofico e dall’Ottocento industriale, è andata in frantumi: milioni di morti, quattro imperi saltati per aria, nuove acquisizioni logico-matematiche, nuove teorie fisiche, nuove filosofie. Un’unica certezza: la perdita di ogni certezza. Se filosofi, letterati, artisti, cineasti registrarono il cambiamento dello “spirito del tempo”, la coscienza privata di milioni di individui venne quasi subito nazionalizzata e “pubblicizzata” da esperienze nazional-statali totalitarie. A Sartre che scriveva che “l’uomo è una passione inutile”, il comunismo, il fascismo e il nazismo contrapposero una robusta coscienza pubblica, nella quale la passione individuale riacquistava senso e utilità. Milioni di individui furono ri-attratti da un potente magnete nella corrente collettiva della storia del mondo.
Le deboli e esitanti democrazie liberali furono costrette ad accettare la sfida, dopo aver respinto fino all’ultimo l’amaro calice della lotta. Nello scontro frontale le democrazie riuscirono a nazionalizzare le masse, a dare un senso agli smarrimenti e alle angosce degli individui. La coscienza dolente di milioni di individui nei labirinti del narcisismo privato, si trasformò, volente o nolente, in coscienza geopolitica e nella pratica conseguente. Tutti furono “arruolati”.
Tutto ciò fino al 1989. Per tutto il decennio successivo é aleggiata l’illusione di un compimento liberal-democratico e di una pacificazione della storia del mondo, macchiata “solo” dalle feroci guerre jugoslave e dal genocidio ruandese. Le prime sono apparse alla coscienza europea come i titoli di coda di un vecchio film, mentre il genocidio del Ruanda era un evento lontano dal territorio e dalla coscienza europea. Ma, a partire dal settembre del 2001 – dalle Torri Gemelle – è stato un susseguirsi di eventi e di fenomeni, che hanno mondializzato le coscienze individuali, nel senso che sono state gettate brutalmente nei marosi del mondo. Il mondo per un occidentale e europeo: il disordine geopolitico, quello del terrorismo, quello dell’infosfera, quello del cambiamento climatico, quello dei movimenti migratori, quello delle biotecnologie, quello dell’Intelligenza artificiale e, finalmente, quello del Covid e dell’Afghanistan…
Di nuovo siamo gettati nell’incertezza e nel rischio, come scriveva l’esistenzialista cristiano Peter Wust nel lontano 1937, ma che già nel 1928 aveva scritto “La crisi dell’umanità occidentale”. Le paure private sono diventate pubbliche e queste hanno potenziato quelle private. Oggi si ha paura del mondo.
A questa malattia della coscienza spirituale europea, il sovranismo occidentale euro-trumpiano ha tentato di dare una risposta, che richiama gli anni ’30. Con una differenza fondamentale: il sovranismo aggressivo di allora si propone oggi come sovranismo introverso, che fa del ripiegamento individualistico e anarco-libertario il motore principale. Alla coscienza individuale, gettata nel mondo, non si propone l’orizzonte di una nuova coscienza geopolitica, ma quello più visibile e più basso del “padroni a casa propria”. Si tratta di un sovranismo corporativo, non perché si rifaccia ideologicamente al vecchio corporativismo, ma perché alimenta e rappresenta ogni aggregato parziale di interessi, essendo la corporazione il primo antemurale di autodifesa nella società complessa globale.
La domanda è: perché in Italia, e non solo, questa risposta raccoglie così tanto consenso? Detto in altro modo e dal lato opposto della barricata: perché la costituzione di una coscienza geopolitica – consapevole dei legami del Paese con il mondo, delle interdipendenze e delle multilateralità, della dimensione sovrannazionale ed europea – è minoritaria?
Eppure, tanto nella tradizione cattolica e liberale quanto in quella della sinistra democratica l’idea comunitaria e quella europeista e multilateralista sono fondative. Un ramo può piegare a destra e un altro a sinistra, ma le radici cristiano-liberali alla base del PD quanto di Forza Italia sono le stesse.
Perché, dunque, non sono capaci di egemonia?
Perché hanno fallito, hanno perciò perduto legittimazione e reputazione quali classi politiche dirigenti.
Perché anni di non-governo, di dis-governo e di mal-governo hanno lasciato crescere una società corporativa, che è la base socio-materiale dell’anarco-sovranismo, quando le risorse diventano scarse e si accende una lotta all’ultimo sangue per la loro spartizione.
Perché l’evasione fiscale, il malfunzionamento delle Amministrazioni pubbliche, la mala-giustizia, la crescita delle mafie, l’economia in nero sono l’effetto dell’azione/inazione delle classi politiche dirigenti. Anche la Lega di Bossi-Maroni-Calderoli e Alleanza nazionale di Fini sono state parte attiva di quel sistema che è fallito. La Lega di Salvini e Fratelli d’Italia della Meloni sono tutt’altra cosa rispetto ai loro padri. E’ inutile e noioso continuare a rimproverare loro le origini e perdersi in diatribe sul fascismo/antifascismo. Hanno tratto le conseguenze culturali e politiche anarco-corporative del fallimento del sistema politico, di cui i loro padri erano parte attiva. Non hanno voglia di cambiarlo. Perché le loro fortune politico-elettorali nascono e crescono dalla rendita di posizione del suo fallimento. Difendono accanitamente i loro pezzi corporativi.
C’è un solo modo per sconfiggere il sovranismo e riportarlo sotto la superficie carsica, sotto cui scorre da sempre: spezzare le reti corporative che imprigionano la società italiana, la giungla degli interessi e delle rendite. Insomma: fare le riforme, il cui elenco è sempre più lungo e cogente. A partire da quella della politica. Non si fanno riforme senza governi di lungo periodo. Le sta tentando Mario Draghi. Ma si tratta di un tentativo a tempo determinato, al quale l’attuale maggioranza anti-sovranista si limita a dare un appoggio alternato a riserve mentali, scarti, furbizie demagogiche.
E così, mentre il Paese, sotto la spinta di minoranze creative e del contesto europeo, si sforza di uscire dalla palude, le vecchie forze politiche, che hanno governato in alternanza il Paese per più di vent’anni, vanno alla deriva, “in una specie di apatica ipnosi catalettica, come se si trattasse delle azioni di qualcun altro”. Così disse Churchill, alla vigilia della Prima guerra mondiale. Di sonnambulismo muoiono le nazioni, i partiti politici e le leadership.
(Editoriale da santalessandro.org, sabato 4 settembre 2021)
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.