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Letta, le ragioni dell’atlantismo e la resistenza degli ucraini

Umberto Ranieri venerdì 15 Aprile 2022
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di Umberto Ranieri e Fabrizio Cicchitto

 

Per Michele Prospero (Il Riformista del 9 aprile) Enrico Letta è prigioniero  di una impostazione atlantista, fautore di una linea di inasprimento dello scontro tra Ucraina e Russia, il suo è il linguaggio del “segretario in pectore” della Nato più che del “leader del Pd  partito chiamato alla sintesi dinamica dei diversi riformismi repubblicani”. Non basta. Enrico Letta, secondo Prospero, “recupera l’immaginario della guerra fredda, dimentica l’anima pacifista-irenica della Dc, mette in soffitta il Craxi di Sigonella, ignora la lezione di De Michelis. E tutto ciò lo fa per scegliere la tradizione di Andreatta e Spadolini, un duo di guerrafondai legati mani e piedi all’imperialismo americano. Questa, l’analisi raffinata di Prospero. Difficile discutere della più grave crisi internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale con chi risolve il proprio intervento in una gragnuola di invettive e in una ricostruzione sommaria e improvvisata della politica estera italiana. Ma tant’è. Armati di pazienza proviamo a farlo.

Poche osservazioni sui caratteri assunti dalla politica estera italiana nel corso del dopoguerra. Non mancarono velleitarismi destinati a scontrarsi con la durezza dei rapporti di forza sulla scena internazionale. Tuttavia l’ambizione nutrita da una parte del mondo politico ed economico italiano a marcare una maggiore autonomia della nostra politica estera e a condurre con una azione diplomatica più aperta il dialogo con il mondo arabo dell’area mediterranea e medio-orientale, non mise mai in discussione l’ancoraggio italiano all’atlantismo e all’europeismo che restarono i cardini della nostra politica estera da De Gasperi a Fanfani, da Aldo Moro ad Andreatta, da Saragat a Nenni, da Craxi a De Michelis.

A proposito poi di “autonomia combattente fornita da Craxi” andrebbe ricordata la decisione cruciale compiuta a metà degli anni Ottanta dal suo governo. Nel 1983 senza tenere in alcun conto le proteste dei comunisti e dei pacifisti Craxi autorizzò la installazione dei missili americani Pershing e Cruise nelle basi italiane della Nato, installazione che Washington aveva voluto per far fronte alla schiacciante superiorità dei missili SS20 sovietici dislocati nell’Europa orientale. Quella decisione del governo italiano rese possibile il dispiegamento dei missili anche in Germania, fronte estremo dell’Occidente negli anni della guerra fredda. I sovietici avvertirono che l’equilibrio strategico stava cambiando a loro sfavore. Dopo poco più di un anno sarebbe giunto Gorbaciov. 

Torniamo alla questione di fondo: la posizione italiana sul conflitto tra Ucraina e Russia.

Quella di Prospero, al netto delle invettive, è la posizione di coloro che da settimane contestano la scelta dell’Italia e degli Stati membri della Unione europea di inviare armi a Kiev per consentire agli ucraini di difendersi dalla aggressione russa, decisione che costituirebbe per costoro una “forzatura del dettato costituzionale”.

L’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite richiama “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite”. La legittima difesa è consentita fino a quando il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza. Il Consiglio, nel caso in questione, è bloccato dal veto della Russia, paese aggressore che riduce l’Onu alla impotenza.

Per l’art. 11 della Costituzione l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Ma per l’art. 10 “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, non è dubbio che tra quelle rientri la legittima difesa, norma consuetudinaria richiamata dagli articoli sopra citati. Insomma, la Costituzione non condanna chi resiste in armi all’aggressore esercitando il diritto alla difesa legittima. L’aggressore opera un abuso, l’aggredito esercita un diritto. E dunque il sostegno con l’invio di armi all’aggredito che ha dimostrato di essere in grado di esercitare il diritto di difendersi  è consentito. 

Ricordiamo infine quanto scriveva Norberto Bobbio, un maestro di filosofia della pace: “rimango convinto che non si possa e non si debba lasciare impunita una aggressione ad uno Stato sovrano….quando esiste una violazione del diritto internazionale e se la violazione è avvenuta con la forza è legittimo usare la forza…un punto deve restare ben fermo: rinunciare alla forza in certi casi non significa mettere la forza fuori gioco ma unicamente favorire la forza del prepotente”.

Michele Prospero tuttavia non è d’accordo nemmeno con l’adozione di sanzioni: “si rischierebbe con l’azzoppamento delle fonti della ricchezza russa anche la distruzione della economia europea”. La “cura della follia strategica putiniana” dovrebbe avvenire secondo il lessico di  Prospero svolgendo un “ruolo attivo di carattere politico”. Nel tentativo di attutire il carattere vago e indefinito di una tale formula Prospero al contrario ne accresce la vaghezza sostenendo che occorrerebbe “il coinvolgimento attivo dei grandi attori mondali”.  In attesa che ciò accada né invio di armi né sanzioni. Se si inviano armi si intende radicalizzare lo scontro, se si adottano le sanzioni non si tiene conto degli interessi economici. Il voto a due piccoli autocrati quali Orban in Ungheria e Vucic in Serbia, putinisti della prima ora, in attesa del voto a Le Pen,  confermerebbe la necessità di lasciar perdere  le sanzioni. 

Andiamo al sodo. La linea sostenuta da Michele Prospero è quella che chiede la resa degli ucraini. Del tutto assente nel suo ragionamento un giudizio sulla politica della Russia di Putin, una riflessione sui rischi di natura geopolitica che si stanno palesando per l’Europa di fronte alla strategia imperialista di Putin.  Nel 2014, con la annessione della Crimea, tramonta l’idea che, stabilizzati i Balcani, l’Europa sia ormai pacificata e priva di minacce serie alla sua sicurezza. Si produce un mutamento nella situazione geopolitica europea di cui mancherà consapevolezza nella classe politica dirigente in Europa. Il prolungarsi della dipendenza energetica dalla Russia lo dimostra. Nell’ultimo decennio la Russia si è mossa in modo spregiudicato per ampliare la propria sfera di influenza, addirittura i propri confini territoriali. Non si era mai visto nel dopoguerra che, con l’uso della forza militare, uno Stato giungesse ad annettere il territorio di uno Stato vicino. Lo avevano tentato la Serbia di Milosevic e l’Iraq di Saddam Hussein e ricordiamo quanto pesantemente vennero sanzionati dalla Comunità internazionale. Sia l’Unione europea che gli Stati Uniti sottovalutarono la portata di quanto accaduto con l’occupazione e l’annessione della Crimea alla Russia. Poi venne Trump che considerava Putin un genio! Otto anni dopo l’Unione europea sarà colta di sorpresa  dalla aggressione all’Ucraina.

La verità è che Mosca trovò difficile accettare fin dal 1991 una Ucraina indipendente. L’Ucraina, malgrado le sofferenze per la criminosa politica agraria staliniana che produsse una strage di contadini nelle campagne ucraine negli anni trenta, per la affinità etnica e culturale con la Russia avrebbe potuto mantenere con questa rapporti di buon vicinato se fosse stata rispettata la sua sovranità e integrità. Il pesante intervento russo con l’annessione della Crimea e il sostegno al separatismo nel Donbass, atti giuridicamente riprovevoli, inasprirono i rapporti tra Mosca e Kiev. Poi l’arbitrio irrazionale: l’Ucraina aggredita senza una giustificazione. Quando la prospettiva dell’ingresso della Ucraina nella Nato si era del tutto allontanata. Si dica la verità una buona volta: non c’è alcun rischio che la Nato attacchi la Russia. Probabile è che le idee e i valori democratici europei indeboliscano la presa di Putin sul potere.

Il vero problema è la vulnerabilità della Russia di fronte alla contaminazione politica democratica. Putin non ha paura della Nato, ha paura della democrazia. Come finirà l’avventura in cui Putin ha cacciato la Russia? Probabilmente l’avventura si risolverà in una brutale annessione di territori, produrrà una insanabile frattura tra due paesi slavi legati per secoli da complessi ma intensi rapporti. La macchia della guerra in Ucraina segnerà la politica e la vita della Russia a lungo. Un conflitto insensato condannerà la Russia all’isolamento, alla perdita di affidabilità e di prestigio. Prevarrà la strategia di avvicinamento e collaborazione con Pechino? Un accordo per sfidare l’Occidente e difendere il proprio regime. L’antiamericanismo e l’antioccidentalismo saranno le bandiere di una alleanza fondata sulla convinzione che “il pensiero liberale sia diventato obsoleto”? Prospettiva inquietante ma gravida di contraddizioni. Xi Jinping si allineerà a Putin sulla via dell’avventurismo? Grottesca la campagna orchestrata da Putin contro il “nichilismo liberale” dell’Occidente così come pura propaganda la denuncia di una presunta “russofobia” del mondo occidentale. Stati Uniti ed Europa dovranno raccogliere la sfida rafforzando l’alleanza atlantica, portando avanti la costruzione dell’Europa come un soggetto politico, lavorando alla costruzione di un nuovo ordine internazionale più giusto ed equilibrato. Un ordine in cui una Russia che si emancipi dalla guida di un ex capo dello spionaggio, si liberi da un autocrate che mette in galera o ammazza chi intende sfidarlo politicamente, non potrà che avere un ruolo di protagonista. Questa la prova per l’Occidente.

Un’ultima considerazione. E’ stata una manifestazione di viltà intellettuale sostenere che gli ucraini avrebbero fatto meglio ad arrendersi e il loro presidente Zelensky a darsi per vinto lasciando ai russi campo libero e la ricerca di un Quisling. Gli americani che, al contrario di quanto sostengono i pacifisti della domenica, si auguravano che la guerra terminasse rapidamente, avevano invitato Zelensky a tagliare la corda insieme ai suoi familiari. Ciò ha voluto dire non aver compreso che il senso di identità nazionale ucraina è molto più forte dopo la indipendenza del 1991, che sono stati gli ucraini a resistere, a combattere, malgrado lo squilibrio delle forze in campo,  contro i tanks russi.

Non è retorica sostenere che hanno lottato e lottano per tutti gli europei. Forse a Mosca qualcuno avrà capito che è stata una avventura, un azzardo l’aggressione alla Ucraina, un grave errore strategico. Al negoziato che speriamo si apra al più presto giungerà una Ucraina consapevole della propria identità nazionale e dei propri diritti, che non intende lasciarsi russificare. Una Ucraina aperta a trovare la via del compromesso onorevole forte del fatto che non si è arresa alla prepotenza ma ha combattuto per il proprio avvenire. Un compromesso onorevole, certo, ma Putin lo vuole? Questo il vero problema.

    

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