di Claudio Petruccioli*
Appartengo alla vecchia (anzi vecchissima) scuola secondo cui per analizzare il voto si parte dai numeri assoluti; poi viene il resto, comprese le percentuali. In questo caso, davvero, uno vale uno, cento vale cento e così via. Sulla base di questo semplice e basilare criterio ho messo a punto una prima valutazione del voto per il rinnovo dei consigli regionali in Lombardia e Lazio del 12 e 13 febbraio.
Non ho considerato tutte le liste, ho selezionate le sei per me politicamente più significative: Fratelli d’Italia, Lega, ForzaItalia, Partito Democratico, 5Stelle, Italia Viva-Calenda. Insieme con i voti ottenuti da queste liste ho conteggiato quelli ottenuti dalle liste dei candidati alla Presidenza, tutti politicamente ben caratterizzati; si tratta delle liste di Rocca e D’Amato per il Lazio, di quelle per Fontana, Majorino e Moratti in Lombardia. Ho confrontato i risultati con quelli del 25 settembre, come noto elezioni generali per il rinnovo del Parlamento nazionale.
Ecco le tabelle che ne ho ricavato
LAZIO
Politiche Regionali % (reg/pol)
FdI 844.939 538.741 64,3
FI 180.554 127.139 70,5
Lega 170.384 126.988 74,7
PD 522.083 352.504 67,4
5St 406.065 183.499 45,3
3°polo 226.575 73.630 32,5
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Tot 2.351.600 1.402.501 59,6
LOMBARDIA
FdI 1.443.692 725.402 50,2
FI 398.554 208.420 52,3
Lega 671.814 653.562 97,2
PD 961.894 738.900 81,5
5St 378.885 113.229 29,9
3°polo 522.377 275.008 52,6
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Tot. 4.377.216 2.714.251 62,0
La brevità dell’intervallo fra i due appuntamenti elettorali, le novità sulla scena politica nazionale, l’asimmetria della competizione che anche in occasione delle regionali, di fronte ad una coalizione che raccoglieva tutto il centro-destra (o destra-centro per chi preferisce) ha visto un centro-sinistra diviso con scarse o nulle possibilità di vittoria; tutto questo spiega la bassissima affluenza alle urne. A pensarci bene solo gli elettori che temevano un insuccesso degradante per la funzione politica del proprio partito avevano un buon motivo per andare a votare. I numeri confermano questa ipotesi.
Nel corso delle maratone televisive più volte ho sentito dire che, data la altissima percentuale dei non votanti, se ne poteva distribuire convenzionalmente il peso su tutti in egual misura. Così facendo, però si perde l’unico dato significativo che queste elezioni mettono a disposizione, vale a dire la reattività dello “zoccolo duro”, addirittura “durissimo”, di fronte al rischio di collasso del proprio partito.
Dalle tabelle si ricava che: FI e Lega hanno evitato la minaccia di essere cannibalizzati da FdI, come non pochi avevano invece pronosticato; sia nel Lazio che in Lombardia hanno portato alle urne una percentuale di elettori del 25 settembre più alta di quella toccata dall’alleato maggiore. In Lombardia la Lega, con i voti della lista Fontana raggiunge il 97,2% sfiorando l’en plein; risulta così il maggior artefice del successo della coalizione. In voti assoluti, il distacco da FdI che a settembre era intorno ai 750.000 voti, si è ridotto a 75.000 circa. Il significato è chiaro: l’elettorato di destra, con tutte le sue diversificazioni, si muove molto ma sempre all’interno del proprio recinto; nella scelta della lista attribuisce giustamente grande importanza alla leadership perché ha come obiettivo la conquista del governo. La prevalenza dell’uno o dell’altro socio della coalizione dipende di volta in volta dalla capacità di ciascuno di mettere in campo la leadership più credibile per il raggiungimento dell’obiettivo; la durata stessa del primato dipende dal consolidarsi o meno della leadership.
Dall’altra parte si dimostra che sia i 5Stelle a guida contiana, sia il terzo polo di Italia Viva e Azione hanno scarso appeal in elezioni regionali a causa del loro accentuato carattere “di opinione” ma soprattutto perché essi, per loro stessa scelta, non chiedono un voto per governare. Nel Lazio i 5Stelle hanno ottenuto meno della metà dei voti del 25 settembre e in Lombardia meno di un terzo. Il terzo polo ancora peggio: un terzo nel Lazio, un quarto in Lombardia; scarsi. Pur con l’apporto di una candidatura prestigiosa come quella di Letizia Moratti, con una sua lista, l’alleanza del terzo polo ha preso la metà dei voti di settembre.
Il PD, sia nel Lazio (58,5% rispetto al 59,6) che in Lombardia (62,8 a fronte del 62) subisce una contrazione vicina alla media generale. Con l’aggiunta, però dei voti delle liste dei due candidati, D’Amato e Majorino sale rispettivamente al 67,4% e all’81,5%. Conferma così di essere il solo partito del centro-sinistra dal quale può emanare una forza di aggregazione e di leadership.
In questo turno non c’è stata né l’una né l’altra. Per il futuro si vedrà.
*Già pubblicato su La Rivista Intelligente, 14 febbraio 2023
Politico e giornalista, fa parte della presidenza di Libertàeguale. È stato parlamentare del Pci/Pds/Ds per cinque legislature. Presidente della Commissione di vigilanza Rai dal 2001 al 2005 e Presidente del consiglio d’amministrazione della Rai dal 2005 al 2009.