È giusto criticare Israele per il modo in cui sta portando avanti la guerra a Gaza? Molti sicuramente pensano di sì. Critiche feroci riempiono le opinion pages dei giornali a livello internazionale, soprattutto sulla stampa araba. Il Sudafrica ha accusato Israele di perseguire un genocidio contro i palestinesi, cosa che Israele nega. E anche se i dati in ultima analisi provengono da Hamas, si ritiene che decine di migliaia di palestinesi siano morti sotto i bombardamenti israeliani.
Altri vedono le cose in modo diverso. A metà novembre, mentre crescevano le critiche allo sforzo bellico di Israele, il direttore del programma di strategia e dottrina della RAND, Raphael S. Cohen, ha scritto su Foreign Policy: “Sono un esperto militare. Studio le operazioni militari a Gaza ormai da un decennio. Come sarebbe un’operazione più mirata? Non ne ho idea” ( https://foreignpolicy.com/…/israel-hamas-war-gaza-idf…/). Altri paesi hanno bombardato nemici mescolati alle popolazioni civili, compresi gli alleati nella seconda guerra mondiale e le forze della coalizione contro l’Isis in Iraq. Non per questo hanno dovuto affrontare il disprezzo internazionale ed è difficile sfuggire alla sensazione che l’antisemitismo aleggi nella discussione.
Su The New York Times, l’editorialista Ezra Klein analizza il divario generazionale nelle opinioni degli Stati Uniti su Israele, sottolineando che i sondaggi mostrano che gli americani dai 65 anni in su sono molto più solidali con Israele rispetto a quelli di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Da lì, Klein passa all’argomentazione sostanziale, sottolineando che gli americani più anziani conoscono l’Israele dei decenni passati, un miracolo post-Olocausto per il popolo ebraico che si difende dai nemici che lo attaccano da ogni parte; i millennial conoscono un Israele potente, ma aperto alla pace e alla prospettiva di uno Stato palestinese; ma gli americani della generazione Z conoscono solo l’Israele del primo ministro Benjamin Netanyahu: predominante, contrario allo Stato palestinese e che mantiene un’occupazione a volte brutale. L’opposizione a Israele nei campus universitari ha destato forti preoccupazioni, ma Klein sostiene che “Israele sta perdendo il sostegno di una generazione, non di pochi gruppi di studenti. E lo sta perdendo a causa di ciò che fa, non di ciò che è” ( https://www.nytimes.com/…/netanyahu-biden-israel-gaza.html).
Vale la pena leggere entrambi gli articoli.
Segnalo anche la puntata 256 delle Conversations with Bill Kristol. Il mese scorso, il giornalista e analista politico americano ha discusso con Peter Berkowitz, membro senior della Hoover Institution e analista di lunga data della politica e della società israeliana, dell’umore della nazione tre mesi dopo il 7 ottobre e nel mezzo della guerra in corso a Gaza, di come si dipanano, in tempo di guerra, le divisioni partitiche che hanno assillato il Paese negli ultimi anni e di come la guerra cambierà Israele.
Di ritorno da Israele, Berkowitz osserva che l’enormità dell’attacco di Hamas all’interno dei confini di Israele minaccia un principio fondamentale del sionismo, che prometteva che gli ebrei sarebbero stati al sicuro nella propria patria. Di fronte a ciò, gli israeliani hanno mostrato una notevole unità attorno all’obiettivo di sconfiggere Hamas e ottenere la restituzione degli ostaggi. Eppure le divisioni partitiche che esistevano prima della guerra persistono, insieme al profondo trauma e alla rabbia derivanti dalle recriminazioni sulla mancata protezione della nazione dall’attacco del 7 ottobre. Nell’élite politica e tra gli israeliani più in generale, c’è una nuova consapevolezza sulle gravissime minacce che Israele deve affrontare, non solo da parte di Hamas, ma anche di Hezbollah e di Teheran.
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.
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