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L’Ebola dei ricchi e lo stress dell’intelligenza occidentale

Giovanni Cominelli sabato 2 Maggio 2020
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di Giovanni Cominelli

 

Mai come in questi giorni la nostra intelligenza delle cose è stata così “glocal”, oscillando, quassù, tra gli orizzonti sigillati dalle nostre montagne della Valseriana, e quelli che comprendono il pianeta intero.

 

Covid-19, l’epidemia ‘glocal’

Solo a poco a poco la nostra intelligenza riuscirà ad arrivare all’altezza dell’evento Covid-19 che in tre mesi l’ha strattonata e travolta. E solo a poco a poco riuscirà a registrare i mutamenti, le incrinature, le faglie che si sono aperte nelle coscienze individuali e nella coscienza collettiva. Il fatto che anche Covid-19 è glocal. Ebola, Sars, Mers e altri minori, di cui scrivono gli epidemiologi, sono rimasti solo “local”. Dove “local” indica, in realtà, i Paesi usciti dal Terzo mondo, grazie ai processi di globalizzazione, e quelli che vi sono tuttora rimasti, in Asia e in Africa.

Covid-19, invece, partito dalla Cina, è diventato “l’Ebola dei ricchi”, come ha sottolineato un documento firmato da un folto gruppo di medici dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Così, è soprattutto l’intelligenza “occidentale” ad essere messa sotto stress. Gli altri mondi lo sono da decenni: una volta in Cina, una volta in Malesia, una volta nel Centro Africa…

Dunque è il nostro Occidente euroamericano che è in questione: il suo sistema produttivo, il suo Welfare, i suoi stili di vita, i suoi modelli di consumo sono precipitati in un abisso di incertezza, di imprevedibilità, di destino oscuro. Ci eravamo lamentati fino a ieri del “nichilismo senza abisso” di un Occidente cinico ed ideologicamente estenuato, ed ecco che l’abisso insidia il nostro presente e tenta di catturare il nostro futuro. Il nichilismo non è scomparso, l’abisso è arrivato e falsifica tutti i nostri scenari. La loro credibilità era fondata sulle nostre capacità scientifiche di previsione. L’idea era che la natura fosse relativamente prevedibile, al netto dei terremoti e dell’urto casuale degli asteroidi contro il nostro pianeta.

Quanto alla storia umana, la direzione dello sviluppo tecnico-scientifico e del progresso economico e civile sembrava ben delineata e irreversibile. E persino le pandemie erano messe nel conto. Così il Rapporto Global Trends del 2005, intitolato “A Transformed World” prevedeva una pandemia entro il 2025 e, peraltro, anche una risposta lenta delle Autorità e così il Pentagono nel 2017 e così l’OMS nel settembre del 2019. Previsioni a larghe maglie, così che se un minuscolo filamento proteinico vi si infila agevolmente nel mezzo le può corrodere dall’interno. Le previsioni sono state infrante in un batter d’occhio, se è vero che il PIL mondiale e dei singoli Paesi sta precipitando a livelli anteguerra.

 

Quali faglie, dunque, nella nostra coscienza privata e pubblica?

Intanto, il futuro della specie umana appare minacciato non solo da se stessa, ma anche da altre specie in lotta darwiniana per la propria esistenza e sviluppo. Lo sottolinea Pietro Rossi in un dotto articolo recentemente pubblicato da Mondoperaio, che ripercorre l’atteggiamento degli storici rispetto alla World History e, in particolare, alla storia mondiale delle epidemie. Troppo presa dall’idea che l’uomo possa/debba dominare il pianeta e, oggi, eventualmente salvarlo, la cultura corrente si era dimenticata della “natura matrigna”. Forse il passaggio dal primato della “lotta delle classi” a quello della “lotta tra le specie” non si è ancora concluso, ma è certo che lo “Spirito del mondo”, che Hegel faceva camminare a cavallo per le vie di Jena con il nome di Napoleone, sta cambiando volto. Così, dunque, cambia la nostra quotidiana filosofia della storia.

In secondo luogo, benché assistiamo in questi mesi ad un repentino ripiegamento delle coscienze verso la dimensione statal-nazionale del “si salvi chi può”, si fa strada, causa un coronavirus qualsiasi, l’idea che il destino della specie è uno solo. Essa vive e perisce tutta insieme. E’ sempre stata giudicata un’utopia da anime belle, contrapposta alla dura visione realistica della condizione umana, che invece conserva lampi di lotta ferina per la vita… Che questa consapevolezza possa generare al più presto una “pax covidica” pare al momento improbabile. Anzi, nell’immediato ha fornito nuovo carburante ai conflitti per l’egemonia mondiale. Il progetto kantiano della pace perpetua è ben lungi dall’essere realizzato.

Tuttavia, la consapevolezza del destino comune è una talpa che ha già incominciato a scavare dagli anni ’50, dall’inizio dell’epoca nucleare. In questi mesi abbiamo dovuto prendere atto che “l’effetto mariposa” si è trasformato meno poeticamente in “effetto Covid-19”. Altre minacce globali si sono aggiunte, sempre per mano umana. Oggi però la minaccia biologica esterna alla specie si è fatta più immediata e stringente. Dalla percezione del destino comune viene necessariamente la pratica della responsabilità individuale e della circolarità della responsabilità. Se la minaccia viene da un altro homo sapiens, uno può essere legittimato a trasformarsi in homo-lupus. Ma se viene da un’altra specie? Da questo punto di vista, le misure emergenziali di questi due mesi costituiscono un allenamento alla responsabilità per gli anni a venire. Fino a quando verrà trovato il vaccino? Anche per il dopo. La distruzione ad opera della nostra specie di sistemi ecologici in precario equilibrio millenario e l’evoluzione dei virus e del batteri sfidati dalla nostra azione e guidati non da un “progetto intelligente mortifero”, ma semplicemente dalla spietata legge biologica della vita, daranno origine a sempre nuove minacce e ci obbligheranno ad assumerci responsabilità crescenti verso la specie.

Il principio speranza e il principio responsabilità

Covid-19 avrà certamente effetti di accelerazione in direzione di scenari che i postumanisti e i transumanisti da tempo disegnano: la genetica, la robotica, le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale. Tutti i campi dell’attività umana ne saranno coinvolti.

Ma solo la libera responsabilità individuale potrà vincere la battaglia per la specie. Alla fine l’imperativo categorico kantiano ha una sostanza tutt’altro che trascendentale; il suo contenuto è storico-biologico. Lo ha ben espresso Hans Jonas: “Nelle scommesse dell’agire umano l’essenza e l’esistenza dell’uomo non siano mai le poste in gioco”. Il “Principio speranza”, formulato da Ernst Bloch ha scolpito la nostra cultura illuministica e marxiana del progresso fino a rasentare il prometeismo. Il “Principio responsabilità”, viceversa, si basa sull’euristica della paura ed è volto a salvaguardare la continuità della specie e la sopravvivenza delle generazioni future. E’ molto di più di un imperativo formale-categorico, è un imperativo ontologico.

Lo stiamo apprendendo a livello di massa e di senso comune.

 

(Pubblicato su www.santalessandro.org il 2 maggio 2020)

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