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L’economia Usa lascia indietro tutti, compresa l’Europa

Alessandro Maran domenica 15 Dicembre 2024
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di Alessandro Maran

 

Alla fine, come abbiamo visto, le preoccupazioni economiche degli americani si sono fatte sentire. Il mese scorso, il 52% degli intervistati ha dichiarato a Gallup di stare peggio di quattro anni prima (https://news.gallup.com/…/majority-americans-feel-worse…). E con un livello di fiducia economica così basso, peggiore di qualsiasi anno elettorale dal 2008, e alle prese con l’inflazione che stava divorando gli stipendi, gli Stati Uniti hanno votato per il cambiamento.
Eppure, come l’Economist annunciava in copertina il 17 ottobre scorso, l’economia americana ha lasciato indietro tutti e rimane per molti versi “the envy of the world”, l’invidia del mondo (https://www.economist.com/…/americas-economy-is-bigger…). E bisognerà farci i conti.
La crescita è rimbalzata bene dopo la pandemia, e in modo significativamente migliore rispetto ad altri paesi. “Mentre il PIL reale negli Stati Uniti è già tornato al suo trend pre-pandemia”, hanno scritto sei economisti della Federal Reserve a maggio, “le economie straniere avanzate (…) hanno sperimentato una ripresa molto più debole, sia rispetto agli Stati Uniti che al loro trend pre-pandemia” (https://www.federalreserve.gov/…/why-is-the-u-s-gdp…). Gli economisti della Fed hanno citato varie cause, ma Fareed Zakaria di recente ne ha indicata una in particolare: un boom nella produttività del lavoro negli Stati Uniti (https://edition.cnn.com/…/gps1124-growing-productivity…). Dopo essere crollata negli anni 2010, la crescita della produttività degli Stati Uniti ha accelerato ai tassi visti negli anni ’90 e 2000. L’intelligenza artificiale potrebbe accelerare la tendenza, ha osservato Zakaria, ma per ora potremmo attribuirla a cose come il lavoro da remoto (e il tempo che fa risparmiare) e le nuove piccole imprese lanciate dopo la cosiddetta “Great Resignation” che ha visto i lavoratori scontenti lasciare il lavoro e concentrare le energie altrove.
In un recente articolo del Financial Times, Valentina Romei, William Crofton e Colby Smith hanno messo in evidenza che i motori di questa tendenza della produttività e gli elementi che distinguono l’economia americana sono l’imprenditorialità e la propensione al rischio del settore tecnologico. “La produttività del lavoro negli Stati Uniti è cresciuta del 30 percento dalla crisi finanziaria del 2008-09, più di tre volte il ritmo dell’Eurozona e del Regno Unito”, hanno scritto (https://www.ft.com/…/1201f834-6407-4bb5-ac9d-18496ec2948b).
Ne aveva parlato Mario Draghi pochi mesi fa. L’Ue, ha sostenuto Draghi nel rapporto sul futuro della competitività europea che ha presentato il 9 settembre scorso (https://commission.europa.eu/…/eu-competitiveness…), “esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non può più fornirli ai suoi cittadini, o deve scegliere tra l’uno con l’altro, avrà perso la sua ragione d’essere”. E l’unico modo per affrontare questa sfida “è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale”; e “l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente”.
L’Europa, ha poi aggiunto, deve “riorientare profondamente i propri sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate”, e “sbloccare il proprio potenziale innovativo per non rimanere indietro, in particolare rispetto alla ‘rivoluzione’ dell’intelligenza artificiale”. Per fare ciò occorrerà “fornire agli europei le competenze di cui hanno bisogno per trarre vantaggio dalle nuove tecnologie”, in modo che queste e l’inclusione sociale vadano di pari passo. Secondo Draghi l’Europa “dovrebbe puntare a eguagliare gli Stati Uniti in termini di innovazione, e puntare a superarli nell’offrire opportunità di istruzione e di apprendimento per adulti, nonché buoni posti di lavoro per tutti lungo tutto l’arco della loro vita”.
“La straordinaria forza degli Stati Uniti nella tecnologia è la differenza, ha scritto Draghi (… ) Gli investimenti di successo creano ulteriori fondi di rischio, che a loro volta generano nuovi imprenditori e aziende”, scrivono Romei, Crofton e Smith. “È come guardare una finale dei 100 metri in cui qualcuno vince con un ampio margine, afferma Simon Gaudreault, economista capo della Canadian Federation of Independent Businesses. ‘Ci chiediamo: è perché quei nove sono tutti molto più deboli, o è perché quel concorrente davanti al gruppo ha trovato una formula segreta?’”.
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