di Pietro Ichino
È sconcertante che le scelte riguardanti il sistema di voto siano discusse guardando soltanto alla contingenza e non nell’ambito di un disegno tendente a favorire il formarsi di un sistema politico meglio strutturato e più efficiente – Perché dobbiamo preferire il modello francese
Sento con preoccupazione – anche, ahimè, in casa PD – i discorsi dei leader che tornano a sottolineare la necessità di una riforma elettorale con lo sguardo puntato non sull’obiettivo di un assetto istituzionale che spinga alla costruzione di un sistema politico decente, bensì sull’interesse contingente che ciascun partito persegue.
Così, poiché sta tramontando a sinistra la prospettiva di un’utile alleanza PD-M5S, a destra quella di un’utile alleanza FI-Lega-FdI, da destra e da sinistra si vira verso il ritorno a un sistema proporzionale.
Che premia chi meglio coltiva l’identità ideologica nel proprio orticello e non incentiva al lungo, faticoso lavoro di aggregazione fra tradizioni e radici ideali diverse, in funzione del governo del Paese per un’intera legislatura. Intendiamoci: il sistema elettorale di cui abbiamo bisogno non potrà ignorare il marcato pluralismo di tradizioni politiche e radici ideali che caratterizza il panorama politico italiano; ma guai se, per adattarci alla contingenza effimera, rinunciamo a incentivare il lavorio di discussione e coalizione tra le forze politiche che condividono senza riserve almeno le scelte fondamentali in tema di costruzione della nuova UE, di società aperta, di collocazione atlantica del Paese.
In questo ordine di idee, considero – non da ora – come la soluzione di gran lunga migliore quella sperimentata nel Paese a noi più vicino e più simile: la Francia. Magari corretto col mantenimento della figura di garanzia del Presidente-arbitro super partes eletto a maggioranza qualificata per un settennato dal Parlamento.
Il grande pregio di quel sistema elettorale consiste nel consentire di dividersi secondo le preferenze e le radici ideologiche al primo turno, consentendo a ogni partito di “contarsi”, costringendo però gli elettori, al secondo turno, a scegliere la coalizione cui intendono affidare il compito di governare il Paese per il prossimo quinquennio.
Ancora nessuno mi ha convinto che i difetti di questo modello – pur esistenti – superino i suoi meriti.
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino