di Stefano Ceccanti
Il Rapporto sulla legislazione che si presenta anche quest’anno alla Camera dei deputati è tutt’altro che un’occasione rituale. Oggi ci troveremo infatti a commentare un testo che scandisce due fasi diverse: prima e dopo l’emergenza.
Se ne ricavano preziose indicazioni per il ruolo del Parlamento, che è stato ed è quello di rispondere alle possibili distorsioni della seconda fase, rilevandole e, per quanto possibile, rimuovendole e prevenendone.
Per farlo, però, dobbiamo aver presenti le caratteristiche di queste distorsioni e il loro legame con l’emergenza.
1- La prima caratteristica è qualitativa, strettamente collegata e su un livello che dal micro risale al macro: un’emergenza sanitaria penetra a fondo nella vita quotidiana delle persone più di molte altre, coinvolge gli aspetti più vari, minuti ed anche più intimi. È un dato inevitabile, ma che pone diversi problemi: in particolare il rischio di un ulteriore sovraccarico di domande poste al Legislatore, in una situazione in cui già la complessità contemporanea rende molteplici e frammentarie le richieste di intervento legislativo anche con rischi di eccessiva invadenza.
2- La seconda è sia qualitativa sia quantitativa, ma su un livello macro: essa impatta sulle istituzioni, ma non tanto creando alcune dinamiche dal nulla, quanto piuttosto rafforzandone alcune esistenti, in particolare il restringimento del lavoro parlamentare alla/e Commissione/i permanenti del primo ramo del Parlamento che si trova a esaminare un testo governativo.
Nel rapporto lo vediamo precisamente nella compressione delle iniziative di origine parlamentare (una sola su 33 nel periodo emergenziale), iniziative che erano invece risalite nel primo biennio pre-emergenza rispetto all’analogo periodo della legislatura precedente, nel ruolo della seconda Camera che si trova a esaminare il testo e che viene azzerata del tutto nel suo potere emendativo (già le modifiche della seconda Camera erano eccezione e non regola, ma nell’emergenza sono scomparse in tutte e 33 le leggi approvate sancendo un completo “monocameralismo casuale ed alternante”) e nella modifica del potere di emendamento (nel periodo pre-emergenza gli emendamenti approvati in Aula rispetto a quelli in Commissione sono minoritari ma non irrilevanti, ossia 405 contro 2.142, in quello emergenziale sono residuali, 23 rispetto a 837).
3- La terza è anzitutto quantitativa, ma con evidenti riflessi qualitativi ed è strettamente legata all’emergenza: prima il Decreto Cura Italia poi il Decreto Rilancio hanno battuto qualsiasi record di ampiezza nella storia repubblicana (rispettivamente 127 articoli originari diventati 171 e 266 divenuti 342).
4- Ve ne è poi una quarta di natura diversa: permane il conflitto con le Regioni che si è accentuato nell’emergenza, ma che è comunque un dato costante: si discute se esista un nesso causale tra l’ampiezza della legislazione concorrente (che a livello regionale resta sempre superiore al 60% per cento dell’insieme, mentre quella residuale è un quarto dell’insieme e il residuo è di carattere misto) e il livello di conflitti alla Corte che resta alto e crescente (117 ricorsi nel 2019), ma c’è almeno una contestualità.
A ben vedere, come si può notare dalla parte comparatistica, solo la prima caratteristica è tipica dell’insieme delle esperienze, per il resto si tratta di anomalie italiane sia in periodo di emergenza sia fuori da esso (il bicameralismo non è altrove né casuale né alternante, i decreti non sono così egemoni né ampi, le sedi di coordinamento sono più istituzionalizzate e prevengono di più i conflitti).
Ciò detto – e quindi tenuto conto che dobbiamo lavorare in prospettiva anche sulle storture permanenti e non solo su quelle legate all’emergenza – qual è la nostra responsabilità qui e ora?
Si tratta, come ha chiarito la presidente della Corte Cartabia, di attuare unicamente quelle limitazioni dei diritti per il contrasto dell’emergenza che rispondano ai requisiti di necessità, proporzionalità, bilanciamento tra i diversi valori costituzionali, giustiziabilità e temporaneità
Ricordo l’impegno trasversale alle forze politiche, in occasione dell’esame del decreto-legge n. 19, per l’introduzione di forme di parlamentarizzazione dei DPCM.
Voglio però qui segnalare alcuni aspetti per il futuro immediato, ora che il Governo si appresta a regolare la fase successiva al 31 luglio 2020. Probabilmente sarà necessario riproporre il meccanismo DL – DPCM.
Credo che però sia necessario rispettare certi requisiti sul piano del metodo e sul piano del merito.
1- Sul piano del metodo si deve procedere, a mio avviso, con un apposito decreto-legge. E questo decreto-legge dovrebbe avere un suo apposito esame in Parlamento. Occorre evitare la tentazione di farlo confluire come emendamento in qualche “contenitore” più ampio, penso, per essere chiari, al DL semplificazioni o al nuovo DL economico. Nella critica a questa confluenza tra diversi decreti-legge, peraltro, la giurisprudenza del Comitato è costante.
2- Sul piano del merito ritengo che non si debba procedere con una stanca proroga di quanto già previsto dai DL 19 e 33, ma che si debbano individuare misure, oltre che “a tempo”, anche “ritagliate” sull’attuale situazione dell’epidemia. Ne va del rispetto del requisito di proporzionalità.
Provo ad ipotizzare alcuni aspetti:
– le misure di limitazione di libertà fondamentali come quella di circolazione, di riunione, di manifestazione del credo religioso, di impresa economica dovrebbero poter essere adottate solo per specifici ambiti territoriali, per contrastare l’insorgenza dei focolai, e non sull’intero territorio nazionale come invece consentito dal decreto-legge n. 19, ferme restando le misure di distanziamento sociale;
– anche la limitazione delle attività scolastiche e delle attività formative in presenza possa essere prevista solo per specifici ambiti territoriali e non per l’intero territorio nazionale;
– che sia comunque consentita la possibilità di svolgimento della campagna elettorale per le elezioni amministrative, regionali e per il referendum costituzionale del prossimo 20 settembre, ferma restando la possibilità di adottare – con norma di rango primario – specifiche prescrizioni sugli accorgimenti di tipo sanitario da adottare;
– che qualora si renda necessario il rinvio di eventi elettorali amministrativi o regionali previsti per il prossimo 20 settembre questo avvenga con un ulteriore specifico provvedimento legislativo (anche d’urgenza), ferma restando l’impossibilità di procedere ad un rinvio di tutti gli eventi elettorali previsti per quella giornata senza una previa nuova comunicazione alle Camere per ricevere i necessari indirizzi.
Ritengo infine preziosissima, anche oltre la fase di emergenza, l’estensione di fatto dei poteri del Comitato per la Legislazione, per libera scelta dei suoi componenti, di dare seguito ai pareri con la loro trasformazione in emendamenti e ordini del giorno bipartisan. E’ stato ed è un punto alto di rivitalizzazione del Parlamento: mai esso ha avuto una visibilità pubblica come grazie a queste iniziative, forse non prevedibili quasi un quarto di secolo fa, quando fu istituito, ma credo in coerenza al ruolo allora auspicato.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.