di Stefano Ceccanti
Il presidente del Consiglio sta per prendere parte a un delicatissimo Consiglio europeo. L’interesse nazionale richiederebbe il massimo di unità possibile, al di là delle collocazioni momentanee in maggioranza o all’opposizione.
Eppure l’Aula di Montecitorio si svuota per un po’ più di un terzo: Lega e Fdi parlano, ma escono dall’Aula, a differenza di Fi che con Renato Brunetta non rinuncia a proporre critiche anche forti, come quella sull’assenza di un voto, ma che resta qui fino all’ultimo.
L’immagine del Parlamento dice moltissimo della fase attuale, distinguendo l’opposizione nel sistema da quella che sceglie di essere antisistema, che decide di autoescludersi.
Viene in mente, all’opposto, il percorso delle forze che avevano aderito al Fronte Popolare, su una collocazione antiatlantica e antieuropea, che per questa ragione erano escluse dal governo, ma che progressivamente recuperarono quell’errore.
E viene in mente, in opposizione all’autoesclusione ostentata di stamani, il discorso fatto a pochi metri da qui da Aldo Moro ai gruppi parlamentari del suo partito, che spiegava perché il Pci nella legislatura 1976-1979 potesse e dovesse essere progressivamente inserito nella maggioranza, anche se non potesse ancora esserlo al Governo:
“C’è in gioco un delicatissimo problema di politica estera… Vi sono posizioni che non sono solo nostre ma che tengono conto anche del giudizio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo collegati… Sappiamo che vi è diffidenza in Europa in attesa di un chiarimento ulteriore”.
Questa condizione, della presenza in Parlamento e nel Paese, di una consistente opposizione antisistema è elemento condizionante sia in termini di politics sia su alcune delicate policies.
In termini di politics giacché nessuna critica pur fondata all’attuale esecutivo può permettersi di sfociare in una crisi incontrollata col rischio di un accesso al Governo e alla Presidenza della Repubblica di forze antisistema in posizione egemone e autosufficiente.
In termini di policy a cominciare dalla materia elettorale perché quello che è stato possibile sui livelli comunali e regionali con ottimi sistemi decidenti non sembra in questa fase replicabile sul piano nazionale. I sistemi decidenti su questo livello suppongono un’omogeneità sugli orientamenti di fondo, mentre l’eterogeneità, segnalata da quell’emiciclo semi-vuoto, comporta il rischio di decisioni negative irreversibili come quelle di uscita dalla Ue.
Riproposte nei giorni scorsi dal progetto di legge costituzionale Borghi firmata anche dal capogruppo leghista Molinari, stretto collaboratore di Salvini, che espungendo gli elementi di stabilità di bilancio, va necessariamente in quella direzione.
Non c’è per niente da compiacersi di questo stato di cose ed è auspicabile che la frattura possa essere ricomposta, ma l’emiciclo semi-vuoto ha un pesante significato politico che al momento non è possibile sottovalutare e che ha queste precise conseguenze.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.