di Luigi Marattin
In che cosa consiste esattamente la proposta alternativa di legge di bilancio 2019-2021 presentata alla Leopolda da Renzi e Padoan?
Un esercizio molto semplice. Si parte dai conti ufficiali presentati dal governo il 15 ottobre col Documento Programmatico di Bilancio.
Sulla base di quelli, si fanno scelte alternative, per i prossimi tre anni. Su tasse, famiglie e burocrazia. Vediamo in dettaglio quali.
In sostituzione di queste, si propongono altre scelte.
Per il 2019:
1. l’abolizione dell’imposta di registro (4,8 miliardi) per dare uno shock al mercato immobiliare, l’unico settore a non essersi davvero mai ripreso dalla crisi (e senza il quale la ripresa non può diventare forte, duratura, robusta). Ma è anche una mossa per attaccare davvero i balzelli burocratici: questa tassa rallenta e rende più difficili le compravendite e i rapporti economici. Via, la togliamo;
2. un piano straordinario di investimenti per la messa in sicurezza del territorio, per l’edilizia scolastica e contro il dissesto idrogeologico: 4 miliardi di ri-finanziamento (aggiuntivi rispetto ai saldi) per il programma Casa Italia, abbandonato dall’attuale governo. Perchè per impedire le tragedie, non servono chiacchiere: servono soldi.
Per il 2019 il governo prevede di spendere 33,5 miliardi in più, e di incassarne 11,8. Il risultato sono – quindi – 21,7 miliardi di deficit aggiuntivo (che porterebbero il deficit al 2,4% del Pil).
Noi invece prevediamo di spenderne 24,5 e di incassarne 8,7. Il risutlato sono 15,8 miliardi di deficit. Lo 0,3% in meno rispetto a quanto prevede il governo. Noi quindi prevediamo il deficit nominale al 2,1% (invece che il 2,4% del governo).
Per il 2020:
1. l’abolizione completa dell’Irap, per un valore di 13,8 miliardi (questa misura sarebbe da inserire nella legge di Bilancio 2019, ma il meccanismo di pagamento delle imposte prevede che gli effetti contabili vi siano l’anno successivo). L’Irap è la tassa più odiosa: non colpisce gli utili, ma l’accumulazione di fattori produttivi (capitale e lavoro). Via, la togliamo;
2. un assegno universale per i figli (9 miliardi). Oggi, se fai il lavoratore dipendente e guadagni 30.000 euro l’anno, hai diritto a detrazioni (complicate) per i figli a carico. Se ne guadagni 7500, non hai diritto a nulla. Se sei un barbiere, o un webmaster o un qualsiasi altro lavoratore autonomo o a partita IVA, non hai diritto a nulla. Un paese che voglia davvero incentivare la natalità e fornire un supporto vero e strutturale alle famiglie, non fa così. Noi allora cambiamo verso: ogni famiglia – sia di lavoratori dipendenti che autonomi, sia soggetti Irpef che incapienti – avrà diritto ad un supporto mensile per ogni figlio a carico fino ai 18 anni. Il supporto sarà ovviamente tarato sul reddito: diamo di più a chi guadagna meno.
Per il 2020 il governo prevede di spendere 32,9 miliardi di spese aggiuntive, e incassare 7,6 miliardi di entrate aggiuntive. Il risultato è un deficit aggiuntivo di 25,2 miliardi, che porterebbe il deficit al 2,1% del Pil.
Noi invece prevediamo – con le misure di cui sopra – di spenderne 29,8 e di incassarne 8,3. Per un deficit aggiuntivo di 21,5 miliardi, che porterebbe il deficit al 1,8% del Pil (invece del 2,1% del governo).
Per il 2021 non prevediamo alcuna nuova misura, ma “solo” il proseguimento di quelle precedenti (che sono, infatti, tutte misure permanenti).
Con le sue scelte sbagliate, il governo prevede nel 2021 di spendere 30,50 miliardi di spese aggiuntive, e di incassarne 8,17. Per un maggior deficit di 22,42, che lo porterebbe a 1,8% del Pil.
Con le scelte di cui sopra, si spenderebbero 28,7 miliardi e se ne incasserebbero 9,09. Per un deficit aggiuntivo di circa 19,8 miliardi, che lo porterebbe al 1,5% del Pil (invece che al 1,8% del governo).
Rispetto al piano del governo, ci sono altre due differenze:
a) una spending review meno forte nel 2019 (3 miliardi, contro i 3,7 previsti dal governo), perchè i tagli non sono mai realistici quando sono troppo ravvicinati, e un po’ più aggressiva nei due anni seguenti (3,8 mld e 3,2 mld contro i 1,1 del governo).
b) un riassorbimento dello spread ai valori della primavera scorsa (prima cioè della triplicazione avvenuta dopo….), reso possibile non solo dalle misure di cui sopra ma anche dalla ripresa di un robusto pacchetto di riforme strutturali (nuova legge sulla concorrenza, proseguimento – magari più deciso – di interventi su funzionamento pubblica amministrazione, giustizia civile, ecc) che irrobustiscono la competitività del sistema Paese.
Non so chi è arrivato fino in fondo, ma alla fine il messaggio è piuttosto semplice: invece di più deficit, condoni e spese assistenziali, si propone meno deficit, più attenzione alle spese, abolizione di tasse odiose, investimenti straordinari in sicurezza e sostegno strutturale alle famiglie con figli.
Sarebbe bello, per una volta, se potessimo confrontarci sul merito di queste scelte. Evitando al paese guai molto, molto seri.
Deputato di Italia Viva (era stato eletto nelle file del Pd nel 2018) e componente della Commissione Bilancio della Camera. E’ stato Assessore al Bilancio e alle Partecipazioni del Comune di Ferrara (dal 2010 al 2014) e Consigliere economico del Presidente del Consiglio (dal settembre 2014 al marzo 2018) prima con Matteo Renzi, poi con Paolo Gentiloni. Economista all’Università di Bologna presso il Dipartimento di Scienze Economiche, dove in questi anni ha insegnato Microeconomia, Macroeconomia e Strumenti e Mercati Finanziari (attualmente in aspettativa obbligatoria). Juventino.