di Giovanni Cominelli
Quali sommovimenti culturali e filosofici hanno sottoprodotto l’epifenomeno Trump? Intanto, cause geopolitiche, in primo luogo.
Quella decisiva: la Cina è protesa verso il primato produttivo, commerciale, militare in questo XXI secolo. Gli USA stanno tentando di impedirlo. Perciò si propongono di sganciare i Russi dall’alleanza con i Cinesi, offrendo loro l’Ucraina e lasciando loro campo libero in Europa.
Agli USA interessano il Pacifico e i due Poli. A ciascuno, dunque, secondo la sua capacità di influenza e di minaccia. È da sempre la posizione della scuola cosiddetta “realista”. In ogni caso, non sono le ragioni geopolitiche quelle decisive.
Contano forse di più le ragioni socio-culturali, conta la filosofia dell’uomo e della storia.
La globalizzazione della produzione e degli scambi in corso dagli anni ’80 del ‘900 non ha generato l’universalizzazione del “fattore umano”, non ha sciolto le culture e i costumi.
Semmai ha moltiplicato l’orgoglio delle differenze, ha eccitato ogni istanza identitaria, sotto qualsiasi cielo. Sotto quello americano, storicamente multirazziale, la cosiddetta “teoria critica della razza” (Critical race theory) e lo “wokismo”, emersi rispettivamente con l’intenzione di combattere il razzismo strutturale e di riportare la giustizia sulla terra, hanno finito per sottoprodurre discorsi e azioni affermative a potenziamento dell’identità razziale dei nativi, dei neri, dei latinos, degli asiatici e, dunque, anche dei bianchi…
Le istituzioni politiche e amministrative e il sistema educativo e formativo sono diventati programmaticamente “sensibili al colore”: tu non sei riconosciuto per il tuo valore e merito, ma perché sei membro di una razza riconosciuta.
In una parola: la reazione identitaria alla globalizzazione sta generando l’abbandono dell’universalismo cristiano-liberale, che Paolo aveva ben sintetizzato nella “Lettera ai Galati”, scritta negli anni ‘60 del I secolo dopo Cristo, e che Andrea Graziosi cita nel suo volumetto “Il ritorno della razza”: “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero…non c’è maschio e femmina”.
La crisi dell’universalismo cristiano-liberale
La metastasi della teoria critica della razza combinata con gli effetti di lungo periodo della globalizzazione sulla struttura socio-economica americana, tra cui i massicci movimenti migratori, e con le minacce reali e percepite al primato mondiale degli USA, provenienti dalla Cina, ebbene tutto ciò ha messo in crisi il paradigma dell’universalismo cristiano-liberale.
In misura minore, è accaduto anche all’interno delle società nazionali europee. La caduta dell’universalismo a Ovest, l’affermarsi del Russkji Mir, l’emergere dell’etno-nazionalismo cinese e indiano, il neo-ottomanesimo turco, il fondamentalismo iraniano, insomma i disordini identitari degli scacchieri mondiali stanno portando all’abbandono della grammatica del diritto internazionale, che si era elaborata a partire dalla Pace di Westfalia del 1648, attraverso un’alternanza di guerre, trattati e paci fino al 1945.
È vero che il diritto internazionale si limita a regolare i rapporti tra gli Stati, ma a suo fondamento sta il fine della protezione dei diritti soggettivi dei sudditi divenuti finalmente cittadini.
Il nesso è ben visibile nel domenicano Francisco de Vitoria, che con Grozio e Alberico Gentili è uno dei padri del diritto internazionale: gli Stati devono regolare i rapporti tra di loro, in base a convenzioni, trattati, norme e non in base ai rapporti di forza, perché “sotto” di loro sta la comunità universale del genere umano, composta da individui, ciascuno dei quali – quali che siano la fede o il colore – è titolare di diritti soggettivi naturali. Il diritto degli Stati riflette quello degli individui.
Ne consegue che se, oggi, Trump, Putin, Xi Jin-Ping intendono spartirsi il mondo con la politica della minaccia, dell’oltraggio, della prepotenza, della sottomissione dell’altro, ciò che, infine, viene messo in discussione sono i diritti soggettivi degli individui e la loro eguaglianza sotto qualsiasi cielo, in primo luogo il diritto a decidere come vivere.
Viene avanti una filosofia hobbesiana della storia, senza che si veda emergere dagli oceani un super-Leviatano in grado di domare i Leviatani degli Stati.
Il tradimento morale del trumpismo
Il tradimento dell’universalismo cristiano-liberale ha generato il tradimento morale. Che la rivista tedesca “Der Spiegel” ha scolpito in copertina, dove sta la foto di Zelensky, con la didascalia: “Verratet”, tradito.
A tale tradimento si allineano il pacifismo cattolico e quello rosso-bruno, quando avanzano l’ipocrita retorica domanda: valeva la pena resistere a Putin, sacrificare migliaia di giovani, farsi bombardare le città, le scuole, gli ospedali?
Alla quale ha risposto Oleksandra Romancova, attivista civile e premio Nobel per la pace, in un’intervista a “Tempi”: “La resistenza è iniziata nel 2014 e continua oggi, non perché agli Ucraini piaccia, ma perché nessun’altra strategia ha funzionato. Lo scopo di questa resistenza non è cambiato dal 2014 ad oggi.
Il valore della resistenza per gli ucraini
È l’esistenza di uno Stato ucraino, dove la popolazione goda la piena sovranità e abbia il diritto di decidere come edificare la società. E il fatto che milioni di ucraini, oggi, non devono vivere secondo le regole decise per loro dalla Federazione russa, che hanno il proprio Stato è già un grosso risultato.
Nessuno avrebbe creduto che la società ucraina ne sarebbe stata capace. Quanto all’interrogativo se l’esistenza di uno Stato indipendente valga la vita delle persone, è una scelta di ogni singolo, e gli ucraini non sono stati certo i primi a dover prendere una simile decisione”.
Valeva la pena? Questa domanda segnala l’abdicazione alla libertà e l’idea che tutto è negoziabile e commerciabile, libertà umane comprese. Non è ciò che ci si aspetterebbe da chi proclama la non negoziabilità di alcuni valori e celebra i martiri che danno la vita per la libertà di credere.
Se “l’Occidente” coincide con la fedeltà alle libertà, se in questa fedeltà consiste la moralità degli individui, dei popoli e degli Stati, l’Europa continua a stare in Occidente, gli USA di Trump al momento no. È saggio costruire ponti, ma occorre verificare che il terremoto non abbia spostato le sponde.
Pubblicato su www.santalessandro.org il 25 febbraio 2025
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.