di Giovanni Cominelli
Il Covid e l’aggressione russa all’Ucraina hanno fatto crollare, per ragioni diverse, il castello della sicurezza esistenziale dei cittadini europei. Li hanno posti di fronte ad un bivio, che si erano lasciati alle spalle l’8 maggio del 1945: pace o guerra? Non che il mondo da quella data si fosse del tutto pacificato.
Basterà ricordare il 6 e il 9 agosto di quell’anno a Hiroshima e a Nagasaki, l’avvento al potere dei Sovietici in tutti i Paesi dell’Est, la Guerra di Corea e l’intensificazione dei processi di liberazione nazionale nelle colonie europee di Asia e Africa.
E poi l’abisso subito richiuso di Cuba 1962. E poi il fatale l’89. Intanto, però, avevamo tessuto una narrazione decisamente “conservatrice”: il meglio è spalle e anche davanti. La pace era destinata ad essere perpetua per noi Europei e, alla lunga, universale.
Bastava che ciascuno facesse la pace davanti alla porta della propria casa e tutto il mondo sarebbe stato in pace. Perciò gli Europei erano sostanzialmente disimpegnati rispetto al mondo. Bastava che si dedicassero ai propri affari. Era il modello tedesco-europeo che Mario Draghi ha icasticamente rappresentato: la sicurezza dagli Usa, l’energia dalla Russia, i commerci dalla Cina.
L’unico segnale inquietante arrivava da fuori: il flusso dell’immigrazione. Ma veniva letto a destra come problema identitario e securitario, a sinistra come domanda di accoglienza da parte dei “dannati della terra”: noi Europei eravamo, comunque, “in controllo”.
Ecco, lo abbiamo perduto.
Come reagiscono gli Europei a tale perdita? Eurobarometro ci aggiorna periodicamente sulle sempre più labili loro certezze. L’edizione del Giugno 2023 ci informa che l’ordine delle preoccupazioni è il seguente: l’aumento dei prezzi, dell’inflazione e del costo della vita è la prima; la seconda è la situazione internazionale; la terza è l’immigrazione.
A questo punto toccherebbe alle forze politiche elaborare strategie e programmi di governo, bilanci dei costi e benefici per poter continuare a camminare, di fronte al bivio fatale, sul sentiero della pace. Partire dal sentire comune, quello che è, e offrire un orizzonte di senso, all’interno del quale interpretare la propria posizione nel mondo e fare scelte adeguate.
È ciò che hanno fatto gli intellettuali e la politica lungo il ‘900. Di fronte o dopo le catastrofi, destra e sinistra si sono candidate a costruire “un mondo nuovo”. Se c’era una civiltà da salvare/ricostruire, socialisti, comunisti, fascisti, nazisti, cristiani si candidavano a salvatori/costruttori di civiltà.
I Cristiani sia negli anni ’30, con Maritain e Mounier, sia dopo il 1945, con Pio XII, proclamavano: “è l’ora dei cristiani!”. Quando si vive in tempi apocalittici, si pensa alla Parusia. Agiva alle spalle l’impulso ottimistico/messianico delle ideologie del ‘900, che, volendo forgiare la storia, hanno spesso finito per mettere a rischio e distruggere l’esistenza di milioni e milioni di esseri umani.
Accade invece, in questi tempi di transizione verso un nuovo ordine mondiale e che apocalittici ancora non sono, che in questa nostra Europa non solo i cittadini, ma anche la politica e l’intellettualità abbiano perso ogni residuo di forza messianica. Difficile dire quando il messianismo rivoluzionario ha cessato di essere attrattivo.
Forse con l’avvento della bomba atomica, che cambiò la percezione dei rischi fatali della guerra? Nostalgia del messianismo? Certo che no! Ma si deve constatare che anche quello in versione “debole”, confessato da Walter Benjamin, non è stato sostituito con la forza di una ragione discernente, fondata su basi epistemiche sicure. Molta “Doxa”, poca “Episteme”.
E così una politica cieca si è ripiegata sulla paura, benché le persone abbiano disperatamente bisogno di speranza. L’ondata populista che ha attraversato come uno tsunami l’Occidente ha trasformato le emozioni e le paure di massa in agenda delle forze politiche. Il populismo ha segnato in profondità l’intera politica italiana, europea e occidentale, la destra e la sinistra. Le tentazioni autoritarie e plebiscitarie sono “solo” l’effetto ideologico secondario di società, che non sono più in grado di collocarsi razionalmente nel presente.
Donde tre reazioni: Salvini vende il passato, pur sapendo che non tornerà. Come nota Andrea Graziosi, lo può vendere solo a chi ce l’ha alle spalle, agli anziani, che hanno un passato lungo e un futuro breve.
La Schlein si dedica a vendere ai giovani un futuro fatuo e immaginario, un futuro di diritti acquisiti e assistiti. Costruisce narrazioni favolistiche: si può costruire la pace, senza un esercito europeo di difesa e senza investire risorse adeguate? Si può aumentare l’occupazione, senza aumentare la produttività? Si può difendere le donne, se la differenza maschi e femmine è superata? Insomma, la sinistra è “lost in transition”.
Quanto a Conte, egli vende, o vorrebbe, assistenza agli anziani, ai giovani, alle vedove, ai passanti… Tra un passato che non tornerà e un futuro frou frou, chi si occupa del presente? L’unica che è costretta, per forza maggiore, a farci i conti quotidianamente è Giorgia Meloni.
Lo fa dentro una società impaurita, provenendo da una cultura politica, in cui confluiscono incanutiti fantasmi e vecchie culture, conservatrici del passato. Il presente dovrebbe essere l’arena dei liberali, che, al momento, sono troppo occupati a sopravvivere più che a pensare senza filtri dogmatici e senza illusioni il presente.
Emerge qui, straordinaria, la responsabilità di coloro per professione trattano quel materiale prezioso che è fatto di notizie, informazioni, conoscenze, insegnamenti. Torna di attualità il messaggio di Julien Benda che nel suo “La Trahison des Clercs” del 1927 denunciò la tendenza degliintellettuali francesi e tedeschi a tradire, appunto, la verità, nel nome di “passioni politiche”: il razzismo, il nazionalismo, la lotta di classe.
E fece appello alla cultura classica di Platone e all’universalismo cristiano. Lui che era ebreo. Oggi il ceto intellettuale si è allargato di molto. In particolare giornali e TV decidono della verità/realtà delle cose più delle scuole e delle Università.
Ma si muovono secondo il principio di irrealtà, al servizio di nuovi profeti e nuovi redentori improvvisati o, semplicemente, si prostrano al mercato del momento. Se la politica è cieca, è anche colpa loro. La somma di molte irresponsabilità porta alla catastrofe.
Pubblicato su www.santalessandro.org il 29 novembre 2023
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.