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Lezioni dalla Baviera: un’alternativa europea allo sfascismo

Alessandro Maran mercoledì 17 Ottobre 2018
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di Alessandro Maran

 

Grazie al cielo il voto della Baviera ha deluso l’Internazionale sovranista e, come ha scritto Claudio Cerasa, “l’amore per i partiti che hanno a cuore l’Europa è ancora infinitamente più forte dell’amore per i partiti che considerano l’Europa la fonte di ogni guaio”.

 

Il crollo elettorale della CSU

Ma, a ben guardare, la lezione più importante è un’altra. L’Unione Cristiano-Sociale (CSU), sorella della più moderata Unione Cristiano-Democratica (CDU) di Angela Merkel, ha registrato il peggior risultato degli ultimi settant’anni e ha perso la maggioranza nelle elezioni per il rinnovo del parlamento bavarese di domenica scorsa.

Ora, il crollo elettorale della CSU terrà a freno l’entusiasmo dei conservatori della CDU che insistevano perché la Merkel emulasse le ricette del duo Söder-Seehofer. Ma il risultato (in una delle più ricche regioni d’Europa, dove la disoccupazione quasi non esiste e la crisi migratoria del 2015 è stata gestita incredibilmente bene ed il partito che ha governato per decenni è sbandato parecchio a destra negli ultimi mesi) la dice lunghissima sulla mobilità elettorale crescente e storicamente senza precedenti e sull’indebolimento dei tradizionali sentimenti di appartenenza e di identificazione nel partito, sia in Germania che altrove.

Un aspetto sul quale mi sono soffermato in diverse occasioni (“I 3 punti della svolta a destra europea e i puntini da connettere del Pd”, Il Foglio 11 aprile 2018  e “L’edificio riformista. Le ragioni del crollo e i pilastri della ricostruzione”, Assemblea nazionale di Libertà Eguale di Orvieto: https://www.radioradicale.it/scheda/546870) e sul quale oggi torna l’Economist (“Support for Bavaria’s long-dominant CSU falls to its lowest level since 1950. The German state follows a European pattern of fragmentation”).

 

Cresce la mobilità elettorale

“L’Unione Cristiano Sociale è stata la sintesi di quello che i tedeschi chiamano ‘Volksparteien’, ovvero partito popolare. Queste big-tent enormi di centro-destra e di centro-sinistra, nella maggior parte dei paesi occidentali, detenevano una sorta di monopolio sulla politica. Ma nella maggior parte dei paesi occidentali, quel monopolio si sta dissolvendo”, scrive l’Economist.

“I gollisti e i socialisti stanno perdendo importanza in Francia mentre crescono l’estrema destra, l’estrema sinistra e il centro radicale. In Olanda, in Spagna, in Svezia e in Italia, i vecchi democratici cristiani e i socialisti sono stati ridimensionati da forze più dinamiche a destra, a sinistra e al centro”.

“A livello nazionale, la vecchia idea di grandi partiti tradizionali come camere di compensazione per diversi punti di vista e diversi interessi sta lasciando il posto a qualcosa di più tribale. Comunque la si pensi sulla CSU (e sulla SPD bavarese, bocciata allo stesso modo), bisogna riconoscere che il suo declino rappresenta qualcosa di più importante: la fine dell’era del consenso e l’alba di una nuova era di conflitto intra-europeo.”

 

Oltre i partiti tradizionali, serve un nuovo contenitore

Insomma, non dobbiamo attendere per sapere se la politica europea è destinata a cambiare: è già cambiata.

Una cosa sulla quale anche il Pd dovrebbe riflettere. E il punto su cui ragionare lo esplicita Claudio Cerasa: “E se l’Italia alternativa a quella sfascista avesse un disperato bisogno di creare tra i due partiti europeisti un nuovo contenitore con una nuova leadership che non sia un semplice make up dei vecchi partitini di centro e che sia capace di parlare agli elettori assettati di novità? Lo spazio c’è, gli elettori pure, la resipiscenza è possibile e il caso della Baviera ci dice che per provarci potrebbe essere una pessima idea aspettare che non ci sia più nulla da perdere”.

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