di Vittorio Ferla
Europa, atlantismo, unità nazionale, pragmatismo, riforme. Ecco le cinque parole che segnano il programma Draghi emergente dall’intervista al presidente del Consiglio pubblicata sul Corriere della Sera la domenica di Pasqua.
Prima di tutto, l’Europa. Mario Draghi non è più soltanto l’ex capo della Bce, ma l’interprete più solido e maturo dell’europeismo italiano. Il suo governo nasce per sconfiggere la pandemia, ma anche per garantire la realizzazione del Next Generation Eu, il piano straordinario di investimenti concepito dalla Ue a vantaggio degli stati più colpiti dalla crisi. Dopo le titubanze del governo precedente, Draghi può dire di aver realizzato tutti gli obiettivi previsti dal Pnrr nel 2021. “Pochi giorni fa sono arrivati i primi 21 miliardi, che si aggiungono ai quasi 25 ricevuti l’anno scorso”, ricorda. Ma non basta. Con lui l’Italia non è più soltanto il paese ferito che chiede aiuti, ma diventa protagonista della scena pubblica continentale. Per la prima volta, mostra capacità realizzative fronteggiando la pandemia. Esce da un anno di ripartenza economica con una crescita del prodotto interno lordo del 6,6%. Si colloca nel gruppo dei paesi di testa impegnati a sostegno dell’Ucraina contro l’invasione russa, sia sul fronte delle sanzioni economiche (alcune concepite in prima persona dallo stesso Draghi) che sulla fornitura di armi per la difesa. Sostiene gli sforzi di pace tentati da Emmanuel Macron, presidente del semestre europeo.
L’altra parola è: atlantismo. Dopo gli sbandamenti di questa legislatura, l’Italia torna ad essere un partner affidabile nel sistema transatlantico. Nessuna concessione all’antiamericanismo ideologico che alligna ancora in larga parte delle culture politiche italiane. Nessun dubbio sul fatto che aiutare la resistenza ucraina, anche con le armi, significa difendere i valori occidentali fondamentali: democrazia e libertà. “Non farlo equivarrebbe a dire loro: arrendetevi, accettate schiavitù e sottomissione; un messaggio contrario ai nostri valori europei di solidarietà”, chiarisce il premier. Da ciò consegue lo schierarsi senza remore al fianco di Joe Biden. “Come vogliamo chiamare l’orrore di Bucha se non crimini di guerra?”, chiede Draghi a difesa dei toni forti adottati dal presidente americano. E poi, aggiunge, “dobbiamo riconoscere che nei mesi scorsi, prima e durante l’invasione, l’intelligence americana aveva le informazioni che si sono rivelate più accurate”. Motivo di più per consolidare i rapporti di collaborazione strategica con gli Usa e la Nato in vista dei prossimi sviluppi della guerra.
Terza parola: unità nazionale. “Il governo è a disposizione delle forze politiche per consolidare l’unità nazionale, per fare ciò che è bene per le famiglie e per le imprese”: il premier è riuscito finora nell’impresa titanica di tenere unite tutte le forze politiche della maggioranza, diversissime tra loro, a dispetto delle continue fibrillazioni del governo. Non era affatto scontato. Ma l’obiettivo comune del bene del paese – disegnato fin dall’inizio nell’incarico di Sergio Mattarella – era e resta chiaro. “Sarà pure una camicia di forza, ma quello che abbiamo realizzato insieme è moltissimo. Penso sia meglio concentrare l’analisi politica su ciò che è stato fatto e ciò che occorrerà fare”: come un vero e proprio mental coach della squadra di governo, Mario Draghi si focalizza sul miglioramento delle prestazioni, lavora sulla definizione degli obiettivi e del percorso per raggiungerli, instaura perfino con l’opposizione di Giorgia Meloni un rapporto di stima e rispetto reciproci. Ai partiti dice: “non sentitevi in una gabbia, progettate il futuro con ottimismo e fiducia, non con antagonismo. Guardate ai successi che avete ottenuto in una situazione molto difficile”. Draghi invita a sperimentare nuove prospettive, ad affrontare e rimuovere gli autosabotaggi delle forze di maggioranza e i pregiudizi opportunistici che potrebbero bloccare l’azione di governo: “ci sono tutte le ragioni per essere fiduciosi”.
La quarta parola è: pragmatismo. “Mi chiamo Wolf, risolvo problemi”, dice il celebre personaggio interpretato da Harvey Keitel nel capolavoro del regista Quentin Tarantino: Pulp Fiction. Poche parole dirette, azioni semplici ma efficaci. Parliamo di Wolf, ma parliamo anche di Mario Draghi. L’approccio pragmatico è un connotato evidente dello stile del premier, chiamato a sconfiggere la pandemia e a realizzare centinaia di obiettivi previsti dal Pnrr. Draghi è spesso capace di trovare le soluzioni più pratiche, come nel caso delle sanzioni contro la banca centrale russa concordate con Janet Yellen, segretaria del Tesoro americano. Ma anche le mosse più concrete ed efficaci sono sempre iscritte in una cornice di valori fondamentali. Un esempio per tutti? La battuta sul dilemma tra pace e condizionatori: “volevo mandare due messaggi. Il primo, simbolico: la pace vale dei sacrifici. Il secondo, più fattuale: il sacrificio, in questo caso, è contenuto, pari a qualche grado di temperatura in più o in meno”. Sta tutto qui il pragmatismo di Draghi: “la pace è il valore più importante, indipendentemente dal sacrificio, ma in questo caso il sacrificio è anche piccolo”. L’impegno continua sul piano europeo (con la richiesta di concordare un tetto comune al prezzo del gas) e sul piano nazionale (contratti con nuovi fornitori di gas per sostituire quello russo e sblocco degli investimenti nelle energie rinnovabili). Anche sull’invasione dell’Ucraina, dopo aver fatto l’esperienza di una telefonata inutile con Vladimir Putin, impermeabile a ogni proposta di pace, l’approccio del premier è pratico e diretto: “Comincio a pensare che abbiano ragione quelli che dicono: è inutile che gli parliate, si perde solo tempo… L’orrore della guerra con le sue carneficine, con quello che hanno fatto ai bambini e alle donne, è completamente indipendente dalle parole e dalle telefonate che si fanno”.
L’ultima parola è: riforme. Diversi obiettivi del Pnrr sono già stati raggiunti: sono fondamentali per garantire quei cambiamenti strutturali di cui l’economia italiana ha bisogno da decenni. Nell’agenda del 2022 ci sono ancora alcune riforme cruciali: concorrenza, codice degli appalti, riforma del fisco, riforma della giustizia. Il premier è certo che passeranno. L’impulso dato dall’Unione europea con il Next Generation Eu è stato indispensabile. Ma serviva anche l’uomo giusto al posto giusto. Alla fine dell’intervista Draghi ricorda che il posto del primo ministro – da lui ricoperto in forma emergenziale – “è per una persona scelta dagli italiani. Bisognerebbe che i presidenti del consiglio fossero tutti eletti”. Forse l’intervistatore avrebbe potuto approfondire il punto. Per capire se la prossima legislatura potrebbe essere, secondo Draghi, l’occasione per realizzare finalmente le riforme istituzionali necessarie a rafforzare il potere di scelta dei cittadini e la stabilità dei governi. Vedremo. Nel frattempo, il contributo del premier per il rilancio dell’economia italiana, la costruzione dell’Europa comune e il consolidamento dell’alleanza atlantica fanno di Draghi il De Gasperi del XXI secolo.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).