di Carlo Fusaro
Le reazioni alla nomina di Michel Barnier a primo ministro in Francia mi inducono ad un paio di riflessioni che come al solito provo a mettere in fila il più sinteticamente che mi riesce.
1) Leggo (quasi dappertutto, anche su autorevoli giornali francesi) che la scelta di Macron avrebbe messo il futuro governo nelle mani del FN della signora Le Pen. Ciò è vero o falso a seconda della prospettiva però.
2) Prima di tutto ripasso lampo delle regole istituzionali e della composizione dell’Assemblea nazionale uscita dal voto. Regole: in Francia NON serve la fiducia iniziale al governo o al PM che entrano in carica alla nomina. E vanno avanti fino ad eventuale sfiducia (che si chiama censura): questa però va votata a maggioranza assoluta (metà più uno, cioè 289 sì su 577 seggi). Ciò consente tranquillamente governi di minoranza: e lo si è voluto proprio in nome della stabilità nel presupposto che difficilmente (almeno ai vecchi tempi) estreme di destra e di sinistra si sarebbero sommate (votando la stessa censura).
3) L’AN è composta da quattro componenti principali: le sinistre alleate con 193 seggi (33.4%); i macroniani ed alleati con 166 (28.8%); il fronte nazionale della Le Pen con 142 (24.6%); gli ex gollisti (i “repubblicani”) con 47 (8.1%) e un po’ di indipendenti (son 29).
4) Fa certamente specie (ma non a noi italiani che avemmo Craxi e prima ancora Spadolini del Pri al 3%!) che la nomina sia andata proprio a un ex-gollista (per altro moderatissimo e iper-europeista), ma se questo è accaduto, è stato perché le varie componenti della sinistra, in particolare i 66 socialisti, non hanno mostrato alcuna disponibilità concreta a negoziare e a rinunciare al ri-abbassamento delle pensioni (un’irresponsabile follia), isolando gli estremisti di Melenchon (la France insoumise che ha 72 seggi).
5) Se ora si teme che il governo dipenda dalla volontà o no della destra estrema di presentare una mozione di censura, è solo perché si pensa che una tale mozione potrebbe far cadere il governo neonascente: ma siccome il FN ha “solo” 142 voti e ne servono più del doppio, per rendere irrilevante la minaccia (e la Le Pen) basterebbe che le altre forze e in particolare le sinistre, o anche solo la parte non irresponsabile di esse (tutti tranne Melenchon: 121 su 193!) dicessero: non voteremo mai la censura del FN…; non sommeremo mai i nostri voti a quelli del Fronte nazionale! L’indisponibilità non solo a governare coi macroniani ma anche a non votare la censura del FN è ciò che rende il FN rilevante.
6) Avrete notato che sia le sinistre sia il FN hanno reagito allo stesso identico modo alla scelta di Barnier da parte di Macron: gridando alla vittoria (elettorale) mutilata. Il fatto è che il FN aveva “vinto” (fra virgolette) le europee e il primi turno delle politiche; le sinistre sono arrivare prime in seggi col secondo turno (grazie alla concentrazione dei voti sui candidati anti FN insieme proprio agli aborriti macroniani, senza di cui forse Le Pen avrebbe vinto). Quindi il vero è che NESSUNO ha vinto davvero, producendo una situazione in cui si governa solo con compromessi ed alleanze (elezioni anticipate non sono ammesse almeno per un anno).
7 ) Si torna a un ragionamento che partendo dall’Italia si è fatto da tempo: o ci si dota di un sistema politico-istituzionale che produce sempre e comunque una maggioranza o si impara a coltivare la faticosa arte degli accordi e dei compromessi fra forze anche marcatamente diverse.
8 ) Purtroppo tutt’e due le “soluzioni” hanno i loro svantaggi. La prima ha il grande svantaggio che (all’inglese anche se con marchingegni diversi) impone l’accettazione che governi una minoranza (dopotutto Starmer ha avuto il 34% dei voti); la seconda impone l’accettazione di lentezze (alla belga, all’olandese, anche alla tedesca), negoziati interminabili e accordi talora poco trasparenti.
9) Infine, l’ossessiva polarizzazione di questi anni, alimentata dai social e da politici schiavi di essi, rende mal praticabili e relativamente inadeguate entrambe: questo indebolisce le nostre democrazie proprio quando sarebbe più necessario che fossero forti e reattive contro le tante sfide che ad esse vengono portate.
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).
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