di Giovanni Cominelli
Non per responsabilità mia né per mia scelta, ma per fatale legge biologica, il mio futuro è corto. Piano piano è scivolato alle spalle. Ma quel che ne resta mi spaventa. E non perché è poco. Perché è minaccioso.
Non è sempre stato così. Fino ai primi anni ’90, compresi, aveva un’altra faccia, quella della promessa. E, soprattutto quand’ero più giovane, ricambiavo il suo sguardo con il tentativo di attirarlo nel presente. Ovviamente non si parla qui di paure private, metafisiche e non, che ciascuno si amministra alla bell’e meglio – ma di paure pubbliche, di quelle che anche il mio prossimo sperimenta. Il guaio è che dall’inizio di questo millennio si sono accumulate e condensate. Paure oggettive che tutti sentiamo, cui le generazioni reagiscono in modo diverso. Va premesso, prima di passarle in rassegna, che i loro effetti sulla psiche delle persone e sul sentimento collettivo sono più o meno incisivi, più o meno catastrofici, più o meno paralizzanti a seconda del gradi di informazione- conoscenza-sapienza di cui ciascuno casualmente dispone.
Prima grande paura. La rete ha rotto i legami esistenti
La prima paura ha come oggetto il mutamento antropologico in corso, che nasce dall’ “iperglobalizzazione dell’individuo”. Essa sta modificando la società, spezzando i legami sociali pre-esistenti. Qualcosa di molto simile a ciò che costringono a constatare Marx e Engels nel Manifesto del 1848. Solo che là è una classe sociale – la borghesia – che produce lo sconvolgimento, qui è la potenza anonima e interclassista della Rete. “Iperglobalizzazione” significa che i miei pensieri, le mie emozioni, le mie rabbie, tutti i miei vissuti possono stagliarsi di fronte e contro tutti gli altri esseri umani, accumularsi e scagliarsi contro ogni altro e contro tutti. Un individuo fragile e assoluto al tempo stesso. Strappato dal proprio territorio, egli galleggia nello spazio-mondo, senza radici, senza patria. Non si tratta di un incubo notturno. Accade già, di giorno e di notte, a mezzo della Rete. Quasi quattro miliardi di persone usano la Rete. Un’enorme semiosfera si è avvolta attorno al pianeta, da ogni lato. Perciò io vedo il mondo intero e il mondo intero vede me, dentro un oceano di amebe reciprocamente trasparenti. Sta nascendo “un’alienazione della Rete”, cioè uno si sente perduto, non più padrone di sé, nonostante la sensazione narcisistica di onnipotenza. Si tratta di un vissuto nuovo per tutti, soprattutto per quella parte di umanità che ha avuto prima di ogni altra l’accesso a Internet.
Seconda grande paura. Il mondo è in pieno disordine
L’accumulo delle paure di origine digitale si combina con quelle che nascono dal disordine del mondo. È almeno dagli anni ’90, da quando S. Huntington scrisse di “clash of civilizations”, che il tema è uscito dai circoli degli studiosi di geopolitica per riversarsi davanti allo sguardo e nell’esperienza di miliardi di uomini. Disordine geopolitico, economico, ambientale, demografico. Non esiste più una struttura politica sovranazionale in grado di padroneggiare gli eventi, ma soltanto alcune grandi potenze mondiali che intendono ridisegnare a proprio vantaggio i rapporti di forza. Di qui l’importanza crescente e cruciale dei teatri geopolitici regionali, dove numerose medie potenze si affrontano nella competizione per l’energia, l’acqua, il territorio e dove alcuni stati si sciolgono come neve al sole, consegnando i territori a bande armate, che lucrano e crescono in potenza solo alimentando guerre civili feroci e guerre asimmetriche. Le economie, le società, i commerci, i conflitti corrono e l’autogoverno mondiale arranca sullo sfondo, come un’irrealizzabile utopia. Se, poi, alziamo lo sguardo sugli scenari di mezzo millennio, vediamo avanzare verso di noi una marea di miliardi di essere umani, un movimento di popoli dall’Africa, che non hanno nessuna intenzione di conquistare l’Europa – come accadeva per i Mongoli nel XIII secolo – ma che vi si riversano spontaneamente come un vaso demograficamente troppo colmo verso uno comunicante sempre più vuoto…
Terza grande paura. L’essere umano costruito in laboratorio
E se do una sbirciata, dall’esterno, dentro i laboratori della ricerca bio-nanotecnologica intravedo, nel luccicare delle provette, il progetto della costruzione dell’essere umano a partire, per ora, da materiale umano, ma, in seguito, forse, a partire dalla chimica. Ideologie tecno-scientifiche transumaniste e postumaniste stanno già proiettando il film di una “Nuova Genesi”.
Nel millennio appena iniziato si addensano sfide, speranze, paure, attese catartiche e messianiche, superstizioni, fondamentalismi, esattamente come nell’Anno Mille, che diede inizio al secondo millennio.
L’eco di questi eventi si ripercuote immediatamente nelle coscienze individuali come un riflesso di difesa e di fuga. Se il futuro non è più una promessa, ma una minaccia, allora, se sono giovane, non lo affronto più a viso aperto: mi chino ostinatamente sul mio presente individuale. E se appartengo alle generazioni più anziane, sbarro porte e finestre, mi dedico al mio giardino, come suggeriva Voltaire. Si realizza così un ritiro strategico dalla socialità pubblica, una regressione dalla Gesellschaft verso un’improbabile Gemeinschaft. Improbabile, perché se la società si disfa, le comunità che la compongono passano quasi subito ai ferri corti, si trasformano in minoranze l’un contro l’altra armata e si distruggono a vicenda.
La politica arranca. La Realtà si prenderà una rivincita. Drammatica
Ora, che la politica possa registrare in tempo reale i mutamenti in corso da qualche decennio è probabilmente pretesa eccessiva. La politica democratica è “obbligata” a registrare affannosamente il presente, mentre una politica totalitaria, dotata di progetti di lunga durata – il Reich dei Mille anni – subisce meno impacci, all’apparenza. E’ da questa, d’altronde, che arriva il consenso. Ma se si determina uno scarto crescente tra il mondo reale e la sua percezione filtrata dalla “sindrome dell’Anno Mille”, la politica che fa? Se si limita a rispecchiare passivamente le percezioni/emozioni, eventualmente alimentandole e confermandole, sarà travolta dalla Realtà, che prima o poi si prenderà una vendetta drammatica sulle percezioni, sulle emozioni, sulle nostre proiezioni. Più prima: perché il mondo ruota veloce. Esiste, in questo inizio di nuovo Anno Mille, un modo per riallineare Politica, Conoscenza e Mondo e un modo per uscire dal sonnambulismo suicida di settori maggioritari della società e della politica a livello nazionale e mondiale?
Un solo rimedio. Ripartire dal cuore dell’uomo
Ce n’è uno solo: quello di ripartire incessantemente dal “cuore dell’uomo”, da quello che nella Bibbia il profeta Geremia definisce “un solo cuore”, “un cuore unificato”, una sintesi di libertà e di responsabilità comunitaria. A nessuno è concesso di attraversare solitariamente il campo di battaglia con una rosa in mano, così cita Ratzinger. Il ritorno alla realtà del mondo, “alla cosa stessa” è un passaggio gnoseologico decisivo, ma non è il primo. Alle spalle sta l’assunzione della responsabilità verso il mondo, dell’I Care. Moralismo illuministico? Forse. Ma ritrovare il sentiero essenziale tra le apparenze della semiosfera e i fumi del mondo reale è in primo luogo assumersi il carico della propria responsabilità morale. Questo è il fondamento dell’agire politico di chiunque voglia contrastare la deriva presente.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.