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di Pietro Ichino*

 

L’obiettivo non è di congelare le eccedenze di forza-lavoro in attesa che ciascuna azienda possa riassorbire la propria, ma di sostenere in tutti i modi la transizione dalle aziende in crisi occupazionale a quelle che hanno bisogno di manodopera e non la trovano; che sono più di quanto comunemente si pensi.

 

Un “contratto di solidarietà” nazionale?

Proroga del blocco dei licenziamenti addirittura per un triennio, a fronte del rinvio per lo stesso periodo del rinnovo dei contratti coi relativi aumenti retributivi. Lo scambio proposto dal segretario della UILM Rocco Palombella a Governo e Confindustria è una sorta di grande “contratto di solidarietà” di livello nazionale: accettiamo di essere pagati di meno, pur di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. La proposta si fonda sull’idea che in questo momento le possibilità di ricollocazione delle persone che altrimenti perderebbero il posto siano pressoché nulle e che invece, superata la fase attuale di crisi economica acuta, ciascuna impresa potrà riassorbire gradualmente la propria eccedenza di manodopera.

L’intendimento del progetto è apprezzabile, ma le due premesse su cui esso si fonda – per quanto largamente condivise dall’opinione pubblica – non corrispondono alla situazione effettiva e alle prospettive del nostro tessuto produttivo. Va detto, innanzitutto, che a fronte dei settori flagellati dallo tsunami della pandemia ci sono settori che invece non ne sono stati colpiti, e altri che addirittura hanno registrato forti aumenti della domanda e stentano a trovare le persone di cui avrebbero bisogno: il Bollettino Unioncamere di ottobre 2020 ci informa puntualmente delle difficoltà di reperimento di personale specializzato, qualificato, e anche non qualificato, che si incontrano soprattutto nei settori dei servizi informatici, dei servizi medico-sanitari,  di quelli alle famiglie e alle comunità locali, dei servizi logistici e delle consegne a domicilio, dei servizi di installazione e manutenzione, della certificazione e controllo di qualità, della ricerca e sviluppo, della sicurezza e della tutela ambientale, nonché in quasi tutti i settori dell’artigianato, dall’alimentare, alla sartoria, ai servizi alla persona di vario genere. La tabella che segue indica, per le qualifiche più richieste, in 763.000 le assunzioni previste nel trimestre ottobre-dicembre 2020, con la previsione di difficoltà di reperimento in un caso su tre (32,5 per cento).

 

Le assunzioni previste in Italia nel trimestre ottobre-dicembre 2020

SETTORE Difficoltà di reperimento (%) Assunzioni previste
ott-dic 2020
TOTALE 32,5 763.770
Dirigenti 50,5 1.370
Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione 42,6 55.890
Specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali 64,2 11.940
Ingegneri e professioni assimilate 47,8 10.400
Specialisti delle scienze gestionali, commerciali e bancarie commerciali e bancarie 39,2 8.610
Professori di scuola secondaria, post-secondaria e professioni assimilate 15,9 4.060
Professori di scuola primaria, pre–primaria e professioni assimilate 48 3.810
Altri specialisti dell’educazione e della formazione 44,8 4.950
Professioni tecniche 40 108.940
Tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni 55,6 9.880
Tecnici in campo ingegneristico 58,9 8.020
Tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi 54,5 7.690
Tecnici della salute 36 17.240
Tecnici dell’organizzazione e dell’amministrazione delle attività produttive 28,7 8.540
Tecnici dei rapporti con i mercati 43,6 22.840
Tecnici della distribuzione commerciale e professioni assimilate 44,3 11.140
Insegnanti nella formazione professionale, istruttori, allenatori, atleti e profess.simili 16,8 9.740
Impiegati 22 64.120
Impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali 18,3 30.070
Impiegati addetti agli sportelli e ai movimenti di denaro 32,7 5.360
Impiegati addetti all’accoglienza e all’informazione della clientela 23,7 14.430
Impiegati addetti alla gestione amministrativa della logistica 20,9 5.930
Impiegati addetti alla gestione economica, contabile e finanziaria 17,6 5.370
Professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi 27,8 205.700
Addetti alle vendite 16,5 78.570
Addetti nelle attività di ristorazione 34,3 82.530
Professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali 33,2 13.500
Operatori della cura estetica 41,6 13.150
Professioni qualificate nei servizi personali e assimilati 29,8 11.660
Operai specializzati 46,2 122.570
Artigiani e operai specializzati delle costruzioni e nel mantenimento di strutture edili 28,5 26.900
Artigiani e operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni 51,7 19.010
Fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori carpenteria metall. e profess.simili 53,8 11.870
Fabbri ferrai, costruttori di utensili e assimilati 71 6.090
Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili 54,3 20.220
Artigiani e operai specializz. di installazione e manut. attrezz. elettriche e elettron. 42,6 9.210
Artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari 60,6 7.030
Conduttori di impianti e operai di macchinari fissi e mobili 33,3 105.700
Operai di macchine automatiche e semiautom. per lavorazioni metalliche e per prod.minerali 53,1 6.040
Operai addetti a macchinari dell’industria tessile, delle confezioni e assimilati 38,2 6.290
Operai addetti all’assemblaggio di prodotti industriali 37 7.640
Operai addetti a macchine confezionatrici di prodotti industriali 20,2 7.940
Conduttori di veicoli a motore 39,5 45.870
Conduttori di macchine movimento terra, sollevamento e maneggio dei materiali 21,4 12.170
Professioni non qualificate 15,2 99.490
Personale non qualificato addetto allo spostamento e alla consegna merci 12,5 25.160
Personale non qualificato nei servizi di pulizia 16,5 56.770

 

I mestieri più difficili da reperire
 

 

Il paradosso della compresenza di alta disoccupazione e skill shortage

La realtà è che il tessuto produttivo italiano è da tempo afflitto, in molti settori e a tutti i livelli professionali, da diffuse situazioni di skill shortage. Subito prima dello scoppio della pandemia, ANPAL e Unioncamere registravano circa 1,2 milioni posti di lavoro permanentemente scoperti per la difficoltà di trovare la manodopera qualificata o specializzata necessaria; se anche un quarto o un quinto di queste opportunità si sono perse per effetto della crisi attuale (in proporzione con la contrazione generale della produzione), ci sono comunque ancora nelle nostre imprese molte centinaia di migliaia di posti di lavoro che restano permanentemente scoperti.

Per il rilancio della nostra economia, dunque, la ricetta non può essere quella di congelare la situazione occupazionale attuale, tenendo in letargo la forza-lavoro eccedentaria, nella speranza che nel giro di qualche anno essa venga riassorbita nelle stesse aziende in cui l’eccedenza si è verificata, bensì occorre attivare il più possibile il trasferimento delle persone dai settori colpiti dalla crisi a quelli che non ne sono colpiti o addirittura ne sono avvantaggiati. E comunque attivare i percorsi necessari per indirizzare subito efficacemente ciascuna persona in cerca di lavoro verso la situazione di skill shortage geograficamente e professionalmente più accessibile.

Protrarre il divieto dei licenziamenti tenendo le persone in cassa integrazione sine die – poiché di questo si tratterebbe necessariamente, col protrarsi del blocco – significherebbe invece condannare le persone stesse a un periodo lunghissimo di sostanziale disoccupazione, con deterioramento progressivo della loro employability: è noto infatti che, a parità di altre condizioni, quanto più dura il periodo di inattività tanto più è difficile trovare un nuovo lavoro. Significherebbe inoltre aumentare la vischiosità dell’intero mercato del lavoro, riducendo la propensione delle imprese ad assumere, quindi anche la mobilità interaziendale, e scoraggiando la ricerca del nuovo posto di lavoro anche nei casi in cui essa può dare rapidamente un esito positivo. La Cassa integrazione (che inevitabilmente dovrebbe accompagnare il blocco dei licenziamenti) non è fatta per attivare le persone nella ricerca, ma al contrario per tenerle legate all’azienda di origine.

 

Il nodo dei servizi che non funzionano

Vero è che il nostro Paese è oggi attrezzato malissimo per una scelta di questo genere. L’ANPAL-Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, cui competerebbe di promuovere e coordinare i servizi di informazione, formazione, orientamento scolastico e professionale e assistenza alla mobilità delle persone, nonché i servizi alle imprese che cercano personale, è da un anno e mezzo totalmente paralizzata a causa di un presidente che risiede e mantiene il suo precedente lavoro nel Mississippi e che nei rari casi in cui Governo e Parlamento hanno potuto interloquire con lui ha mostrato di avere idee molto confuse sui problemi del mercato del lavoro italiano, in particolare su quelli dell’ente da lui stesso presieduto. Colpisce, però, che le grandi confederazioni sindacali, invece di protestare con forza, appaiano rassegnate alla paralisi pressoché totale di questo settore cruciale dell’amministrazione e dei servizi che essa dovrebbe assicurare. Cosicché finiscono col trarne motivo per rifugiarsi in proposte di politica del lavoro rinunciatarie e, in prospettiva, dannose per gli interessi che le confederazioni stesse dovrebbero difendere e promuovere: basti pensare alla sorte dei lavoratori “congelati” per anni, quando, prima o poi, il blocco dei licenziamenti – e con esso il trattamento incondizionato di integrazione salariale – dovrà inevitabilmente cessare.

 

*Articolo pubblicato su lavoce.info il 20 ottobre 2020 – In argomento v. anche la lezione che ho tenuto nell’ambito del corso di diritto del lavoro dell’Università di Firenze il 27 maggio scorso sul tema Che cos’è il diritto al lavoro e come lo si rende effettivo.

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