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L’ipocrisia del Fertilityday e il tabù della fecondazione assistita

Laura Landolfi giovedì 1 Settembre 2016
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Vogliamo subito tranquillizzare la minestra Lorenzin, le donne sanno benissimo quando è il loro periodo fertile. Alcune lo sanno perché si sono dovute liberare da una cultura che le imprigionava attraverso la consapevolezza e gestione del proprio corpo. Lo sanno perché molte di loro hanno scelto di diventare madri, altre di abortire. Alcune, le più giovani, lo sanno perché la liberazione sessuale si è spinta ai livelli massimi tanto da imprigionarle di nuovo in un ruolo che è l’opposto di quello da cui le loro madri o nonne si erano liberate.

Insomma se le donne  fanno i figli tardi, se molte scelgono di non farli proprio (anzi, secondo Natalia Aspesi questa è la suprema forma di liberazione della donna) i motivi sono altri. E molto complessi. Né ce ne possiamo stupire in una società gerontocratica come la nostra.

Certo non siamo il primo paese a lanciare una campagna come il fertilityday (che brutta parola), lo ha  fatto anche Singapore per cercare di ripopolare l’isola. Quello che colpisce è che la campagna che suona subito retrograda e offensiva parta da una donna che è diventata madre a 45 anni di due gemelli, che ha scelto di lavorare fino all’ultimo. Una donna moderna insomma.

Andando a vedere nello specifico, dando una spulciata al sito, si affrontano temi interessanti come l’infertilità maschile oppure, come affermato dalla ministra in un’intervista sulla Stampa ,cosa fare se si scopre di non poter avere figli. Ecco, questo il nodo. Perché la cosa da fare, e Lorenzin lo sa benissimo, è ricorrere a una delle due formule di fecondazione assistita (omologa o eterologa) o all’adozione. Volendo ancora tranquillizzare la ministra, il problema non è il tabù sulla fertilità, come dice sempre nella sua intervista,  il problema è il tabù sulla fecondazione. Il problema è la mancanza di sostegno (e la virulenza delle reazioni sui social lo conferma) a chi i figli ha deciso, eroicamente, di farli e a chi volendoli fare non può a causa di leggi ingiuste. E va benissimo fare informazione, ma chiamiamo allora e senza ipocrisie l’appuntamento del 22 settembre omologaday o eterologaday per favore, e aiutiamo veramente le donne e gli uomini che vogliono avere figli sostenendoli economicamente.

Oggi le coppie che ricorrono a questo sistema sono moltissime, anche giovani, e si ritrovano a combattere con liste d’attesa chilometriche se si rivolgono a strutture pubbliche – benché come ovvio in questi casi tempo da perdere non ce n’è – o a pagare prezzi proibitivi se si rivolgono a quelle private. Eppure ci sono tante, tantissime donne (basta spulciare i blog di settore per rendersene conto) che devono fare almeno tre/quattro cicli per raggiungere il risultato indebitandosi fino al midollo.

Per non parlare dell’eterologa, somma espressione dell’ipocrisia di questo paese. Grazie alle recenti sentenze della Cassazione che hanno bocciato la legge 40 che l’aboliva oggi questa forma di fecondazione è consentita, ma come tutte le cose fatte a metà spesso ci si trova a navigare in una terra di nessuno. Così le cliniche non potendone avere si fanno arrivare gli ovuli dall’estero con esborsi enormi e risultati spesso deludenti.

Parliamo di questo, o di una legge, proposta dalla ministra Boschi, che consenta l’adozione anche da parte di genitori single o dello stesso sesso. Parliamo di come sostenere le donne con una maternità che contempli le precarie, non solo i tempi determinati ma gli altri contratti anomali o le partire Iva. Parliamo di come aiutare i genitori a mantenere i figli una volta nati, a come iscriverli al nido, pagare loro i libri di scuola (un recente articolo di Repubblica parlava addirittura di una spesa annua di mille euro a figlio dovuta a costi dei libri e delle ormai esose imposte scolastiche).

Parliamone ministra, noi non vediamo l’ora. E non per questo vogliamo essere raffigurate con una clessidra in mano. E chiamiamo le cose con il loro nome. Le parole sono importanti… E anche le campagne pubblicitarie.

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