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L’Italia nell’Ue: quanto pesa la frattura tra europeisti e nazionalisti

Pasquale Pasquino lunedì 27 Luglio 2020
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di Pasquale Pasquino

 

Se riflettiamo sui rapporti fra l’Italia e l’Unione Europea, non credo che sia possibile sottovalutare gli effetti disastrosi delle elezioni del 2018 e l’enorme maggioranza che esse hanno prodotto a favore di forze anti UE, che non esito a definire anti-sistema, estranee intendo al progetto di integrazione europea e alla democrazia liberal-rappresentativa o come preferisco dire allo stato costituzionale di diritto.

La difficoltà di un accordo/compromesso fra forze politiche in una Italia divisa in partes tres risultò immediatamente evidente, in particolare tenendo conto di una campagna elettorale condotta all’insegna di “tutti contro tutti”. Il “contratto” zoppo del governo giallo-verde era basato su una comune voglia di entrambe i partner di entrare in quello che chiamavano il Palazzo, e, con effetti certamente dannosi per il paese, sarebbero ancora asserragliate lì dentro entrambe, se la Lega di Salvini non fosse auto-esplosa l’estate scorsa.

La mia impressione è che oggi le vicende politiche del nostro paese vadano viste nel quadro di una analisi comparata di cui accenno qui la struttura in forma telegrafica.

 

I sistemi politici degli stati europei possono essere distinti in tre grandi famiglie: 

1 – il sistema anglo-scandinavo; 

2 – i governi di centro; 

3 – i bipolarismi disfunzionali.

1 – in Gran Bretagna e nella maggior parte dei paesi scandinavi la competizione elettorale è tuttora quella tradizionale fra partiti conservatori e socialdemocrazie, entrambi con tradizione liberale abbastanza solida, che si alternano (o almeno possono alternarsi) nell’esercizio del potere di governo. Si osservi peraltro che la leadership politica in GB, dopo i governi Blair, è decisamente scaduta nella qualità e che la questione del Brexit ha diviso internamente i due maggiori partiti; inoltre, che le socialdemocrazie scandinave si oppongono per lo più ad una maggiore integrazione europea e presentano forme più o meno blande di sovranismo.

2 – In Germania e in Austria e, più di recente, anche in Francia il governo è costituito da forze centriste di destra e di sinistra liberali che hanno isolato le ali estreme – che possiamo chiamare anche i partiti anti-sistema (in Germania: Die Linke e Alternative für Deutschland; in Francia: La France insoumise e leRassemblement National); in Austria, d’altro canto, il partito conservatore e i verdi garantiscono un governo di centro-destra liberale). In questo contesto non è facile immaginare alternanza al potere, a differenza che nel primo caso.

3 – L’Italia e in certa misura la Spagna sono caratterizzate da fragili “quadriglie bipolari” (Duverger), una di destra-centro e una di centro-sinistra, che permettono solo governi disfunzionali poiché nei due campi uno dei due (o in Italia più) partner di coalizione sono partiti anti-sistema spesso anti-europei che rendono ardua la capacità di governo della coalizione vincente. (Su questo punto si veda l’analisi di M. Salvati sul Corriere della sera del 20 giugno 2020).

 

Per ora, l’Italia si è salvata grazie ai “nemici” del sovranismo locale: la Germania e la Francia.

Del domani però non vi è certezza.

Il M5S si è largamente trasformato in un partito di parassitismo filo governativo. Ma resta un ostacolo grave ad ogni forma di governo razionale ed efficiente. Il PD è debole e la Lega ancora dominata da Salvini. Il governo giallo rosso sopravvive, ma in acque abbastanza agitate.

Ma a me sembra che il cleavage destra-sinistra (che sussiste sul piano dei valori) non funzioni più su quello delle politiche e che sia sostituito dal cleavage nazionalismo–Unione Europea.  

 

Sergio Fabbrini e Massimo Riva, rispettivamente sul Sole e sulla Repubblica del 26 luglio presentano una analisi del tutto condivisibile e illuminante dei rapporti interni agli stati membri dell’Unione Europea. 

La mia variante della stessa tesi è questa.

Le vicende recenti vedono tre versioni del futuro dell’UE.

1. Quella dei paesi ex-comunisti, privi di una solida tradizione liberale, è di godere dei benefici dell’Unione da in punto di vista economico, proseguendo nella loro deriva decisamente illiberale/autoritaria.

Aggiungo che il caso dell’Ungheria è più preoccupante di quello della Polonia.

Orban, grazie ai soldi dell’UE (!), controlla il suo piccolo e abbastanza povero paese, privato ormai dalla sua élite intellettuale, tra l’oppressione e l’esilio. La Polonia è un paese molto più grande e diviso, come mostrano bene i risultati delle ultime elezioni presidenziali. Forse la Polonia si salva, nonostante il micidiale cattolicesimo bigotto che caratterizza una parte significativa della sua popolazione. L’UE ha in questa fase troppe gatte da pelare per potersi occupare anche dei post-comunisti. Ma la loro economia dipende in grande misura da quella tedesca e in giorni migliori la Germania potrebbe occuparsi (anche) dell’Ungheria.

2. Più inquietante la posizione dei sovranisti liberal-democratici. La loro concezione della UE non è molto diversa da quella che fu del Regno Unito prima che se ne andasse per fatti suoi. E anche di parte dell’opinione pubblica tedesca (Angela Merkel è meglio della Germania).

Sono più piccoli e meno matti degli inglesi (dico a ragion veduta degli inglesi e non dei britannici, che includono anche scozzesi e nord-irlandesi), e quindi non se ne possono andare. Ma rappresentano sulla base dei trattati esistenti un ostacolo che non si può affatto sottovalutare (non so come il nostro amico Fusaro possa veramente dare 8 a Rutte: vedi qui l’articolo su Libertà Eguale). Fubini nei suoi articoli recenti sul Corriere lo ha capito benissimo ed è difficile prevedere cosa succederà quando Merkel avrà lasciato il timone della barca europea.

3. E vengo al terzo punto: al triangolo Francia, Germania, Italia, che è il nodo del futuro della UE.

Angela Merkel ragionando sulle conseguenze del Covid-19 ha capito grazie alla sua intelligenza che l’Italia senza aiuti massicci non ce l’avrebbe fatta, e la bancarotta dell’Italia poteva segnare la fine del progetto europeo.

Macron, che sin dalla sua elezione predica una politica di closer union alla Delors, grazie al Covid ha avuto buon gioco finalmente a persuadere la riluttante Germania.

Il destino di una UE che non sia tutt’al più quello di un improbabile mercato unico (quello che non capiscono i governi meno lucidi, detti non si sa bene perché frugali invece che short-termist) dipende ormai in larga misura:

a) dalla successione di Angela Merkel alla cancelleria tedesca (la sua conferma sarebbe una prospettiva da migliore mondo possibile, una evenienza purtroppo rara),

b) dalla rielezione di un presidente francese come Macron, purché ce ne sia un altro come lui, se non dovesse essere lui, e

3) ancora di più, da come l’Italia gestirà il danaro che sotto forma di trasferimenti e di prestiti a bassissimi interessi gli arriverà dall’UE.

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