La Columbia University è passata all’apprendimento ibrido in un contesto di forti tensioni. L’USC ha annullato il discorso di laurea di un valedictorian (lo studente che tiene il discorso di commiato; solitamente chi si laurea coi voti più alti nella sua classe) musulmano, adducendo motivi di sicurezza. Decine di manifestanti filo-palestinesi e anti-israeliani sono stati arrestati a Yale.
La guerra tra Israele e Hamas a Gaza – che ha fatto seguito agli orribili massacri del 7 ottobre da parte del gruppo terroristico e che ora sta creando una catastrofe umanitaria a Gaza – ha aperto un nuovo capitolo nella discussione politica americana sulla sicurezza di Israele, sull’occupazione dei territori palestinesi e sulla migrazione forzata dei palestinesi in seguito alla fine del mandato britannico nel 1948.
Lo scompiglio nei campus universitari statunitensi ha sollevato una serie di domande difficili: cos’è l’antisemitismo? Quando uno slogan esprime un intento genocida, piuttosto che un punto di vista politico? Cosa costituisce una minaccia?
Alcuni vedono l’arresto degli studenti manifestanti come una violazione dei principi della libertà di parola che sono sacri per la vita politica statunitense ma anche per le istituzioni accademiche. In un articolo sulla London Review of Books, il professore di inglese della Columbia Bruce Robbins (che è ebreo) sostiene che il discorso filo-palestinese sia stato messo a tacere ( https://www.lrb.co.uk/blog/2024/april/at-columbia). Robbins sottolinea la necessità di «distinguere tra veri atti di antisemitismo, che sono stati molto pochi, e l’ansia o il disagio degli studenti ebrei costretti, forse per la prima volta, a confrontarsi con il fatto che gran parte del mondo disapprova ciò che Israele sta facendo». In una lettera aperta Jameel Jaffer, ex vicedirettore legale dell’ACLU e direttore esecutivo del Knight First Amendment Institute della Columbia, sostiene che l’università si è allontanata dai principi fondamentali. «Siamo profondamente turbati (…) dall’applicazione severa e apparentemente discriminatoria delle regole relative alle manifestazioni studentesche da parte dell’Università», scrive Jaffer ( https://knightcolumbia.org/…/knight-institute-calls-for…).
Citando un ebreo chassidico e una ebrea ortodossa (finita in ospedale dopo essere stata colpita all’occhio sinistro con una bandiera palestinese) che sono stati aggrediti dai manifestanti filo-palestinesi nel campus di Yale, l’editorialista del New York Times Bret Stephens scrive di un clima di ostilità verso gli ebrei. «Il fatto triste della vita nei campus oggi è che discorsi e comportamenti che sarebbero considerati scandalosi se rivolti ad altre minoranze sono trattati come comprensibili o addirittura encomiabili se diretti agli ebrei», scrive Stephens ( https://www.nytimes.com/…/university-jewish…). Anche il collega opinionista del Times John McWhorter è d’accordo: «Anche le proteste più pacifiche verrebbero trattate come oltraggiose se fossero interpretate, ad esempio, come anti-nere, perfino se il messaggio fosse in codice, come in un gruppo di persone che sorreggono tranquillamente cartelli MAGA o indossando magliette che dicono “Tutte le vite contano”. E comunque, definire tutto ciò pacifico rende l’uso della parola piuttosto inverosimile» ( https://www.nytimes.com/…/columbia-protests-israel.html).
Come ha scritto Alfonso Lanzieri non si tratta di una congiuntura casuale ma di un esito culturale ricostruibile. “Questo fenomeno sembra riflettere una sorta di illusione collettiva che induce alcune persone a considerare i terroristi islamici come portatori di liberazione. In tale miraggio, pare essere impigliato quel mondo che, con una certa approssimazione dovuta alla necessaria brevità, indichiamo col termine-ombrello wokeness. Il punto è che, a parere di chi scrive, quanto fin qui descritto non è un momentaneo abbaglio intellettuale, ma la conseguenza di certe premesse culturali”, ha scritto Lanzieri su Avvenire in un interessante articolo del marzo scorso (che vale la pena di leggere: https://www.avvenire.it/…/la-cultura-woke-venata-di…).
C’è un «limite» alla contestazione e alle proteste legittime?, si chiede tuttavia «Meanwhile in America», la newsletter quotidiana della CNN curata da Stephen Collinson e Caitlin Hu per orientarsi nel labirinto della politica americana.
La guerra di Israele contro Hamas e il suo devastante tributo di vittime civili a Gaza hanno scosso la vita politica degli Stati Uniti più di qualsiasi crisi di politica estera “dai tempi della guerra in Iraq”, scrivono Collinson e Hu. «Le proteste filo-palestinesi si stanno diffondendo nei campus universitari, così come le segnalazioni di incidenti antisemiti» e ora, scrivono, le autorità educative si trovano «di fronte a un dilemma»: come si fa a proteggere le voci di protesta, di dissenso e di messa in discussione dello status quo che sono essenziali per la missione dell’istruzione superiore, garantendo al tempo stesso che tutti gli studenti si sentano al sicuro?
«Non siamo ancora al livello delle proteste nei campus universitari durante la guerra del Vietnam. Ma la polizia ha sgombrato un campo di protesta alla Columbia University prima che ne sorgesse un altro. Più di 100 persone sono state arrestate lunedì alla New York University dopo che le autorità hanno riportato “canti intimidatori e diversi incidenti antisemiti”. I leader di New York affermano che gli estremisti politici si sono infiltrati in alcune manifestazioni studentesche. Non è illegale per i manifestanti esprimere sostegno ad Hamas o Hezbollah. Ma quando alcuni di loro inneggiano alla completa distruzione di Tel Aviv, è chiaro che il confine tra la critica a Israele e l’antisemitismo è stato oltrepassato».
«La tensione alla Columbia è così alta che le lezioni e perfino gli esami di fine anno stanno diventando virtuali. Le proteste rappresentano uno sfogo sincero per gli oltre 34.000 palestinesi uccisi nella reazione di Israele agli attacchi terroristici di Hamas il 7 ottobre. I manifestanti alla Columbia vogliono che l’università disinvesta dalle aziende e dagli investimenti che traggono profitto dai legami con Israele. Ma alcuni studenti ebrei affermano di subire anche intimidazioni e abusi razziali, e l’università ritiene che la protesta sia responsabile di atti vandalici, molestie e discriminazioni contro alcuni studenti. “L’esposizione a idee scomode è una componente vitale dell’istruzione e apprezzo l’audacia di tutti i nostri studenti che fanno sentire la loro voce”, ha affermato martedì la presidente del Barnard College, Laura Rosenbury. Ma, ha continuato, “nessuno studente dovrebbe temere per la propria sicurezza mentre è al Barnard e nessuno dovrebbe sentirsi fuori posto”».
Come faranno le autorità a risolvere la situazione?, si chiedono i due giornalisti della CNN. «Forse le autorità universitarie sperano che le cose si calmino semplicemente quando gli studenti torneranno a casa per l’estate. Ma si teme che i disordini possano avere un impatto sulle prossime cerimonie di laurea».
«Il presidente Joe Biden, già alle prese con la rivolta degli elettori progressisti, giovani e arabi americani, ha usato il suo messaggio pasquale per condannare “le vessazioni e gli appelli alla violenza contro gli ebrei”, aggiungendo che “questo palese antisemitismo è riprovevole e pericoloso – e non ha assolutamente posto nei campus universitari o in qualsiasi parte del nostro paese”». Dal canto loro, proseguono Collinson e Hu,«gli oppositori repubblicani di Biden – per i quali non c’è niente di meglio che far saltare in aria il mondo accademico d’élite – chiedono ulteriori dimissioni. Negli ultimi mesi diversi presidenti di college sono stati costretti a dimettersi non essendo riusciti a condannare con forza l’antisemitismo durante un’udienza del Congresso alla fine dello scorso anno». Naturalmente, sul punto è intervenuto anche Donald Trump, alla sbarra a New York, accusato di aver falsificato documenti aziendali per occultare un pagamento ad una ex attrice porno, riproponendo «la sua narrazione di una nazione e di un mondo fuori controllo» e incolpando Biden per lo “scandalo” di quel che avviene nei campus universitari.
«Non c’è una risposta facile a questo punto», ammettono i due reporter, e «il conflitto che mette in difficoltà i campus statunitensi non è mai apparso così insolubile».
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.