di Stefano Ceccanti
Intervento in aula del 29 luglio 2020 sullo stato di emergenza
Signor Presidente, è giusto ringraziarla per aver mantenuto fede all’impegno che si era assunto il Governo, accettando il puntuale ordine del giorno bipartisan dei componenti del Comitato per la legislazione, nel corso della conversione del decreto n. 33, di venire in Aula a riferire prima di ogni eventuale proroga, e di questo le diamo atto.
Detto questo, e prima di entrare nel merito, una premessa: pensiamola come vogliamo sull’opportunità dello stato di emergenza, ma restiamo uniti contro il negazionismo: il virus esiste, delle mascherine abbiamo bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), delle regole igieniche, come il lavaggio frequente delle mani ed il distanziamento sociale abbiamo bisogno, abbiamo anche bisogno di organizzare per tempo le vaccinazioni antinfluenzali.
Le diversità politiche sullo stato di emergenza sono una cosa seria, civettare con il negazionismo non lo è, non è cultura libertaria, è solo irresponsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Nessuno, non solo dal Governo, ma neanche dall’opposizione, può puntare a riprodurre i gravissimi errori di Trump, Johnson e Bolsonaro (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia Viva): questo è un punto politico risolutivo.
E lasciamo da parte Orban, il quale non ha bisogno dello stato di emergenza per perseguire il suo obiettivo dichiarato ed esplicito di costruire una democrazia illiberale (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia Viva).
Voi dite che ha rinunciato ora allo stato di emergenza, ma appena ha rinunciato ha fatto chiudere una testata web delle più indipendenti del suo Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia Viva), quindi, per favore, almeno non ce lo presentate come un esempio.
Detto questo, anzitutto una parola sul conflitto delle interpretazioni in questa materia: tutti prendiamo sul serio gli argomenti che abbiamo sentito, che abbiamo letto da maestri del diritto come Cassese; qui siamo in una materia che è largamente opinabile, non possiamo ragionare in termini di verità o errore, di opinione giusta o sbagliata, ma l’interpretazione scelta dal Governo sulla necessità della proroga è preferibile perché ha un vantaggio pratico, non perché consente di fare delle cose in più, ma perché le cose che fa possono avere un fondamento più solido, questo è il senso, è quello che la teologia morale e poi il diritto chiama “tuziorismo”: quando sono possibili più interpretazioni giuste, si sceglie quella che dà gli effetti più sicuri, questo è il punto chiave in termini di diritto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ora, detto questo, chiariamo bene l’oggetto politico di questa discussione: apparentemente ci dividiamo tra favorevoli e contrari alla proroga dello stato di emergenza, ma questa è solo apparenza.
Di cosa stiamo parlando concretamente? Ci stiamo impegnando su una terza opzione, il via libera a un’emergenza di tipo nuovo, come tale non comparabile alla precedente, come ben chiarito dalla risoluzione di maggioranza, che è identica a quella di ieri in Senato.
È nuova per almeno cinque motivi:
– perché ha tempi brevi e certi,
– perché è basata sull’assoluta preminenza delle norme primarie e sul carattere recessivo dei DPCM,
– perché è basata su limitazioni territoriali e contenutistiche molto limitate e non generalizzate, valorizzando autonomie locali, regionali e funzionali, riespandendo pienamente tutte quelle libertà, come quella religiosa, già valorizzata con i protocolli con tutte le principali confessioni,
– perché scuola, università e lezioni saranno ricondotte rapidamente verso una sostanziale normalità,
– perché il Parlamento non potrà e non dovrà subire le forti limitazioni di questi mesi (quelle chiarite dal Rapporto sulla legislazione presentato ieri), una prassi che ha rafforzato aspetti patologici già presenti come il monocameralismo casuale alternante.
Tutti abbiamo sofferto perché tutte e 33 le leggi di questo periodo non hanno avuto emendamenti nella seconda Camera che le ha esaminate, questo lo dovremo evitare e questo ci impegniamo a fare. Siamo così convinti che, non facendo un decreto-fotocopia dei decreti n. 19 e n. 33, non procedendo inerzialmente, ma con un salto di qualità, che intendiamo anche garantire nella conversione del decreto che avremo, risponderemo anche alle ragioni di chi oggi crede di dover dire “no”, perché pensa che noi vogliamo semplicemente prorogare le cose di prima e non fare un salto di qualità.
Diremo in prosa col nostro operato quello che diceva in versi Antonio Machado: Viandante, il cammino non c’è, il cammino si fa camminando; è un nuovo cammino di una nuova fase di emergenza, non la mera proroga del precedente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e questo lo faremo insieme con tutto il Parlamento, sia con chi vota “sì”, sia con chi vota “no”. La nuova emergenza di oggi ci dice che siamo nella parte finale del nostro esodo.
Come ricorda Michael Walzer, in una suggestiva lettura politica del “Libro dell’Esodo”, in esso si riproducono fatalmente nostalgie e lamentazioni, si affacciano negazionismo e illusioni, ma per giungere alla nuova normalità il cammino va percorso senza scorciatoie. Non si può saltare la parte finale del deserto. Questa è la nuova emergenza, non una conferma della precedente: a questa diamo il nostro sì, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.