La Presidenza di Libertàeguale, che si riunirà a Roma venerdì 10 febbraio, sarà l’occasione per discutere delle prospettive dei riformisti nella fase politica apertasi con il risultato del referendum del 4 dicembre scorso. Una discussione di ampio respiro, sul Governo, le riforme, il centrosinistra italiano: sui loro limiti, e sulle possibilità di ripartenza.
In tema di limiti, viene spontaneo far partire una riflessione dal Partito democratico. Quando si è dato vita al progetto del PD c’erano tante grandi speranze, nate con gli anni di incubazione teorica, ma anche molte paure, su come gli apparati dei partiti che si accingevano a dare i natali alla nuova formazione avrebbero potuto rovinare tutto. Alla fine della segreteria Bersani, potevamo dire senza dubbio che le speranze erano lì, rinchiuse in qualche cassetto dimenticato, ma le paure le avevamo viste tutte in faccia, avverarsi una ad una. A pochi mesi dalla fine del primo mandato della segreteria Renzi, però, non sappiamo neanche di preciso a che punto siano le speranze, e fino a che punto siano state lasciate indietro, invece, le paure.
Per questo, per salvare l’ambizioso progetto del PD non già da una scissione a sinistra, ma da una ben più grave scissione dalla sua missione nella società italiana, quanto accaduto il 4 dicembre può diventare un’occasione perché, quantomeno, sta dando a Renzi il tempo libero per cominciare veramente, come avrebbero detto Ingrao e Marx (anche se tanto Renzi quanto chi scrive non hanno particolari simpatie né per l’uno, né per l’altro), a “costruire nel gorgo”, a munire il partito di una cultura politica fatta di dispositivi simbolici e pratici che possano restituire il senso di un’esperienza come la sua. Per Renzi questo è doppiamente fondamentale, perché quel gorgo ha contribuito a costruirlo, e perché se le sue ambizioni lo vedono ancora una volta protagonista principale nella pesante cornice di Palazzo Chigi, è opportuno che lui, per primo, sappia che, senza un deciso intervento, un bis avrà le stesse difficoltà dell’esordio. Dalla scuola alla Costituzione, passando per lavoro e pubblico impiego, il riformismo italiano si presterà sempre facilmente ai tentativi di restaurazione, se Renzi e il corpaccione del PD continueranno, come in questi anni, a comportarsi reciprocamente secondo la logica dell’etsi non daretur. È difficilmente rinviabile aprire un importante percorso all’interno del Partito Democratico, affinché si crei, almeno come obiettivo minimo, un “vocabolario condiviso” di lettura dello storytelling renziano.
Certo, il gorgo è brutto assai: un partito in deficit di voti e militanti, balcanizzato in molti suoi territori, coinvolto nel malaffare dove qualche campione delle preferenze si è spinto troppo in là. Il tutto in un mondo in cui la “intermediazione” è vissuta sempre più come “intrusione”, e le vecchie posizioni di destra e sinistra vengono messe in crisi in tutti gli strati sociali. Eppure, in quel gorgo vale ancora la pena di costruire: la maggior parte della classe dirigente politica proviene ancora dai partiti, e così sarà a lungo, e, soprattutto, sappiamo quale sarebbe l’alternativa a questa costruzione.
Si può chiudere disordinatamente questa legislatura, andare alle urne accelerando il più possibile, e rinviare il tema della discussione sulla cultura politica che vuole darsi il PD a data da destinarsi, ma poi si deve essere pronti a continuare a rincorrere i sondaggi quotidiani e il consenso immediato e passeggero dei cittadini (anche attraverso alcune misure facilmente, anche se ingenerosamente, accusabili di essere mance elettorali), ad andare nei talk shows a valutare il successo o l’insuccesso di riforme strutturali attraverso statistiche trimestrali, e non nel medio e lungo periodo perché non se ne avrà il respiro, a stare in balia degli eventi di un mondo liquido e democratico come quello attuale. Nulla di male in tutto questo, Renzi è stato fenomenale a portare avanti queste dinamiche dal 2013 ad oggi, ma quando i nodi sono venuti al pettine ci si è accorti che il gorgo era lì, incapace di sviluppare nel Paese discussione e partecipazione, riflessione e mobilitazione: vuoto della cultura politica che gli avrebbe consentito di riscoprire nell’azione modernizzatrice del Governo il suo stesso ethos, restio a darsi un nuovo corso, invotabile perché sin troppo noto nel suo funzionamento locale in troppe aree della penisola. Un anello debole che ha presentato e presenterà il conto ad un referendum prima, ad una elezione che si potrebbe giocare sulla lama del rasoio proporzionale dopo, nella decisiva partita contro il risorgere del nazionalismo protezionista e populista dopo ancora.
Quale ruolo cercare, dunque, per i riformisti in questa fase? Senza dubbio, il lavoro degli anni scorsi di organizzazioni come la nostra Libertàeguale è stato, seppure un po’ celato nelle retrovie degli addetti ai lavori, una base importante – e riconosciuta dallo stesso Renzi – per dare sostanza e fondamenta all’attività riformista del Governo. Proprio per l’attenzione alla cultura politica che si è intesa costruire nel corso degli anni, i riformisti non possono temere una discussione franca e aperta su quello che deve essere il Partito Democratico dei prossimi anni.
Consulente di comunicazione e docente di linguaggi multimediali, fa parte della presidenza di Libertàeguale.