di Pietro Ichino
Il M5S ha vinto le elezioni perché ha saputo interpretare la protesta della gente comune contro la cattiva politica, parolaia e disonesta perché non mantiene le promesse. Questo è il motivo per cui il leader del movimento Di Maio ripete ossessivamente che, invece, il “Governo del cambiamento” sta mantenendo le promesse.
Ora, lungi da me negare che nel passato remoto e recente l’Italia abbia sofferto di cattiva politica; ciò non toglie che la realtà sia molto più complicata di quanto pensi la gente comune quando giudica i governanti, e di quanto pensino i movimenti politici allo stato nascente quando formulano le loro promesse.
Accade così che nel giro dei soli primi tre mesi dall’insediamento del “Governo del cambiamento” siano cadute come birilli tre promesse molto precise del M5S:
Presto sarà il turno della TAV e del traforo del Brennero.
E verrà anche il turno del “reddito di cittadinanza”, perché i 10 miliardi previsti per questa voce nel disegno di finanziaria 2019 se li è già mangiati l’aumento dello spread causato dal puro e semplice annuncio di questa spesa finanziata a debito: ora il Governo sta riflettendo sulla necessità di destinarli alla ricapitalizzazione delle banche, pericolosamente penalizzate appunto da quell’aumento.
Così, alle prese con il “partito dei fatti” – come lo chiama sul Foglio Claudio Cerasa –, il M5S è costretto a riflettere sul fatto che anche l’imprudenza e la presunzione, tanto comode in campagna elettorale, sono un fattore essenziale proprio di quella cattiva politica, parolaia e disonesta, per combattere la quale il movimento stesso credeva di essere nato.
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino