Il ciclo politico gialloverde si è già esaurito ma si prospetta una caduta senza reti di protezione.
Personalmente nutro pochi dubbi a tale riguardo: le forze che sostengono il governo cercheranno di salvare le apparenze, ma dei capisaldi originali della “manovra del popolo” resterà ben poco.
Una intesa con le Istituzioni europee, indebolite dalla prossima scadenza elettorale, dalla fragilità della intesa sulla Brexit e dalle difficoltà di Macron in Francia, è probabile, e comunque auspicabile per evitare danni peggiori, ma il risultato finale offrirà un misero contributo nell’affrontare un 2019 che si preannuncia complicato sul versante economico e su quello sociale.
Si può fare qualcosa di più e di diverso? Certamente si, comunque nel medio periodo, e a condizioni di imparare alcune lezioni che sono emerse con grande evidenza anche in questi mesi.
La restaurazione in atto
La prima lezione: in Italia, come in altri paesi europei, non è in atto un cambiamento ma un tentativo di restaurazione di vecchie politiche con metodi nuovi. Distribuire sussidi in modo clientelare, utilizzare i pensionamenti per favorire nuova occupazione, e generare deficit di bilancio con il proposito di sostenere la crescita dell’economia, è esattamente quello che hanno fatto gran parte dei governi del passato. Del resto i numeri parlano chiaro. Se fossero veri questi assunti, con i deficit e i debiti che abbiamo prodotto e con il numero di pensionati che ci ritroviamo in rapporto alle persone in età di lavoro, dovremmo avere il record europeo nei tassi di crescita dell’economia e della occupazione. Ma invece è vero esattamente il contrario siamo tra i fanalini di coda sull’uno e sull’altro versante.
Margini di correzione risibili
La seconda lezione: i margini di correzione delle politiche utilizzando la spesa corrente pubblica sono risibili, e non solo per i vincoli di indebitamento che ereditiamo. Cosa volete che incidano 8/9 mld di redditi di cittadinanza, ovvero gli 80 euro di renziana memoria, su flussi di domanda e offerta di beni in un Pil di 1,8 mld? Poco o niente, basta un piccolo scossone finanziario internazionale per cambiare le aspettative a indurre le persone e le famiglie a lasciare i soldi in banca (una volta si diceva sotto il cuscino). Volete un esempio? Pochi sottolineano che durante gli anni della lunga crisi economica il risparmio accantonato delle famiglie è aumentato del 13%. Molti invece sottolineano invece che i salari italiani, rispetto a quelli europei, sono rimasti al palo.
Come si conciliano le due cose? Non è difficile capirlo. Le risorse disponibili non si traducono in investimenti e in domanda di beni, questo comprime la crescita e la produttività, ergo i salari e l’ occupazione crescono di meno, perché vengono sovraccaricati di oneri eccessivi e di incertezze gli attori, le imprese i lavoratori e le famiglie, che dovrebbero essere messi in condizioni di agire.
Il problema pertanto non è quello di una politica che non spende a sufficienza, ma diversamente di quella che promette di risolvere i problemi, prevaricando gli attori economici e sociali.
Le ipotesi sovraniste non sono una soluzione
La terza lezione…mettiamocelo nella testa una volta per tutte, siamo meno dell’1% della popolazione mondiale. Pretendere di dettare legge al mondo, senza manco comprendere i nostri limiti, non è un buon viatico per risolvere i problemi. In questi mesi siamo riusciti a proporre una manovra in deficit, festeggiando sul balcone, e sbeffeggiando i potenziali creditori che dovrebbero finanziare il nuovo deficit. Con il risultato di aumentare il costo degli interessi sul nostro debito.
È del tutto evidente come le istituzioni europee siano ancora inadeguate e prive di dotazioni, leggi competenze e risorse, per dare solidità alla crescita e alla finanza, e alla sicurezza sociale. Ma le ipotesi sovraniste, oltre che esporre gli stati più deboli alle tempeste economiche, rappresentano la negazione del problema non la soluzione. E sul cosa fare, anche per tutelare i nostri interessi, non c’è uno straccio di idea.. salvo chiedere alle istituzioni europee di concederci l’ennesima dose di metadone per evitare di disintossicarsi.
Le responsabilità della nostra classe dirigente
Questa incapacità di comprendere le lezioni, purtroppo, non è una prerogativa esclusiva delle forze politiche gialloverdi. I difetti vengono da lontano, dalla incapacità delle classi dirigenti di rigenerare le energie vitali del nostro Paese. Negli anni della cosiddetta seconda repubblica hanno oscillato tra l’assecondare la deriva dell’antipolitica, e il discredito stesso delle classi dirigenti, e l’evocare gli interventi delle tecnocrazie nazionali ed europee (i cosiddetti vincoli) finalizzati a contenere la perenne incapacità di correggere i nostri difetti.
Osservare i leader delle grandi associazioni dei produttori e dei lavoratori che mendicano riunioni nelle sale dei ministeri con gli “scappati di casa”, è davvero penoso e la dice lunga sulla consistenza reale dei nostri cosiddetti poteri forti.
Una alternativa politica non potrà prescindere dall’affrontare il tema della ricostruzione delle nostre classi dirigenti e della riappropriazione della capacità delle organizzazioni della società civile di offrire risposte credibili, e di carattere generale, ai problemi economici e sociali.
Natale Forlani è stato segretario confederale della Cisl e ad di Italia Lavoro (Agenzia strumentale del Ministero del Lavoro, della quale ha assunto anche la carica di presidente nel 2009). Già direttore generale dell’Immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, è stato estensore, insieme a Marco Biagi ed altri autori, del Libro Bianco sul Lavoro.