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Ma la retorica pauperista non funziona

Natale Forlani venerdì 8 Febbraio 2019
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di Natale Forlani

 

In Italia vengono attualmente impegnate ogni anno, oltre 130 mld di risorse pubbliche per i sostegni di carattere assistenziale, cifra destinata a crescere per effetto della introduzione del reddito di cittadinanza. Una cifra notevole, persino superiore, in rapporto al Pil, alla media di quanto si spende nei paesi europei.

 

I sostegni all’assistenza

Si tratta di una vasta gamma di interventi: integrazione dei minimi di pensione, assegni per invalidità, non autosufficienza e di sostegno alle famiglie, sostegni al reddito di varia natura, per disoccupazione o per integrazione del reddito familiare, bonus bebè, bonus cultura… . Senza tener conto dell’ampio assortimento di contributi e di esenzioni che accompagnano l ‘erogazione di servizi, rette scolastiche per università, asili nido e scuole materne, tariffe, abbonamenti bus, tickets sanitari, servizi di accompagnamento di varia natura, che sono persino difficili da contabilizzare.

In pratica non esiste ormai un servizio o un intervento, che non preveda una selezione effettuata sulla base dei redditi dichiarati, del patrimonio, dei figli a carico, dell’età, delle condizioni fisiche, della cittadinanza e di ogni altro criterio che la fantasia può sollecitare. Per buona parte del ceto medio italiano, non è sufficiente pagare le tasse con aliquote in base al reddito, ma costoro vengono chiamati a contribuire al costo di tutti i servizi. Cosa che, per coloro che pagano regolarmente le tasse, finisce per unire il danno con la beffa.

 

Perché aumenta la povertà?

Eppure, nonostante tutto ciò, il numero delle persone povere, secondo le indagini dell’Istat, si è sostanzialmente raddoppiato negli ultimi 10 anni.
Complice la lunga crisi economica, certamente. Ma questo spiega solo in parte il fenomeno dato che, nello stesso periodo, la sola spesa assistenziale si è incrementata di oltre 40 mld .
Quindi c’è qualcosa che non va, e di distorto, che impedisce un efficace utilizzo delle risorse impegnate.
Niente di oscuro…le cause sono sono note a chi studia la materia.

 

1. La dispersione delle risorse erogate

Una è facilmente individuabile nel disordine e nella dispersione delle prestazioni erogate. Non esistendo una anagrafe nazionale in grado certificare quanto effettivamente erogato per ogni cittadino o nucleo familiare, è difficile comprendere se la destinazione delle risorse sia stata appropriata, ovvero se è stato colto l’obiettivo di sostenere i ceti meno abbienti. Ad esempio, per anni si è continuato ad integrare le pensioni minime a chi non aveva versato contributi sufficienti sulla base del, falso, presupposto che alle basse pensioni corrispondessero altrettanti “poveri”.

 

2. La selezione dei beneficiari: un percorso a ostacoli

Una seconda motivazione è insita nei variegati meccanismi di selezione dei beneficiari per le diverse tipologie di prestazioni promossi dalle amministrazioni. Per i cittadini sono simili a percorsi ad ostacoli, che inducono gli interessati ad adattare i requisiti dichiarati sulla base delle richieste. Del tutto logico che riescano a farlo le persone più “scafate”, assai meglio di quelle effettivamente bisognose e poco dotate di capacità relazionali.

 

3. Più sussidi che servizi e incentivi

Il terzo difetto è legato al fatto che le varie erogazioni privilegiano a dismisura i sussidi a svantaggio dei servizi e degli incentivi premiali legati al risultato (ad esempio i sostegni al reddito anziché le le politiche attive del lavoro). In questi casi, il comportamento naturale dei percettori, in tutto il mondo non solo in Italia, diventa quello di sfruttare nel tempo la durata degli assegni.

 

4. il contrasto alla povertà assoluta

Infine, l’aspetto più importante attiene lo specifico degli interventi rivolti a contrastare la povertà assoluta, che sono l’aspetto terminale delle politiche del Welfare. Quelle rivolte ad aiutare le persone e i nuclei caratterizzati da elevato disagio sociale derivanti da un complesso di fattori, fisici, psicologici, lavorativi, ma soprattutto legati a carenze relazionali, che impediscono alle stesse di integrarsi con le ordinarie dinamiche economiche e sociali. Ed è proprio su questi interventi che le politiche basate sui sussidi, in Italia come nel mondo, hanno fallito.

 

Il reddito di cittadinanza conferma tutti gli errori del passato

Applicate questa analisi alle caratteristiche del reddito di cittadinanza, e ritroverete in esso l’intero “bestiario” delle cose che non dovrebbero essere fatte: l’ ennesimo “trappolaio” di requisiti di accesso alle prestazioni con organismi di controllo privi di adeguate informazioni, sussidi superiori ai salari di molte potenziali offerte di lavoro. E che porteranno molti lavoratori con contratto a termine, stagionale, part – time a rinunciare alla ricerca di un nuovo lavoro per prendere, legalmente, il sussidio.
L’ importante è distribuire in fretta le risorse, e organizzare la clientela per i profeti del cambiamento.

 

P.S.

L’ISTAT, nella audizione parlamentare sul reddito di cittadinanza, dopo aver ridotto da 5 mln a 2,7 mln la stima dei potenziali beneficiari del Rdc, ha confermato che effettivamente i 6,7 mld previsti a regime per l’intervento contribuiranno a ridurre il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta.. dal 30,1% al 29,9% dell’indice Gini.
Come bruciare la foresta per fare un uovo al tegamino.

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