di Marco Leonardi e Leonzio Rizzo
Il governo ha ottenuto un successo sul Pnrr: è riuscito a cambiare il piano e ottenere tutte le rate nonostante molti degli obiettivi siano stati cambiati all’ultimo perché altrimenti non sarebbero stati raggiunti.
Il primo problema è che questa revisione rischia di aumentare il debito invece di ridurlo. Si è scelto di non rinunciare a nulla e di spostare i soldi da alcuni progetti (quelli dei comuni) ad altri (RepowerEu, i progetti per l’indipendenza energetica) e di non accettare tagli alle rate con il meccanismo forfettario previsto dai regolamenti che avrebbe permesso di ridurre il debito in caso non si finiscano le opere. Questo può ancora accadere perché gli obiettivi sono stati spostati al 2026 ed è possibile che alla fine si dovranno accettare tagli alle rate, a meno che alcuni dei progetti esclusi dal PNRR non vengano definitivamente cancellati o rinviati a data da destinarsi. Una possibilità concreta a questo punto.
Inoltre, se un ammontare rilevante delle rate del PNRR arriverà tutto nel 2026 nel frattempo bisognerà trovare come coprire le spese dei progetti: ci sarà davvero la cassa per pagare ciò che sarà eseguito nel 2024? Dovrà essere il Tesoro a rivedere il profilo temporale delle spese effettive. La revisione dei conti pubblici dovuta alla riduzione delle stime di crescita del PIL ridurrà ulteriormente lo spazio della cassa.
Il secondo problema è quello di come si sostituisce il finanziamento PNRR per i progetti ora esclusi. Dalla revisione sono stati cancellati progetti per 11,2 miliardi. Un miliardo riguarda la gestione del rischio idrogeologico. Recentemente questi ultimi soldi sembrano di fatto essere stati assegnati interamente all’Emilia Romagna: il finanziamento sarà a valere sul fondo di coesione, giusto gioirne, ma si pone il problema di quali investimenti precedentemente programmati verrebbero tagliati.
In generale rimane un’incertezza di fondo su quali progetti verranno tagliati del piano nazionale complementare e dai fondi di coesione senza penalizzare il sud e la regola del 40%, da una parte, e dall’altra senza penalizzare il nord che deve trovare compensazione nonostante da regolamento gli tocchi solo il 20% del fondo di coesione. Non si possono usare i fondi europei della programmazione 2021-2017 poiché l’accordo di partenariato è già stato concluso.
Quattro mesi fa il governo era intenzionato a fare tagli molto più profondi ai progetti comunali e, solo dopo l’evidenza portata dai dati raccolti dall’associazione dei costruttori (e non dal sistema Regis), il taglio è stato ridotto. I dati mostrano che la gran parte dei progetti tagliati sono progetti in essere, che il 40% del totale delle opere PNRR andate a gara (e il 30% delle gare assegnate) sono progetti comunali. La spesa per investimenti comunale è aumentata del 40% e i tempi tra la pubblicazione del bando e l’esecuzione si sono ridotti del 30%. Non vorremmo che lo spostamento dei fondi dai comuni agli incentivi automatici del RepowerEu pregiudicasse uno dei benefici maggiori del PNRR che doveva essere il miglioramento strutturale delle capacità di spesa per investimento delle amministrazioni pubbliche. Oggi invece alcuni comuni stanno addirittura rinunciando ai finanziamenti PNRR piuttosto che rimanere nell’incertezza. Questo potrebbe pregiudicare l’effetto del PNRR sul PIL nel lungo periodo che dipende tutto dalle riforme tra cui c’è anche la riforma delle procedure di spesa per investimento.
Professore di economia politica all’università degli Studi di Milano, si occupa di disoccupazione e diseguaglianze. E’ stato tra gli anni 2015 e 2018 membro del comitato tecnico di valutazione della Presidenza del Consiglio e consigliere economico del Presidente Gentiloni. Ha scritto un libro sulle riforme di quegli anni dal titolo “le riforme dimezzate, perché su lavoro e pensioni non si può tornare indietro”, EGEA 2018. Fa parte della Presidenza Nazionale di Libertà Eguale.