di Liliana Segre
Signor presidente del Consiglio, colleghi senatori*.
Prendendo la parola per la prima volta in quest’Aula, non posso fare a meno di rivolgere innanzitutto un ringraziamento al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha deciso di ricordare l’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle leggi razziali, razziste, del 1938, facendo una scelta sorprendente, nominando quale senatrice a vita una vecchia signora, una persona fra le pochissime ancora viventi in Italia che porta sul braccio il numero di Auschwitz e ha il compito non solo di ricordare ma anche di dare in qualche modo la parola a coloro che ottant’anni or sono non la ebbero.
La shoah italiana
A quelle migliaia di italiani, 40 mila circa, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che subirono l’umiliazione di essere espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società, quella persecuzione che preparò la shoah italiana del 1943-45 e che purtroppo fu un crimine anche italiano, del fascismo italiano.
Soprattutto, si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti, che a differenza di me non son tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza, verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri.
Lo sterminio di Rom e Sinti
In quei campi di sterminio altre minoranze, oltre agli ebrei, vennero annientate. Tra queste voglio ricordare oggi gli appartenenti alle popolazioni rom e sinti che inizialmente suscitarono la nostra invidia di prigioniere perché nelle loro baracche le famiglie erano lasciate unite. Ma ben presto, all’invidia seguì l’orrore perché una notte furono portati tutti al gas. E il giorno dopo, in quelle baracche vuote, regnava un silenzio spettrale.
Per questo accolgo con grande convinzione l’appello che mi ha rivolto oggi su Repubblica il professor Melloni. Mi rifiuto di pensare che oggi che la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi. Se dovesse accadere mi opporrò con tutte le energie che mi restano.
Mi accingo a svolgere il mandato di senatrice ben conscia della mia totale inesperienza politica e confidando molto nella pazienza che tutti loro vorranno usare nei confronti di un’anziana nonna come sono io. Tenterò di dare un modesto contributo all’attività parlamentare traendo ispirazione da ciò che ho imparato.
No a leggi speciali contro le minoranze
Ho conosciuto la condizione di clandestina e di richiedente asilo, ho conosciuto il carcere, ho conosciuto il lavoro operaio essendo stata manodopera schiava minorile in una fabbrica satellite del campo di sterminio. Non avendo mai avuto appartenenze di partito, svolgerò la mia attività di senatrice senza legami di schieramento politico e rispondendo solo alla mia coscienza. Una sola obbedienza mi guiderà: la fedeltà ai vitali principi e ai programmi avanzatissimi, ancora in larga parte inattuati, dettati dalla Costituzione repubblicana.
Con questo spirito ritengo che la scelta più coerente con le motivazioni della mia nomina a senatrice a vita, sia quella di optare oggi per un voto di astensione sulla fiducia al governo. Valuterò volta per volta le proposte e le scelte del governo, senza alcun pregiudizio, e mi schiererò pensando all’interesse del popolo italiano e tenendo fede ai valori che mi hanno guidata tutta la vita.
*Discorso pronunciato il 5 giugno 2018 nell’aula del Senato