Pubblichiamo il discorso che Alastair Campbell, architetto del New Labour blairiano, ha pronunciato alla conferenza del think tank Progress.
Qui il discorso in lingua originale
Uno o due tra di voi, a giudicare dai social media, vuole da me tutte le risposte ai nostri problemi politici. Ammiro la vostra fiducia, e scusatemi se vi deluderò.
“Non stiamo andando tanto bene”
Sì, ho aiutato Tony (Blair) a vincere tre elezioni. Ma ho anche aiutato Gordon (Brown), poi Ed (Miliband), contro Cameron. Jeremy (Corbyn, attuale leader del Labour, ndr) non me l’ha chiesto. Stavo con il “remain” contro il “leave”, con Hillary contro Trump. Ho aiutato più felicemente Emmanuel Macron in Francia, un pochino, ma soltanto dopo aver lavorato con François Hollande fino a quando ha raggiunto il quattro per cento di consensi, la stessa percentuale che ottieni se chiedi in giro: pensi che Elvis sia ancora vivo?
Quindi non guardatemi come se avessi la saggezza universale. Ma da me otterrete sempre franchezza, questo sì, e allora lasciatemi essere franco: non stiamo andando tanto bene, vero? Di certo se vogliamo dire qualcosa sulle elezioni di giovedì (amministrative, ndr), “noi” del Labour siamo parecchio lontano da dove dovremmo essere per poter ambire a tornare a Downing Street. E francamente se non riusciamo a battere quel caos che è il Partito conservatore, non ci meritiamo nemmeno di essere nella competizione.
Dico “noi” e intendo noi progressisti: guidati dalla giustizia e dalla libertà; dal desiderio di cambiare le società per il meglio; dalla volontà di generare ricchezza e di distribuirla in modo più equo; dalla consapevolezza che quello che otterrai nella vita non dipende da dove sei partito.
Siamo socialisti democratici. Noi – correggetemi se sbaglio, ma sappiate che rischiamo di litigare –siamo largamente pro europei. Per lo più siamo contro la Brexit, e contro ogni partito progressista che aiuta la “hard Brexit” a realizzarsi.
Siamo contro i populismi e i nazionalismi, contro l’autoritarismo populista nazionalistico à la Putin che Trump cerca di emulare. Siamo a favore della scienza nel dibattito sul cambiamento climatico. A favore della ragione e dei fatti in ogni discussione.
Sociale media e populismo
Eravamo molto a favore dei social media quando partirono. Ora siamo un po’ meno sicuri, e ci chiediamo se i populisti e gli autoritari hanno saputo utilizzarli meglio dei progressisti, se le elezioni sono state vinte o perse a causa di ingerenze straniere, fake news, bugie su scala industriale. Ci preoccupiamo un po’ del fatto che tutto, nella nostra vita, è algoritmo. E ci chiediamo se Mark Zuckerberg è un po’ meno una forza del bene del mondo della connettività e un po’ più un oligarca smanettone dei nuovi media che cerca soldi e potere ed evita di assumersi responsabilità. E cosa dire dell’ipotesi di fondi illegali che hanno falsato l’esito del referendum, le violazioni di dati, Cambridge Analytica? Ci dobbiamo preoccupare del fatto che non soltanto abbiamo perso contro bugiardi e ciarlatani come (Boris) Johnson, ma anche contro i ladri.
La crisi della fiducia
E’ piuttosto pesante essere sempre associati al termine “spin”. Devo ammettere che sono un dilettante in confronto ai tweet di Trump, alla macchina di propaganda di Putin, al Partito Ukip di Aaron Bank, e al grande autobus rosso di Boris Johnson, per non parlare di quanto Momentum insiste sul ruolo eroico che riveste nel portare Corbyn alla vittoria.
Si dice sempre che la crisi della politica moderna riguarda la fiducia. Ma fermatevi un attimo e pensate a Trump, Putin, alla Brexit nell’ambito della definizione del dizionario di “fiducia”: “La ferma consapevolezza nell’affidabilità, verità, abilità di qualcuno o qualcosa”.
Prendete lo slogan “350 milioni di sterline per settimana in più a disposizione del Sistema sanitario nazionale”. Una bugia secca. Ma purtroppo ha funzionato per loro. I bugiardi hanno vinto. Il bugiardo in chief invece che finire in disgrazia è andato al ministero degli Esteri. Negli Stati Uniti, il bugiardo in chief è anche Commander in chief. Da dove partire? Trump ha detto e fatto talmente tante cose che qualsiasi altro candidato sarebbe sicuramente stato distrutto. C’è un libro sulla Russia che si intitola “Nothing is true, everything is possible” scritto da Peter Pomeramtsev. E’ così che Putin ha consolidato il suo potere. E’ più facile in una democrazia fasulla dove controlli Parlamento e media e puoi far credere a tutti che il Regno Unito si è organizzato da solo un attacco chimico in Siria o a Salisbury. Ma Trump gioca allo stesso gioco. I giornalisti critici non sono giornalisti, sono bugiardi. I funzionari del governo che parlano in modo franco sono melma traditrice. Non credete a niente se non ai tweet di Trump.
E tutto diventa normale. Trump, che non avrebbe mai dovuto conquistare la nomina repubblicana, e l’ha conquistata. Che non avrebbe mai dovuto arrivare alla Casa Bianca, e ci è arrivato. Che non avrebbe mai dovuto mentire una volta presidente come aveva fatto in campagna elettorale e che se l’avesse fatto sarebbe andato incontro a guai seri … è ancora lì, giorno dopo giorno dopo giorno normale.
La rabbia e la paura
“Love trumps hate” dice lo slogan. Ma è vero? Gli odiatori hanno vinto. Perché, sembra, le sensazioni battono la ragione. Le bugie battono la logica. I messaggi semplici battono le realtà complesse.
La porta è aperta a un modello elettorale basato sulla rabbia e sulla paura. Rabbia contro la globalizzazione che aiuta alcuni e non altri. Rabbia contro le élite. E sono imprenditori, milionari, ereditieri come Trump, Old Etonian come Johnson, trader della City come Farage, figlie di dinastie come Marine Le Pen a far esplodere questa rabbia. Sarebbe incredibile se non stesse accadendo davvero.
Cruciale per questa rabbia è stata la crisi finanziaria globale. La sensazione che le persone che hanno causato il crollo se la sono cavata e quelle che invece l’hanno subita hanno dovuto pagarne il prezzo. La prima generazione di genitori che teme di non riuscire a garantire ai propri figli una vita migliore.
Tutto è cambiato
La brutta notizia è che tutto è cambiato in modo molto veloce. Ma questa è anche la buona notizia. Non che le cose possano ritornare a essere come erano prima. Il passato, soprattutto il passato immaginario dei nostalgici, non è ripetibile. Ecco perché oggi molti sostenitori della Brexit iniziano a essere miseramente delusi. No, la buona notizia è che il cambiamento verso qualcosa di differente può arrivare in fretta, se ci si lavora su.
Certamente ci può essere un cambiamento che porta un’accelerazione nella direzione sbagliata. Potrebbe anche essere che stiamo entrando in un periodo buio della storia. Ci sono molte similitudini con gli anni Trenta. I postumi di una crisi. Il rifiuto dell’opinione degli esperti a favore di sensazioni e pregiudizi. L’ascesa del nazionalismo e del nativismo. L’ascesa dell’antisemitismo. L’ascesa di leader autoritari, come Xi, Erdogan, Orban, Duterte e Putin, che collezionano utili idioti a destra e a sinistra. Le democrazie che cominciano a dubitare della democrazia stessa, troppo lenta, stanca, inefficace. E noi che siamo dalla parte dei progressisti dobbiamo fare un duro lavoro di ricerca d’identità per capire come nel Regno Unito sia il nostro partito, un partito di sinistra e non di destra, a essere associato con l’antisemitismo.
Chi siamo noi?
E allora cerchiamo di intenderci, su questo “noi”.
Progressisti vs anti progressisti dentro al partito. Stiamo vincendo o perdendo? Be’ sappiamo chi è il leader, chi ha i posti di comando, i numeri – e il Momentum – in molti consessi locali.
Labour vs Tory. Con un governo così incompetente, così diviso, guidato in modo così debole, così disumano, in crisi evidente, non riesco a pensare a nessuno nel partito laburista che sia contento quando guarda allo stato della nostra opinione pubblica.
Battaglia di idee. L’ultima elezione è sembrata una battaglia tra due visioni concorrenziali del passato. Gli anni Settanta vs gli anni Ciquanta, con poco a che fare con le enormi sfide che dobbiamo affrontare nel nostro paese e nel mondo.
Brexit. Vado su e giù. Vado ai comizi come ho fatto di recente, chiacchiero con i Millennials, o assorbo le esortazioni dei cittadini a continuare ad andare avanti per fermare la Brexit e mi sento entusiasta e convinto che possiamo cambiare le cose. Poi guardo e ascolto le notizie o ascolto la maggior parte dei parlamentari e vado giù di nuovo, riflettendo su questa straordinaria situazione: la maggior parte dei parlamentari continuano a facilitare la Brexit mentre ripetono a loro stessi che sarà un disastro; il governo continua a perseguire una politica e al contempo ammette che con questa politica il paese starà peggio; il Labour, con il leader più a sinistra di sempre, si rifiuta di opporsi a una strategia guidata dall’estrema destra e che farà i danni più grandi ai più deboli. Non mi piace utilizzare il linguaggio della salute mentale quando parlo di politica, ma se questa non è follia politica non so cos’altro possa esserlo.
Follia Brexit
Va bene, la politica è difficile. 17 milioni di persone hanno votato per questo. E il regno Unito non è mai stato in una situazione in cui c’è stato un enorme referendum nazionale a favore di qualcosa che i parlamentari per lo più considerano una cattiva idea. Non possiamo semplicemente aspettare che il risultato del referendum sparisca o che lo facciano i fattori che lo hanno determinato. Ma penso che il dibattito sul cambiamento di corso possa essere vinto e che sia la base di un aumento, non di una diminuzione, del sostegno al Labour. La gente vuole leadership, vuole una spiegazione di quel che sta accadendo nel mondo. Vuole sapere che si stanno prendendo le decisioni giuste per il lungo periodo. Per questo sostengo in modo così forte quei parlamentari e peers di entrambi gli schieramenti che sono pronti a combattere duramente per quello in cui credono, correndo il rischio di essere chiamati traditori o sabotatori. Ed ecco perché condanno il fatto che con Jeremy Corbyn, un uomo così orgoglioso del suo passato da ribelle, molti non trattano nemmeno la Brexit nel suo complesso, ma riducendo ogni singola questione a un tentativo di sminuire Corbyn.
Dobbiamo davvero fidarci degli estremisti della Brexit? Quando sono state dette un sacco di bugie, di promesse violate? Quando sappiamo quanto alto sarà il prezzo, il danno per la nostra economia, per il nostro ruolo nel mondo, per la nostra generazione di giovani che chiedono in modo così deciso un cambiamento di corso? Quale paese ha mai costruito il proprio successo su un governo contro gli interessi dei più giovani?
Non dobbiamo arrenderci al fatalismo
Dobbiamo combattere. Non arrenderci al fatalismo perché no, non credo che questo governo possa ottenere un “good deal”, visto che quando si occupa delle cose specifiche si rifugia in generalizzazioni insipide e slogan speranzosi. E non credo che questo Parlamento possa fare la cosa giusta per il nostro paese. Per questo sostengo la campagna “People’s Vote” per dare ai cittadini l’ultima parola sull’accordo. Per questo sostengo la campagna che viene lanciata oggi per ottenere un voto vincolante alla conferenza del Labour (www.laboursay.eu). Per questo vi chiedo di abbonarvi al New European, visto che so che se le nostre vendite crescono al ritmo attuale e quelle del Daily Mail diminuiscono al ritmo attuale, sarò ancora vivo quando li supereremo!
E’ di nuovo tempo di prendere il dizionario. “Opporsi: non essere d’accordo con e cercare di prevenire, specialmente discutendo”. Non sarebbe meraviglioso se l’attuale leader dell’opposizione prendesse questa definizione come guida, non essere d’accordo con e cercare di prevenire, specialmente discutendo, una Brexit dura e rovinosa? Dopotutto ha sempre adottato un approccio d’opposizione disciplinato, non essendo d’accordo con e cercando di prevenire, specialmente discutendo, nuovi leader del Labour, e politiche del partito. E quando la grande maggioranza dei membri del Labour è fortemente contraria a una “hard Brexit”, quando le aree laburiste stanno per essere distrutte da una “hard Brexit”, un’opposizione ferma, assertiva coerente dovrebbe essere un obiettivo chiaro per il leader.
La May sulla Brexit
Sul terreno dell’opposizione, entrambi i grandi partiti hanno messo in campo alcuni test chiari sulla Brexit.
Ecco quelli della May.
• avere gli stessi vantaggi stando fuori dal mercato unico e della unione doganale. Non succede.
• Nessun confine in Irlanda. La questione è stata parcheggiata: senza soluzione.
• Un accordo di libero commercio negoziato entro il marzo del 2019. non succede.
• Nessun pagamento per accedere al mercato europeo. 40 miliardi di sterline, e aumentano.
• La fine delle regole e dei regolamenti europei. Non succede. Prendiamo le regole, non le facciamo.
• La continuazione degli accordi di commercio europei e nuovi accordi pronti a entrare in vigore il giorno in cui usciamo dall’Ue. Non succede. E’ una fantasia del ministro Fox.
Il Labour sulla Brexit
Ecco quelli del Labour.
• riusciamo a garantire una relazione collaborativa e forte con l’Ue nel futuro? (Sarà sicuramente più debole e meno collaborativa di quel che c’è ora)
• riusciamo a fornire gli stessi vantaggi del mercato unico e dell’unione doganale? no.
• Riusciamo a garantire una gestione equa dei flussi migratori nell’interesse dell’economia e delle comunità? Dopo lo scandalo Windrush, possiamo fidarci di come saranno gestiti i diritti dei migranti europei qui da noi?
• Riusciamo a difendere i diritti e le protezioni evitando una discesa verso il basso? La discesa verso il basso è di fatto quel che vogliono i Tory.
• Riusciamo a proteggere la nostra sicurezza nazionale e limitare i crimini? No, secondo quanto mi dicono tutti quelli che sento e lavorano in questo campo.
Se gli obiettivi di entrambe le parti non saranno raggiunti, perché stanno entrambe dicendo che la Brexit ci sarà in ogni caso?
Il Labour non può sostenere la Brexit
Se questi test hanno un significato, il Labour non può sostenere la Brexit della May, neppure riguardo a quel che già è stato concordato. E non può farlo nemmeno lei! Se lo fa, allora i Tory saranno visti come gli architetti della Brexit e il Labour come il loro muratore, e la storia sa essere molto dura quando la casa viene giù.
La scommessa sulla Brexit che secondo la leadership del Labour porterà il partito alla vittoria può anche essere il fattore decisivo della sconfitta: non può essere proprio questa la ragione per cui molti consigli che il Labour pensava di vincere alle elezioni locali di giovedì non sono stati vinti?
La leadership del Labour ha preso il nostro slogan “many not the few”, anche se nel denigrare il New Labour loro dicono che si tratta di una diversa versione di “many not the few”. Ma fatemi dire un altro citazione blairiana bastardizzata: duri sulla Brexit, duri sulle cause della Brexit. Se la Brexit fa male al Regno, fai il duro, combattila. Ma diventa duro anche sulle ragioni che l’hanno determinata non ripetendo idee del passato ma formando idee per il futuro, una strategia industriale vera, che possa affrontare la diseguaglianza economica, regionale, l’assenza di affitti abbordabili. Per le comunità che si sentono lasciate indietro, riconosci le paure del cambiamento e anche le preoccupazioni per l’immigrazione, ma non saccheggiando la retorica e le idee della destra.
Idee sul Labour Party
Chi dice che la diseguaglianza è una questione dirimente ha ragione. Ma il pubblico deve essere convinto sulle soluzioni possibili se vogliamo che sostengano le nostre politiche.
Vi ho detto che sarei stato franco. E francamente trovo la vita e la politica molto difficili oggi. Sono stato sempre fortunato, dalla parte dei vincitori per buona parte della mia vita in politica. Oggi, che si parli di Brexit, di Labour vs Tory, della direzione del Labour, della diffusione del populismo, non mi sento più così fortunato.
Sono anche una persona molto tribale. A parte Putin e Assad che guidano un consorzio che compra il mio Burnley, con Johnson come presidente e Rees-Mogg come allenatore, nulla può cambiare il mio tribalismo nel calcio.
Per tutta la mia vita sono stato tribalmente laburista. Ma il mio tribalismo è oggi spinto al limite – dal ritorno della cattiveria nelle politiche locali; dalla mia repulsione al fatto che l’antisemitismo è stato lasciato proliferare; dalla sensazione che alcuni nella leadership e tra i sostenitori si divertono di più a lottare contro altri laburisti piuttosto che contro i conservatori; dal vedere persone ad alto livello nel partito la cui autoindulgenza fece già molti danni al partito quando c’era Kinnock; dal vedere quanto sono state trattate male persone che hanno lavorato molto per il partito; dalla povertà del dibattito e dalla scarsità di nuove idee; dalle posizioni in politica estera che sono un mix di ingenuità e di pericolosità, perché presentando la visione della sinistra radicale come se fosse quella laburista – è quella che sostiene che l’occidente è sbagliato e chi si oppone all’occidente ha ragion e se per caso fanno qualcosa di male è perché è stato l’occidente a provocarli, cos’altro ci aspettiamo? – ci ritroviamo con una leadership che vuole disperatamente dubitare del fatto che i russi sono responsabili dell’attacco a Salisbury o che Assad gasa il suo stesso popolo. E non sottostimate il danno che tutto ciò ha fatto alle elezioni amministrative.
E’ la stessa politica che dà spazio all’antisemitismo, perché Israele è visto come un oppressore e quindi gli ebrei non possono essere mai delle vittime. Il punto non è soltanto che questa visione è sbagliata e toglie a Putin e ad Assad ogni responsabilità. Ma anche che il progetto di Corbyn è rivenduto come un ritorno al passato, alle origini del Labour, quando è il contrario, è un allontanamento della tradizione in politica estera del laburismo inaugurata da Attlee. Ecco perché quelli come me che hanno passato decenni nel partito ora si sentono così poco a loro agio. Come ha detto mia moglie Fiona l’altro giorno, riflettendo sull’antisemitismo: “Non avrei mai pensato che mi sarei vergognata di essere laburista”.
Trovo difficile immaginare di poter mai votare qualcosa che non sia Labour. Trovo pazzesco anche solo dirla questa cosa. Il fatto che invece lo dica è già un test per se stesso. Ma non ci rendono la vita facile vero?
Le questioni aperte
Abbiamo parlato dei test sulla Brexit. Ora ci sono i test che dovrebbero secondo me essere applicati al paese se vogliamo fare un cambiamento. Non voglio fare il solito blairiano che dice che cosa vuole cambiare, anche se lo sono, ma soltanto una valutazione lucida delle questioni che penso che il Labour debba affrontare. Dunque. La settimana scorsa ero a un incontro nel nord, e ho chiesto di alzare la mano a chi pensava che la May stesse facendo un buon lavoro. Nessuna mano alzata. Poi ho chiesto di alzare la mano a chi pensava che Corbyn sarà il prossimo premier. Una mano alzata.
Ecco allora queste sono le domande che noi dobbiamo porci.
Posso immaginarmi Corbyn come primo ministro in questi tempi difficili e pericolosi, capace di sostenere le pressioni, la dose di lavoro e soprattutto le decisioni dure e inevitabili che devono essere prese ogni giorno, ogni ora?
Riesco a vedere in Parlamento una forza profonda, un gruppo capace di formare un governo forte?
Sono assolutamente concentrati a ottenere il potere per i cittadini di questo paese o più preoccupati del potere nel partito?
Hanno una comprensione del mondo, delle sue sfide, delle politiche pratiche di cui c’è bisogno per affrontarle? Un programma per ampliare e rafforzare i servizi pubblici invece che promettere pià soldi senza che nulla cambi per il meglio?
Stanno costruendo idee per un futuro nuovo e migliore, compresa la dimensione etica dell’avanzamento tecnologico e dell’intelligence artificiale, o stanno proponendo idee del passato?
Sono fiducioso che prenderanno le decisioni giuste, che saranno guidati dagli istinti migliori, nelle crisi di politica estera, stando dalla parte dei valori umani universali anche quando questo significa intervenire per farlo?
Hanno fatto la cosa giusta per servire il paese sulla Brexit? O, almeno, abbastanza per fermare le cose sbagliate che sono state fatte?
La leadership del partito vuole essere inclusiva e costruire una nuova base di consenso necessaria per andare al potere, in grado di attirare i conservatori delusi così come i liberali, e i verdi mantenendo il sostegno del popolo laburista?
Vogliono il coinvolgimento delle persone che hanno sostenuto i governi Blair-Brown o vogliono stare con i conservatori e i media di destra per abbatterli?
Sono convinto che vedono ogni tipo di antisemitismo nel partito come una cosa veramente brutta e stanno facendo quel che è necessario per cacciarlo via con il vigore e l’urgenza che questo sviluppo disgustoso merita?
So che queste mie domande spingeranno il fan club “Oh Jeremy Corbyn” ad andarsene via, dicendo che le divisioni sono causate da noi vecchi che vogliamo danneggiare il partito, e che soltanto gli dessimo un pochino di sostegno, il paese si accorgerebbe di quanto sono magnifiche le sue politiche e tutto andrebbe alla grande, e ps E la guerra in Iraq?
Ma queste domande sono vere perché ci vengono poste e le risposte sono spesso negative da parte di quelle stesse persone di cui abbiamo bisogno per vincere. I cattivi risultati non hanno nulla a che fare con le aspettative, questo è – scusate se oso – mero spin, e peraltro uno spin nemmeno troppo efficace. I cattivi risultati riguardano le opinioni delle persone e dobbiamo trarre lezioni corrette anche da questo ultimo voto: siamo un paese diviso, e nessuno dei due grandi partiti è considerato capace di curare la ferita. Il governo non è né amato né rispettato, ma il Labour non è visto come un’alternativa praticabile. Non voglio sminuire la leadership del partito, ma vorrei chiedere a tutto il partito, da Corbyn in giù, di affrontare tutte le sfide che abbiamo davanti e di capire che non ne usciremo meglio se siamo guidati solo dalla lealtà cieca, ci servono piuttosto analisi lucide, e politiche realistiche e credibili.
Alcuni dubbi sul corso del Labour
Non ho alcun dubbio sulle mie convinzioni sul socialismo democratico. Non ho alcun dubbio che l’azione collettiva sia lo strumento migliore per garantire la sicurezza individuale, la libertà e la prosperità. Non ho alcun dubbio che ci sono laburisti meravigliosi ovunque, giovani e anziani, che servono le loro comunità. Non alcun dubbio sui principi e i propositi del partito e il suo impegno nella democrazia parlamentare. I miei dubbi riguardano il corso che viene seguito ora e, visto che la questione è enorme e determinerà il futuro dei nostri figli, l’approccio preso sulla Brexit.
L’unico momento in cui mi sento ottimista in questi giorni è quando vado a vedere il Burnley giocare e quando vado nelle scuole e nei licei, quando sto con i miei figli e con i loro amici. Sento che capiscono che il nostro paese sta andando in una direzione pericolosa e mi danno la sensazione di avere l’energia e la passione per cambiare le cose.
Many not the few. L’impegno delle nuove generazioni
Quasi ogni giorno qualcuno mi ferma e mi dice: quando ci sarà un nuovo partito? Non penso che questa sia la risposta, non soltanto perché con un terzo partito si rischia di dare la maggioranza ai conservatori, ma anche perché in questo modo lasceremmo il Labour per sempre a persone che, se non accettano di rispondere alle domande che poniamo, non arriverà mai al potere.
Noi, la mia generazione, dobbiamo fare tutto il possibile per fermare la follia della Brexit e chiedere al Labour di fare lo stesso. Ma voi, la nuova generazione, di persone e soprattutto di idee, voi che siete naturalmente inclusivi e progressisti, siete quelli di cui abbiamo bisogno oggi. “Noi” Labour. “Noi” Inghilterra.
Non accontentiamoci di piccoli vantaggi su un governo diviso, vago, fermo, senza leader. Fermiamo la risposta debole contro l’antisemitismo e trattiamo questa questione come il male che sappiamo essere. Denunciamo i rischi, i costi, le bugie, gli imbrogli della Brexit, alla luce del sole, con grinta. E ammettiamo che le sfide che abbiamo davanti non hanno avuto risposte buone, e impegniamoci con urgenza ed energia.
“Many not the few” era soltanto un terzo del mantra del New Labour che questa settimana, 21 anni fa, ci portò alla vittoria del primo dei tre mandati, e gli altri due sono altrettanto rilevanti. Leadership e non vaghezza. E soprattutto, il futuro e non il passato. Combattiamo per un Labour che può darci questo futuro, perché ne abbiamo bisogno, ora più che mai. Grazie.