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Martina, la riconciliazione necessaria

Andrea Romano venerdì 18 Gennaio 2019
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di Andrea Romano

 

La riconciliazione necessaria, oltre il bivio tra nostalgia e rancore: perché Martina è il segretario che serve al PD

Il Partito Democratico ha bisogno di riconciliarsi dapprima con se stesso e con la propria storia per poi riconciliarsi con l’Italia. Perché l’elettorato non tornerà ad essere attratto da un partito che dopo aver governato a lungo annunciasse agli italiani di aver sbagliato tutto, mostrandosi inaffidabile e ondivago sulla visione del paese e delle soluzioni necessarie. E perché il rischio di una frattura della più grande forza di opposizione al sovranismo gialloverde va evitato in ogni modo, a partire da una lettura non traumatica di quello che siamo stati e di quello che vogliamo essere in futuro.

Riconciliarsi con se stessi ed evitare letture traumatiche significa rifugiarsi nella nostalgia di fronte alla sconfitta e mostrarsi incapaci di qualunque analisi critica dei propri errori? Ovviamente no, perché il vincolo di verità che dobbiamo all’Italia (e che ci porta a denunciare i danni concreti e quotidiani che la demagogia grilloleghista sta portando alla nostra economia e alle nostre istituzioni) è lo stesso vincolo che dobbiamo a noi stessi: verso le insufficienze della nostra azione di governo (un esempio: il Reddito d’Inclusione avrebbe dovuto essere una delle primissime iniziative dei governi PD della scorsa legislatura) così come verso la nostra incapacità di innovare e rilanciare l’organizzazione del partito negli anni di governo (proprio quando sarebbe stato fondamentale affiancare al lavoro di riforme preziosissime per il paese un’infrastruttura politica capace di ascoltare e dialogare meglio di quanto non siamo riusciti a fare).

Ma la consapevolezza dei nostri limiti non può essere confusa con la richiesta di abiurare quanto abbiamo realizzato per l’Italia: non tanto per ragioni di orgoglio, ma perché un partito che si candida a governare l’Italia rimediando ai danni gialloverdi non può fingere di non averla governata in direzione esattamente contraria a Lega e Cinque Stelle.

La riconciliazione del PD con se stesso è dunque indispensabile a rendere il nostro partito competitivo per le prossime sfide elettorali. Soprattutto se riusciremo tutti insieme e finalmente ad archiviare la ridicola personalizzazione anti-renziana della nostra esperienza di governo. Matteo Renzi è stato e rimane uno straordinario motore di leadership carismatica. Ed è fuori discussione che grazie a questo suo tratto personale gran parte delle riforme realizzate dal PD negli anni scorsi siano potute passare dalla “teoria della rivoluzione” alla “pratica della rivoluzione”, per dirla con qualche vecchio marxista. Ma è altrettanto chiaro che quelle riforme nascevano da un sedimento antico, che sui grandi temi del lavoro e del welfare state aveva visto la sinistra riformista italiana incrociare per decenni i temi del pensiero liberale. Una semina lunga, combattuta e complicata che ha trovato in Renzi (e nel PD della segreteria Renzi) lo strumento politico capace di produrre risultati. Confondere quei risultati con la personalità di Renzi è riduttivo prima di tutto per i critici di quei risultati, che hanno anch’essi dietro di loro una semina politica e intellettuale solida e non priva di argomenti.

Per questo la candidatura di Maurizio Martina alla guida del PD è quella che serve in questa fase storica. Perché nella mozione Martina si trovano le ragioni politiche e culturali del nostro riformismo e della nostra concreta azione riformista senza chiedere agli iscritti del nostro partito di partecipare ad un referendum su Matteo Renzi, come fanno gran parte degli altri candidati alla segreteria. Perché nella mozione Martina si argomenta una riconciliazione del PD con se stesso che appare urgente e indispensabile, senza minacciare traumi e “contrordini compagni” che rischierebbero di avere ricadute pesanti per un organismo politico di salute già cagionevole. Perché la mozione Martina supera finalmente quel bivio tra nostalgia e rancore del quale talvolta siamo apparsi tutti prigionieri, mentre l’Italia maltrattata da Lega e Cinque Stelle e bisognosa di un’alternativa seria e credibile sta tornando già oggi a dare al PD segnali di fiducia.

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