di Ornello Stortini
Vietato semplificare.
Lo so, potrò sembrare cavilloso, ma a me piace chiamare le cose con il loro nome. Considero cioè sciatto usare l’affermazione semplicistica, se non prone alla vulgata tendenziosa, di definire l’iniziativa di Renzi una “scissione”.
Renzi, un “corpo estraneo”
Perché in realtà, e se la vogliamo inquadrare nel giusto verso, l’addio di Renzi al PD è la logica conseguenza di un lavorio ostile della “Ditta” durato anni che ha avuto come obiettivo, fin dal 2012 compreso, cioè le prime primarie perse a cui partecipò Renzi, quello di farlo sentire “un corpo estraneo” e che, come tale, non era gradito nel PD.
E badate, non solo e non tanto per le posizioni fortemente riformiste di cui era portatore: a quelle la “Ditta” era abituata da sempre a rispondere con il relegare all’isolamento le aspirazioni riformiste interne (chi ricorda il 4% della “Mozione Morando” e del modo in cui veniva trattata nei congressi di sezione? E chi ricorda la fine che fece Veltroni nonostante avesse ricevuto il passi dai “Caminetti”). No! Era la forza, la carica, la spinta innovatrice, il carisma e soprattutto il rifiuto di chiedere permesso, di cercare di ingraziarsi la Ditta ad aver segnato il suo destino di “estraneo”, di “straniero” e di conseguenza l’inizio delle ostilità.
Perché quel rifiuto era rivolto a coloro che si sono sempre autoconsiderati come i depositari, i sacerdoti direi a cui era affidato il compito di preservare il fuoco sacro della tradizione attraverso cui misurare la compatibilità dei candidati con la Ditta.
Quindi io parlerei di presa d’atto della impossibilità di essere accettato e del sostanziale “accompagnamento all’uscita” come avviene in tutti gli organismi nei confronti di un corpo estraneo.
Le critiche a Renzi sono discutibili
Inoltre vorrei sostenere che le critiche su cui molti insistono per affermare che Matteo Renzi ha fatto “un grave errore politico” non sono suffragate dai fatti.
Le metto in fila così come hanno fatto molti critici dell’iniziativa renziana.
Non sono d’accordo infatti con:
1- Che il PD è ancora un partito contendibile, proprio come Renzi ha dimostrato in passato vincendo le primarie per ben due volte con il 70% e quindi si può sempre ricominciare a battersi per riprenderne la leadership.
2- Uscire dal PD indebolisce ulteriormente la sua vocazione maggioritaria e spinge verso una scelta definitiva del sistema proporzionale.
3- Che così si indebolisce la componente riformista, già in difficoltà, che dovrà vigilare per impedire una deriva che porti il PD a tornare ad essere un tradizionale partito di sinistra.
4- Che così si torna a prima del PD: centro-sinistra col trattino (due partiti che coltivano ognuno il proprio orticello e poi si uniscono in coalizione o quello che sarà).
5- Che non si può abbandonare un progetto che, pur tra mille difficoltà, ha prodotto il miglior governo degli ultimi 30 anni, realizzando un numero enorme di riforme su cui la sinistra tradizionale si era sempre riempita la bocca senza però riuscire a farne una.
6- Che quando si perde la leadership in un partito plurale e contendibile bisogna armarsi di pazienza e ricominciare da capo per tornare a riconquistarla.
Il Pd “era” un partito contendibile
Cerco di rispondere seguendo l’ordine:
1- Il PD “era” un partito contendibile, anzi sarebbe più giusto dire che la “contendibilità” era una delle colonne fondative del PD, perchè ribaltava la vecchia logica dei “caminetti” propri dei partiti novecenteschi.
Dico “era” perché, non so se a qualcuno sfugge o fa finta di non essere avvertito, è in corso un processo di revisione dello Statuto che punta proprio a ridurre la contendibilità facendo due operazioni che tra loro sono strettamente legate: basterà eliminare la attuale “sovrapposizione nella stessa persona” della carica di segretario del PD e di candidato premier per rendere inutili le “primarie aperte agli elettori” e tornare ad elezioni tra i soli iscritti.
Dice: ma questo è quello che vogliono gli agenti della restaurazione. Si tratterà di combattere per impedirlo! E come no!! Niente di più facile. Con la maggioranza schiacciante che hanno in Assemblea nazionale sarà proprio una “passeggiata”!! I “garanti del Fuoco Sacro” dopo la fatica fatta per massacrare Renzi ed espellerlo, non ci pensano proprio di doverla rifare di nuovo quella fatica!!
Il ritorno del sistema proporzionale
2- Non scherziamo. Vogliamo dare questa responsabilità a Renzi? Guardate che il proporzionale puro fa parte degli “Accordi di governo” fatti da Zingaretti coi 5 Stelle. Quindi indipendentemente da Renzi ci aspetta un periodo di proporzionale più puro di quello attuale.
Caso mai chi mette in discussione la vocazione maggioritaria, al di là di accordi contingenti, è chi pensa ancora a partiti identitari, nostalgici di vecchi paradigmi e sui quali è capace di fare, come abbiamo vissuto, vere e proprie “guerre sante” per espellere gli “eretici”. Loro sì che hanno avuto il coraggio di rischiare la distruzione del PD (vera scissione, massacro col fuoco amico del proprio leader, ecc.) pur di scacciare dal “tempio” l’intruso, ottenendo comunque il fallimento della riforma costituzionale, da tempo agognata e finalmente approvata, che avrebbe migliorato e modernizzato il Paese e avrebbe facilitato l’attuazione del sistema maggioritario.
I riformisti ridotti all’angolo
3- La componente riformista è stata già messa nell’angolo, anzi se non fosse stato per la combattività di Renzi l’avrebbero messa proprio in soffitta. Avrebbero già compiuto la loro restaurazione e il ritorno ai sacri testi.
E nonostante tutti i tentativi di mantenere almeno un minimo di base comune le risposte sono state evidenti e numerose, basterà citarne due per tutte: il responsabile per la segreteria delle riforme costituzionali è uno di quelli che votò NO e organizzò i comitati per il NO al referendum costituzionale; l’attuale nostro ministro per il Sud è notoriamente sempre stato contro il Jobs act. Non c’è molto da dire di più.
Ah no scusate, dimenticavo, c’è anche il diverso atteggiamento nei confronti dei 5 Stelle: la scelta sofferta e coraggiosa di Renzi di fare un accordo di governo con loro aveva e ha una ragione di carattere emergenziale, contingente per fermare una pericolosa deriva sovranista, populista e autoritaria di Salvini. E tale dovrebbe rimanere. Non prevedeva e non prevede cioè una alleanza organica futura tra gli attuali alleati di governo, cosa che invece è accarezzata e prevedibile da parte dell’attuale maggioranza del PD. Una possibilità cioè, favorita dalla collaborazione di governo, forse di incontro e fusione tra le rispettive forze. Il problema è che, con l’impianto politico culturale dei 5 Stelle e il ritorno a vecchi riflessi condizionati della sinistra storica, si rischia un mix di neoassistenzialismo, neostatalismo, neoprotezionismo, antiglobalismo, tutto a carico di una crescita del debito pubblico.
Non sarà un “partito di centro”
4- Chi ha detto che Renzi vuole fare un “partito di centro” (uso questo termine per farmi capire rispetto alle critiche che vengono fatte a tale progetto, o si potrebbe usare anche il termine “moderato”)? Io aspetterei “La Leopolda 10” per verificare progetto e programma. Non mi sembra proprio il tipo che pensa ad una cosa del genere se guardiamo alla sua esperienza di governo. Mi sembra ci sia stato poco di “centro moderato” per quello che questo termine ha significato in passato. Dobbiamo fare l’elenco? Non credo sia necessario.
Quindi per lui parlano i fatti e non le chiacchiere, fatti prodotti quando ha avuto la possibilità di avere gli strumenti per tradurre in pratica i programmi e i progetti pensati e offerti al “mercato politico”.
Forse se si vuole concedere un po’ di disponibilità si potrebbe ammettere che sta tentando di fare ciò che non si è riusciti a fare con l’esperimento del PD. Creare cioè uno spazio in cui più culture democratiche, senza l’ansia di contesa egemonica, siano disposte a mettere a disposizione le proprie esperienze, proposte, letture della società, visione del mondo e del futuro, senza rinchiudersi ognuna nel proprio recinto identitario, nella propria correntina ma contribuire tutti per avere uno strumento veloce, efficiente, efficace, unito, solidale, rispettoso del principio di maggioranza. Insomma quello che avremmo voluto che fosse il PD.
Il richiamo della foresta
5 e 6- Io penso che proprio tutto quello che si è scatenato contro l’esperienza dei Governi Renzi, e in parte Gentiloni, ci raccontano dell’impraticabilità del progetto PD così come l’avevamo pensato e fondato.
La realtà di quell’esperienza ci dice che fino a che ci si limita a non superare il perimetro tracciato dai depositari dell’ortodossia sinistrorsa d’antan, si può essere accettati con l’impegno però a farsi da parte quando i “sacerdoti” lo richiedono (dimissioni Veltroni) ma se qualcuno si permette di utilizzare seriamente la vittoria alle primarie come un lasciapassare per attuare davvero il programma su cui ha raccolto il consenso aprendo porte e finestre del tempio per fare entrare aria nuova, allora sono dolori. Tutte le belle parole come “partito plurale”, “mettere insieme tutte le culture democratiche del novecento per produrre una sintesi più corrispondente al mondo che è cambiato”, “partito senza correnti”, “vocazione maggioritaria”, “sinistra liberale”, ecc. vanno a farsi benedire. Apriti cielo.
Il richiamo della foresta, utilizzando lo strumento della battaglia per l’egemonia culturale, riprende il sopravvento. Il cinismo classico di quelle vecchie classi dirigenti può arrivare a qualsiasi livello persino a battersi contro il proprio stesso partito, i propri dirigenti seppure eletti democraticamente, le proprie stesse leggi proposte dal proprio Governo e approvate dalla propria maggioranza parlamentare.
Si arriva al massacro con quello che abbiamo chiamato “fuoco amico”, anche se di “amico” ha avuto molto poco. Quanto si deve subire prima di prendere atto che forse quel progetto non ha possibilità di attuarsi nel modo in cui abbiamo provato ad attuarlo fin qui?
In cerca di un contesto più disponibile
Infine, dopo queste schematiche riflessioni, non voglio nascondere un profondo dolore nel distaccarmi da una creatura che ho contribuito fortemente a far nascere e a costruire. Dolore e rabbia perché è prevalso un interesse particolare e settario contro l’interesse generale. E forse, guardando l’esperienza fatta e la fatica che è costata, vale la pena di valutare se quelle stesse energie sia più utile metterle al servizio di un contesto più disponibile ad accoglierle. Insomma, per dirla con Toninelli, la valutazione “costi e benefici” ci dice che è meglio uno spazio più disponibile e favorevole di uno più ostile e sfavorevole. Terminare con un sorriso fa bene allo spirito.