di Stefano Ceccanti
Tratto dal sito dell’Associazione di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo (www.dpce.it)
Maurice Duverger
(Angoulême 05/06/1917-Parigi 16/12/2014)
Nato ad Angoulême, un comune situato nella regione Poitou-Charentes, dopo alcune ambiguità iniziali verso i gruppi di destra (Parti Populaire français) tipiche dei giovani di formazione cattolica tra cui anche François Mitterrand, duramente critici della Terza Repubblica per i suoi aspetti laicisti, aveva convintamente aderito alla Resistenza sotto l’influenza del padre domenicano Maydieu, teorico del “laburismo cristiano”, che lo dissuase dall’impegnarsi politicamente nel partito democristiano Mrp e che, in parallelo all’attività accademica iniziata nell’Università di Bordeaux, lo dirottò sull’attività pubblicistica, presentandolo a Beuve-Méry, direttore di Le Monde. Dal 1946 comincia a lavorare sui sistemi elettorali e sui sistemi di partito (splendido il suo primo libro Les partis politiques del 1951) mettendo insieme l’attività accademica con quella giornalistica. Il suo metodo è stato da lui definito come “combinatorio”, ossia studiando le istituzioni combinando (senza confonderle) l’analisi giuridico costituzionale con quella del sistema dei partiti, rifiutando quindi la separazione tra un diritto costituzionale altrimenti confinato a formule vaghe e una scienza politica altrimenti limitata a fredde aggregazioni di dati. Insieme a Georges Vedel, altro grande costituzionalista, anima la riflessione contro le istituzioni impotenti della Quarta Repubblica all’interno del Club Jean Moulin, che raggruppava gli intellettuali della sinistra non comunista. Elaborano col volume L’Etat et le citoyen del 1961 un modello di elezione diretta del Primo ministro legato a un rapporto di fiducia con una Camera eletta col maggioritario secondo la regola del “simul stabunt simul cadent” tra premier e assemblea. All’inizio era stato critico con le istituzioni della Quinta, ma poi in occasione del referendum del 1962 che le perfeziona con l’elezione diretta, insieme al Club Jean Moulin appoggia il Sì, come ricostruito venti anni dopo ne La République des citoyens, e, più tardi, elabora anche la categoria di forma semi-presidenziale, analizzandone puntualmente le caratteristiche e le varianti, soprattutto in Echec au roi del 1978.
In connessione coi filoni cattolici personalisti eredi del filosofo Emmanuel Mounier è vicino al nuovo Partito Socialista sorto nel 1971 ed è uno dei consiglieri più ascoltati da Mitterrand. In Italia stabilisce rapporti soprattutto con Serio Galeotti, Augusto Barbera, Gianfranco Pasquino e poi con la Presidenza nazionale della Fuci. Aveva predetto nel tempo già nel 1980 nel suo Les orangers du Lac Balaton la caduta dell’Urss e delle democrazie popolari. Ciò non gli impedì, d’intesa con Mitterrand, nel 1989 di accettare l’invito del Pci di Occhetto ad accettare la candidatura per il Parlamento europeo, unico non italiano sino ad oggi eletto per rappresentare gli italiani. Partecipa attivamente in varie forme alla campagna per i referendum elettorali del 1991 e del 1993. Un anno prima dell’elezione aveva pubblicato un’analisi comparatistica delle forme di governo europee, La nostalgie de l’impuissance, di fatto aggiornando il volume del 1974 La Monarchie républicaine, ou comment les démocraties se donnent des rois, in cui mostrava tutte le somiglianze tra la Quarta Repubblica francese e l’Italia. Dal progetto del Club Jean Moulin trae puntuale ispirazione nel 1993 la nostra legge sui sindaci e nel 1999 la riforma sui presidenti di regione. Anche dopo la conclusione del mandato, in cui lavora fortemente per l’unione politica, per alcuni anni partecipa a convegni per il completamento costituzionale della riforma elettorale, tra cui quello del 1997 a Trieste organizzato da Lucio Pegoraro e Angelo Rinella.
Nel 1986 aveva toccato il massimo della fama in Francia coi Mélanges a lui dedicati Les regimes semi-presidentiels. Dopo alcuni anni di oblio nel suo Paese, da metà anni ’90, anche dovuti a una grave malattia, nel 2010 la Revue internazionale de politique comparée gli ha dedicato un numero monografico, in cui gli allievi Colliard e François riaffermano la fecondità del metodo combinatorio tra diritto costituzionale e scienza della politica (la Costituzione pone i vincoli, dentro di essi il sistema dei partiti così come è filtrato da quel meccanismo di freni e acceleratori che sono i sistemi elettorali determina le oscillazioni) e la capacità di elaborare concetti e categorie (come il semipresidenzialismo, la distinzione tra democrazie mediate e immediate) in grado di imprimersi oltre le cerchie ristrette degli specialisti.
E’ scomparso il 16 dicembre 2014, ma era gravemente ammalato da alcuni anni.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.