di Rosario Sapienza
Il 3 ottobre scorso è stato il decimo anniversario di uno dei più grandi disastri nella storia del recente fenomeno migratorio nel Mediterraneo, quella che a buon diritto è stata definita la strage di Lampedusa.
Ma va ricordato anche che il 18 ottobre dello stesso anno fu varata la missione italiana di salvataggio Mare Nostrum.
Le due cose non possono essere separate l’una dall’altra e non possono essere comprese l’una senza l’altra.
Certo l’impatto di quella strage fu grande nella coscienza europea.
La scrittrice francese Maylis de Kerangal, nel suo libro À ce stade de la nuit, ha descritto assai bene il misto di incredulità e disappunto con il quale, ascoltando di notte un notiziario, apprese di quell’evento, un naufragio a poche miglia dalla costa e dalla salvezza.
E così Lampedusa, legata nel suo immaginario (e di molti di noi) alla figura rocciosa e sofisticata del principe di Lampedusa come impersonato da Burt Lancaster nel film di Visconti, è divenuta, da quel momento in poi, il simbolo, l’icona quasi, della morte più assurda e irragionevole di tutte le morti, la morte degli innocenti a pochi passi dalla salvezza, dalla redenzione da tutte le sofferenze patite senza colpa.
In quei giorni così difficili e confusi, intervenendo sul giornale Popoli dei Gesuiti italiani scrissi parole forse eccessive di dolore e di compassione, ma che ancora oggi sottoscriverei
«Giustamente infatti, quanto accaduto recentemente a Lampedusa può esser definito una tragedia europea, anche, e soprattutto vorrei dire, perché l’Unione europea ne porta la responsabilità politica, se non direttamente giuridica, a motivo della sua velleitaria, confusa e ondivaga politica mediterranea».
Da quella tragedia così insensata si originarono subito tre vie di reazione, tre … risposte.
Una, che voglio citare per prima, fu la Carta di Lampedusa, un documento della società civile internazionale che inneggia alla libertà degli esseri umani, individui e popoli, di muoversi liberamente oltre le frontiere.
Una seconda fu il chiacchiericcio confuso e sterile delle istituzioni europee e della gran parte degli esponenti politici degli Stati membri dell’Unione.
Terza, ma non per ordine di importanza, l’iniziativa italiana Mare Nostrum. Una operazione interforze di pattugliamento delle acque del Mediterraneo costata, secondo i dati forniti dal governo, oltre 114 milioni di euro e che ha permesso in un anno di intercettare 100.250 persone, denunziando 728 scafisti nell’ambito di 558 interventi.
Un anno di incessante attività delle forze italiane (se si esclude la nave slovena Triglav) che è rimasta nell’immaginario collettivo come il tentativo (l’unico fin qui, ad opera di un solo Stato europeo) di offrire una risposta concreta alla crisi migratoria nel Mediterraneo.
E che ci consente ancor oggi di ricordare quel 2013 come l’inizio di una volontà di riscatto che, anche se confusamente e disordinatamente, ci deve guidare ancora nello sforzo di governare il fenomeno migratorio nel Mediterraneo.
Direttore di Autonomie e Libertà in Europa, contenitore di iniziative e ricerche sulla protezione dei diritti umani nei diversi territori europei. Professore ordinario di diritto internazionale nell’Università di Catania, ha dedicato particolare attenzione alle politiche di riequilibrio territoriale dell’Unione europea, collaborando con la SVIMEZ. E’ vicepresidente di Coesione & Diritto, associazione per la tutela dei diritti umani sul territorio. Autore del blog Lettere da Strasburgo sul magazine online www.aggiornamentisociali.it.