di Danilo Di Matteo
Dinanzi alla confusione, è nostro dovere provare a gettare un po’ di luce. Credo che tante apparenti contraddizioni presenti nei contrastanti racconti sulla prima Repubblica e, dunque, sulla seconda nascano dal fatto che, per lo più, essi si riferiscono agli anni Ottanta.
Quando da un lato giungevano alle estreme conseguenze consuetudini e pratiche ereditate dal passato, dall’altro esse erano talmente esasperate da sembrare irriconoscibili. Le correnti interne ai partiti avevano già allora smarrito la funzione originaria e finivano per ostacolare, anziché promuovere il dibattito interno. D’altro canto il vecchio centralismo del Pci non teneva più: si avvertiva l’esigenza di superarlo davvero, senza tuttavia sapere come, visto quel che accadeva in “casa d’altri”.
Una frase ci aiuta più di tutte nel nostro sforzo di comprensione. Una frase resa celebre dal grande Sandro Pertini: “meglio aver torto nel partito che aver ragione al di fuori di esso”. Un’idea che a molti, oggi, apparirebbe liberticida; una sorta di elogio della “tirannia dei partiti” e della “ragion di partito” o, per dirla con Alberto Ronchey, della “mistica della militanza”. Non era proprio il “perinde ac cadaver” di Giancarlo Pajetta (subire e obbedire passivamente “nello stesso modo di un cadavere”, come volevano i gesuiti d’altri tempi), ma sembrerebbe qualcosa di simile.
Non è così. Il senso della considerazione di Pertini era un altro. I liberi pensatori non sono mai mancati; tuttavia i partiti permettevano a ideali come la libertà e la democrazia di prendere corpo e di incidere sulla realtà. Si trattava di un paradosso, naturalmente; un paradosso volto a sottolineare l’impotenza, spesso, della testimonianza solitaria, a fronte delle possibilità di partecipazione e di libertà dischiuse dai partiti nel dopoguerra.
Del resto, il leader radicale Marco Pannella, oppositore tenace della partitocrazia, non amava la parola “testimonianza”. Infatti anch’egli, come Pertini e tante altre e altri, si proponeva di incidere sulla realtà. La forza delle idee, potremmo dire, rispetto all’imbelle testimonianza.
Ai nostri occhi disincantati, al tempo della seconda Repubblica, al contrario, “aver torto con il partito” appare una scelta conformista e ipocrita. E ciò in quanto con lo stesso vocabolo – partito – vengono indicate cose dissimili e lontane. Un motivo in più, oggi, per provare a rifondare la democrazia liberale e le forze che possono incarnarla.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).