di Paolo Pombeni
Il grande nodo della politica italiana è il rapporto con l’Unione Europea e in specifico la questione degli “aiuti” che da questa possono venire per superare la crisi economica indotta dal Covid-19.
La tesi prevalente da noi è che si devono trovare strumenti europei che finanzino la nostra ripresa, ma senza imporci controlli sulla gestione del nostro bilancio. La questione è dunque quella di superare l’intervento del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) che prevede l’impiego dei controlli.
Per capire bene la questione nei termini politici e non semplicemente economici bisogna ricostruire un quadro accurato. Non che si eviti di farlo, ma in genere si tende a mettere in luce quel che a ciascuno fa piacere, evitando di prendere in considerazione il complesso dei problemi.
Cominciamo dunque col dire che effettivamente, come è stato messo in luce, il MES è stato creato per affrontare quelle che pudicamente vengono chiamate “crisi asimmetriche”, cioè il caso di uno o pochi stati che si trovino in gravi difficoltà di bilancio mettendo in crisi l’intero sistema. Il non detto è che si suppone che normalmente queste situazioni dipendano da “colpe gravi” dei paesi sull’orlo del default. Oggi per un malinteso pietismo si evita di dire che la Grecia a suo tempo è finita in dissesto per politiche truffaldine e sconsiderate. Si può discutere se non sia eccessivo far pagare le colpe di una classe politica al suo popolo sino al punto da metterlo alle prese quasi con la soglia di povertà, ma che all’origine ci fosse quella finanza allegra è indubbio. Di qui la conclusione che si può aiutare un paese a risollevarsi, ma non certo lasciandolo in mano agli scialacquatori irresponsabili: è necessario che qualcuno competente e rigoroso prenda il timone.
Naturalmente quel precedente fa paura, perché in Italia non è che siano mancati quelli che hanno col loro comportamento irresponsabile causato la montagna di debito pubblico che ci troviamo sulle spalle. Per evitare il rischio di ricadere in quel precedente, si dice, a ragione, che però ora la situazione è differente. Non stiamo affrontando un rischio di recessione legato al deficit prodotto in passato, ma una difficoltà legata ad un fenomeno, la pandemia, di cui nessuno ha colpa. Ed è così vero che la crisi tocca tutti i paesi, per cui bisogna attivare strumenti diversi da quelli previsti dal MES. Su questo punto si pensa, sempre a ragione, di poter contare sul sostegno di quasi tutti gli stati che si trovano ad aver bisogno di sostegni per la “ripartenza” dopo la pandemia: infatti a nessuno fa piacere avere dei supervisori alla gestione dei loro bilanci (fra il resto in vari stati questo presupporrebbe l’apertura di conflitti costituzionali: il bilancio è uno dei cuori della sovranità che dovunque “appartiene al popolo” che al momento è e rimane solo quello “nazionale”).
Ecco dunque il suggerimento di usare per il finanziamento della ripresa uno strumento diverso dal MES. In pratica, visto che non si può contare sul “regalo” di soldi da parte dei ricchi (fra il resto pochi), si dovrebbero emettere titoli di debito da offrire sul mercato (pubblico della BCE e privato) con la garanzia europea (gli ormai famosi eurobond).
Peccato che la soluzione implichi di necessità che i “ricchi” garantiscano di fatto quel che si presta agli “indebitati”. Ciò implica condividere la convinzione, un tempo corrente, che se si allarga la platea di quelli che stanno bene in realtà ci guadagnano tutti, mentre se cresce la dimensione della povertà alla fine crolla il sistema produttivo. Come ha detto Romano Prodi, gli olandesi devono capire che ci deve essere qualcuno in grado di comprare i loro tulipani (il problema è che gli olandesi non vendono più tulipani, ma servizi finanziari e paradisi fiscali, che pensano non abbiano bisogno di una ampia platea di riferimento).
Lo si voglia ammettere o no, l’Italia costituisce il problema principale in questa situazione europea ingarbugliata. Per far quadrare il cerchio si propone un uso dei fondi del MES senza controlli particolarmente stringenti (in una battuta: senza la troika). Ci si chiede perché l’Italia si opponga, dal momento che continua a sostenere che chiede soldi solo per finanziare la crisi da coronavirus e non per sostenere il suo debito (che però quasi tutti pensano sia ora destinato ad impennarsi). Ed è qui che si arriva al nodo della questione.
Il rifiuto di accettare il meccanismo del MES, per quanto disarmato, non dipende solo dalle opposizioni aprioristiche di M5S e sovranisti vari, ma dal timore che hanno tutte le forze politiche di dover rendicontare davvero l’impiego di risorse che saranno per forza di cose rilevanti. La nostra politica ha, purtroppo, un vizio clientelare che sta nel suo DNA e ben pochi sono disponibili, al di là delle parole, ad accettare che ci sia un reale obbligo di destinazione dei fondi che si ricevono: ne risulterebbe quantomeno ridotto fortemente lo spazio per la costruzione di aree di consenso, elettorale e non.
Eppure le menti più aperte potrebbero capire che essere sottoposti a quelli che una volta si chiamavano “vincoli esterni” può essere un vantaggio per un sistema come il nostro afflitto da clientelismi, collateralismi e quant’altro: darebbero modo di scaricare su altri la responsabilità dei rifiuti che si dovrebbero opporre ai molti assaltatori della diligenza pubblica. E’ una risorsa di cui si avrà molto bisogno se si vuole davvero governare virtuosamente una ripresa dove nulla sarà semplice.
In più mostrare che non si temono le verifiche, ovviamente ragionevoli, rafforzerebbe la nostra credibilità internazionale che è qualcosa di avremo molto bisogno e da cui potremo trarre frutti notevoli.
È professore emerito dell’Università di Bologna. È stato professore ordinario di Storia dei sistemi politici europei e di Storia dell’ordine internazionale presso la Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna. Attualmente dirige il periodico on line Mente Politica (www.mentepolitica.it) ed è editorialista de Il Sole 24Ore. È membro del consiglio editoriale della casa editrice il Mulino e del comitato di direzione della rivista Il Mulino.