di Massimo Veltri
Dal punto di vista costituzionale il Parlamento è la sede in cui i rappresentanti del popolo legiferano. Propongono disegni di legge, li sottopongono al vaglio delle commissioni permanenti, e secondo la calendarizzazione prevista dai presidenti dei diversi gruppi politici hanno la possibilità di vedere approdare in Aula i loro provvedimenti.
Leggi che dovrebbero, di intesa con il Governo, normare aspetti della vita pubblica bisognosi di intervento, aggiustamenti, spesse volte vere e proprie messe a fuoco inedite. La percentuale delle proposte di legge che giungono all’attenzione di Camera e Senato di iniziativa parlamentare rispetto a quelle avanzate dall’esecutivo è storicamente molto bassa, risultando così che deputati e senatori il più delle volte intervengono soltanto con emendamenti e ordini del giorno, mozioni di indirizzo o al più di impegno per il governo.
Perché avvenga questo dipende in larga misura dalla difficoltà in se’ di elaborare un testo di legge – se pure gli uffici legislativi dei gruppi parlamentari sono di grande aiuto e disponibilità -, oltre che dal far si’ che un dettato normativo venga riconosciuto di interesse generale e con caratteri di necessità e utilità prevalenti rispetto ad altri.
Si evidenzia quindi come la qualità o il profilo della compagine parlamentare possa fare la differenza, soprattutto in concomitanza di tempi in cui il diminuito numero degli eletti da una parte, che lascia interamente sguarnite estese fasce di territori, evidenzia il doversi far carico di domande spesso storiche volte a ottenere una risposta, in alcuni casi a lungo attesa, e dall’altra misurarsi con la complessità e la novità della modernità necessita di comprendere tali complessità e modernità e saperle tradurre in articolati di legge e ovviamente portarli fino in fondo.
Si evidenzia così, inequivocabilmente, il ruolo e il lavoro parlamentare che comprende, non è bene trascurarlo, anche quello di indirizzo di cui si è accennato sopra (mozioni e ordini del giorno), e di sindacato ispettivo: interrogazioni e interpellanze. Non si negano a nessuno ne’ richiedono chi sa quale elaborazione se non quella, spesso demagogica, di tenere i rapporti con il territorio. Se tali tipi di ruolo e funzione possono avere significato e spessore quando si è all’opposizione e in ogni caso servono per evidenziare talvolta questioni realmente gravi altrimenti sottaciute, nel momento in cui si è forza di governo a prevalere sono i compiti che rimandano al rango legislativo.
Questo lungo preambolo, in concomitanza con le elezioni politiche, è per introdurre in termini ordinamentali un ragionamento che si pone due obiettivi. Il primo, proporre una discussione su come strutturare un rapporto fra eletto e cittadino; il secondo per evidenziare quale potrebbe essere il tessuto, la trama, del lavoro del parlamentare del sud, della Calabria, in tempi, per di più, in cui la catena partito-assemblee elettive praticamente è, da tempo, venuta meno e la linea, quella che definiva una volta l’identikit delle forze politiche, è sovente fornita dai gruppi parlamentari.
Cosa può un singolo o, pure, un drappello di parlamentari: in che maniera indurre i vertici dei raggruppamenti politici a promuovere provvedimenti per il sud, esercitare forme di padrinaggio, fare lobby?
Si legge sempre più spesso di nostalgia e rimpianto per la prima repubblica quando il potente di turno, e in Calabria ce n’era più di uno, dirigeva apparati, decideva destini, disponeva invio di fondi e assunzioni a pioggia. Di come i corpi dello stato – sindacati e partiti stessi – e i raggruppamenti attraverso i quali si articolava la società – la cosiddetta società civile fatta di professionisti, borghesia impiegatizia e professionale – si rapportavano con l’onorevole tizio e caio, non si fa menzione, in questi nostalgici rimpianti d’epoche d’oro, ne’ quindi di come risultassero compressi e devitalizzati nella loro già fragile presenza. La subalternità del mezzogiorno, i caratteri di dipendenza, la natura assistenziale, l’arcaicità del sud trovano in quella stagione una sintesi esemplare. Che fa il paio da una parte con una narrazione che si attarda e si compiace di se stessa di un sud e di una Calabria che si specchiano nella presunta purezza di una civiltà contadina e incontaminata, dall’altra in un conseguente rifiuto e rigetto di misurarsi con la sfida della modernità e della complessità.
Sono distanti gli anni dell’osso e della polpa, del dualismo agricoltura-industria, del confrontare città e campagna ma i temi se pure declinati in altri termini, se e quando si declinano e cioè si discute, sono sempre quelli, magari senza soffermarsi più di tanto sul fatto che rappresentare i problemi è un fatto, caricarsi della responsabilità di risolverli un’altra: ed è tutto lì il gioco della politica, del nostro futuro.
Si comprende forse meglio, a questo punto, il rimbalzo di parti piuttosto che la virtuosa combine, fra assemblee elettive e popolo, fra politica e società, fra diffusione di conoscenze e saperi e agire laddove si può e si deve.
E si intravedono con maggior nitidezza i contorni di fatti e iniziative che sembravano episodi casuali e invece erano interni e funzionali a una logica: val la pena recuperarli dalla polvere del tempo, potrebbero fornire qualche indicazione utile.
Si voleva che il parlamento si occupasse di sud, e non solo con un dibattito – il parlamento è in ogni caso la’ dove si parla, si discute, ci si confronta: è il luogo della democrazia – ma con un documento, un impegno, un’agenda del che fare.
E giunse, venticinque anni fa, questo momento: prima ancora che arrivasse il tempo del regionalismo differenziato, ma ancora dentro i giorni in cui il sud era visto il luogo dove i soldi si sperperavano e non si spendevano, dove i poteri rispondevano a logiche particolari, i ritardi forse erano diventati incolmabili.
Con un documento articolato e studiato offerto al governo elaborato da parlamentari meridionali fatto proprio dal governo che lo onorò fino allo spirare della legislatura.
Varrebbe la pena rispolverarlo, aggiornarlo, ristrutturarlo: riprendere la stagione dell’impegno, di un nuovo impegno, concertato e condiviso con la società del mezzogiorno.