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Migranti trattenuti a Lampedusa: la Corte europea dice no

Rosario Sapienza martedì 16 Maggio 2023
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di Rosario Sapienza

 

La Corte europea dei diritti umani e i respingimenti da Lampedusa

Tempo fa, più o meno una quindicina di anni fa, il Governo italiano parlava di “Modello Lampedusa”, definendo l’isola delle Pelagie un “luogo di sperimentazione” di un nuovo sistema integrato di accoglienza dei migranti, con la collaborazione, coordinata dal Ministero dell’Interno, di enti pubblici e privati. Nel tempo però, al di là delle buone intenzioni e dell’ambizione dei singoli progetti, qualcosa non deve essere andata per il verso giusto.

E la Corte europea dei diritti umani l’ha detto chiaramente il 30 marzo scorso decidendo sul ricorso J.A. e altri contro Italia (ricorso n. 21329/18). Ha detto che il trattenimento dei migranti nell’hotspot di Lampedusa è contrario alla Convenzione europea dei diritti umani.

E così l’Italia aggiunge un’altra condanna della propria politica migratoria da parte della Corte europea dopo altre due perle: la decisione del 23 febbraio 2012 in causa Hirsi Jamaa e altri contro Italia (ricorso n. 27765/09) e quella del 15 dicembre 2016 nel caso Khlaifia e altri contro Italia (ricorso n. 16483/12).

Ma vediamo meglio cosa è successo e cosa ha detto la Corte.

J.A. e altri suoi compagni arrivarono a Lampedusa, provenendo dalla Tunisia, nell’ottobre del 2017 e furono trattenuti nell’hotspot di contrada Imbriacola per dieci giorni, senza possibilità di comunicare con le autorità né di lasciare il centro, dove furono di fatto detenuti in condizioni che essi hanno definito disumane e degradanti. Furono poi espulsi, dopo un veloce contatto con un funzionario del consolato tunisino a Palermo, e rispediti in aereo a Tunisi. 

La Corte, seguendo i capi del ricorso, ha esaminato la situazione secondo diversi profili.

In primo luogo, esaminate le condizioni del trattenimento nel centro di Lampedusa ed effettuate tutte le verifiche del caso, ha concluso per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta i trattamenti disumani e degradanti.

Successivamente, la Corte ha affermato che le condizioni del trattenimento possano essere qualificate come in violazione dell’articolo 5 della Convenzione, che protegge la libertà personale degli individui contro ogni forma di detenzione arbitraria.

In terzo luogo, la Corte ha riconosciuto che il modo in cui è avvenuta l’espulsione è in contrasto con l’articolo 4 del Quarto Protocollo addizionale alla Convenzione che vieta le espulsioni collettive. Ciò perché secondo la Convenzione l’espulsione deve avvenire sulla base di un esame delle condizioni individuali e particolari della persona da espellersi.

La decisione è importante. E non solo perché l’Italia incassa una ulteriore condanna. Ma perché, come la Corte stessa ricorda, anche altri Stati membri hanno violato le disposizioni della Convenzione in materia. Ad esempio la Grecia, ma non solo. Anche il Belgio, ricorda la Corte.

La decisione è importante insomma perché la Corte afferma che politiche di contenimento e respingimento come quelle in atto adesso in Europa sono e potranno continuare ad essere occasioni di violazioni della Convenzione. È chiaro allora che bisogna cambiare sistema. Si potrebbe se si volesse.

In primo luogo, occorre dare la possibilità di ingressi legali, ad esempio con dei corridoi umanitari, come quelli organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Chiesa valdese che hanno portato in Italia tante persone in maniera sicura e legale.

Secondariamente, bisogna fare tutto il possibile per tenere distinti i diversi profili della problematica: quello della legittima tutela delle frontiere, quello della repressione del crimine di traffico di esseri umani, quello della tutela della vita in mare, quello delle risposte da dare a chi migra, quali che siano le ragioni per cui decide di abbandonare la sua terra di origine.

Lo si può fare, ma solamente adottando iniziative coraggiose a livello europeo. Occorre, diciamolo una volta per tutte, adeguare la normativa internazionale ed europea, soprattutto l’obsoleto sistema di Dublino che scarica sullo Stato di primo approdo ogni responsabilità nei confronti dei profughi.

Certo bisogna trovare le motivazioni per farlo. Io continuo a credere che potrebbe bastare ricordarsi che gli Stati membri dell’Unione europea sono tenuti a prestarsi leale cooperazione fra loro e anche a prestarla alle istituzioni dell’Unione. E pure in spirito di solidarietà. Quella che forse è mancata.

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