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Next Generation EU: qualche proposta per sfruttarlo al meglio

Pietro Salinari venerdì 27 Novembre 2020
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di Pietro Salinari

 

Qualunque proposta di utilizzo di NGEU dovrebbe partire dal prendere in considerazione la situazione dell’Italia, in declino da vari decenni, e quindi porsi l’obiettivo non di tornare all’equilibrio pre-crisi, ma di concorrere a invertire una tendenza negativa consolidata.

In secondo luogo occorre aver ben presenti le cause strutturali che hanno determinato il declino, perché molto probabilmente le stesse cause possono minare l’efficacia delle azioni che si ha intenzione di intraprendere ora.

 

Quali sono le condizioni di partenza

L’Italia sta declinando da vari decenni, scostandosi dai paesi europei a noi paragonabili, perché nelle congiunture favorevoli cresce di meno e in quelle avverse decresce  di più.

 

 

Il grafico mostra l’andamento del PIL, ma innumerevoli indici mostrano una analoga tendenza a scostarsi da Germania e Francia; l’Italia cresce meno perché quasi tutti i suoi fondamentali stanno peggiorando rispetto ai paesi con cui la stiamo confrontando.

Il declino dell’Italia è stato descritto con molta accuratezza dal professor Rodano in un suo libro, in cui non solo si percorre la storia, ma si tenta di analizzare e modellizzare approfonditamente le cause che hanno determinato “la scivolata” (Giorgio Rodano, “Elementi di teoria per la storia economica. Una rilettura dell’Italia dal 1950 a oggi,”, Il Mulino, 12 aprile 2018; il titolo è stato modificato dall’editore, quello originale era: “La lunga scivolata L’economia italiana dal 1950 a oggi”).

Ignazio Visco in un altro lucido saggio ha elencato una dozzina di indicatori del capitale umano e dell’economia della conoscenza che sono pesantemente al di sotto della media europea: mentre era in corso una rivoluzione tecnologica senza precedenti, altri paesi hanno saputo trarne vantaggi molto più di noi (Ignazio Visco, “Investire in conoscenza – Crescita economica e competenze per il XXI secolo”, Il Mulino, 2009. Nel frattempo Visco ha pubblicato altri due volumi, uno nel 2015 e uno a fine 2018, che, come lo stesso autore dichiara, si muovono sulla stessa linea del primo, essenzialmente rilevando come la situazione sia ulteriormente peggiorata. Non so se scorrere l’ultimo o aspettare la probabile revisione quest’anno o nel prossimo).

 

Investire anche nelle precondizioni

Se le cose stanno così, è evidente che qualunque iniziativa in Italia da finanziarsi con i fondi del NGEU deve proporsi non solo di rimediare alla caduta del PIL e all’aumento della disoccupazione conseguenti alla pandemia, ma deve evitare che si ripeta lo scenario delle due crisi precedenti: ripresa da noi più lenta che altrove, e quindi aumento del distacco dalle economie più forti; non solo ma deve anche avere come obiettivo il recupero del terreno perduto precedentemente all’ultima crisi, tentando di agire sulle cause che hanno determinato il declino.

 

Non bastano i soldi: cambiamenti istituzionali e organizzativi sono indispensabili

I testi che ho citato dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i guai dell’Italia, aggravati comunque dalle tre crisi, preesistevano alle crisi stesse, ed erano essenzialmente mossi da una serie di limiti interni: bassa produttività, bassa qualità del capitale umano, un sistema di educazione carente, un’amministrazione pubblica e un sistema giudiziario inefficienti, forti pressioni corporative e localistiche contrapposte all’interesse generale, bassa dimensione media delle imprese, limitata adozione delle innovazioni tecnologiche nei processi produttivi, divario economico e sociale molto ampio e crescente fra Centro Nord e Sud del paese, presenza di aree fortemente refrattarie alla concorrenza.

E’ evidente che queste stesse cause persistono, e quindi, se non affrontate, saranno una palla al piede per la ripresa.

E’ anche evidente e provato dalle esperienze di ristrutturazioni che una situazione distopica non si inverte soltanto riversandoci dei soldi: cambiamenti istituzionali e organizzativi sono indispensabili. Gli investimenti aiutano un processo virtuoso, ma sono condannati ad essere dilapidati se calati in un contesto distopico. In altre parole non è sufficiente che i finanziamenti e i trasferimenti che si spera di ottenere siano sapientemente investiti in progetti con un alto moltiplicatore, facendo tesoro delle distinzioni chiarite da Draghi tra “debito buono” e “debito cattivo”, ma che tali progetti siano inseriti in più vasto disegno istituzionale e organizzativo tendente a creare un ecosistema favorevole allo sviluppo di un’economia della conoscenza, l’unica crescita felice e sostenibile che può assicurare un futuro all’Italia accanto alle altre economie europee.

Queste considerazioni sembrano ovvie, ma in realtà la volontà di non affrontare questi problemi è stata, nei precedenti decenni, assolutamente bipartisan; basta leggere qualcuno degli articoli che Cassese scrive quasi tutti i giorni per rendersi conto che tutti hanno sempre parlato della necessità di rendere più efficiente la P.A. ma quando qualche esponente politico ha provato ad affrontare questi problemi è stato avversato e neutralizzato non solo dalle controparti ma anche dal proprio partito; la stessa cosa vale a proposito di riforme per rendere più efficiente la scuola, motivando e misurando i docenti e i dirigenti. Indicazioni analoghe vengono dal recente libro di Boeri e Rizzo, “Riprendiamoci lo Stato”, in cui si illustrano tutte le difficoltà incontrate nella riforma dell’Inps e si elencano numerosi esempi di scandalosa inefficienza nella P.A., nella scuola, nella magistratura.

 

Gualtieri, Conte e le preoccupazioni di Gentiloni

Purtroppo i segnali che vengono dalla gestione della crisi non fanno sperare che ci stiamo incamminando sulla giusta strada. Nei giorni scorsi Gualtieri è stato oggetto di attacchi ingenerosi, perché non si può pretendere che progetti così complessi siano pronti in pochi giorni. Ma è intollerabile che mentre ci si avvicina a scelte così drammatiche sul futuro del paese, gli studi sui nostri piani d’investimento siano affidati ad una squadra “segreta” di grand commis e manager di Stato (“Task force misteriose-Dieci grand commis e manager al rush finale per presentare il piano”, Giorgio Santilli, Il Sole 24 ore, 22/11/2020) e nessun leader politico senta il bisogno di spiegare ai cittadini quali sono i termini del problema e quale Italia futura si vuole disegnare. D’altra parte è evidente che il curriculum di Gualtieri è di uno storico dell’economia e che ha indiscussi meriti nell’ambito della diplomazia europea; questo sembrava sufficiente quando è stato nominato, ma il caso lo ha portato a dover gestire la più complessa manovra dopo la ricostruzione post bellica; col senno di poi è evidente che le competenze in politica economica di un Padoan e la sua capacità di tener testa sul piano tecnico agli esperti del suo ministero e di Banca d’Italia non sarebbero state di troppo.

Inoltre, benché il premier, parlando giorni or sono all’assemblea nazionale dei Comuni abbia tentato di rassicurarci dicendo che le voci di preoccupazioni di Bruxelles per i nostri ritardi sono “una fake news. È stata inventata di sana pianta”, sono rimasto colpito leggendo che Gentiloni, famoso per le sue buone maniere, per pesare le parole e  per la sua fine diplomazia, si sia spinto, in una intervista al Corriere, sino a ricordare che la tradizione di impiego dei fondi europei da parte dell’Italia “non è stata brillante”. Incuriosito dal tono preoccupato ho fatto una rapida ricerca sul net, e con ancora maggiore sorpresa ho trovato che il Corriere della Sera riporta 5 interventi di Gentiloni, a partire da fine maggio fino all’intervista che ho appena citata, che rivelano una preoccupazione crescente per come l’Italia affronta NGEU.

Se avessi avuto ancora qualche dubbio, mi sarebbero stato fugato da due eccellenti Policy Brief della Luiss School of European Political Economy, scritti da Marco Buti, ex direttore generale per gli affari economici e finanziari della commissione europea e attualmente capo di gabinetto di Gentiloni, e da Marcello Messori, di provate esperienze accademiche e manageriali: “Questa volta l’Italia non può sbagliare”, Marco Buti e Marcello Messori, Luiss School of European Political Economy, Policy Brief 34/2020,  21 agosto 2020 e “Come finalizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dell’Italia”, Marco Buti e Marcello Messori, L.S.E.P.E., Policy Brief 39/2020, 15/11/2020.

 

Le riforme di cui l’Italia ha bisogno

In essi si individuano dettagliatamente tutti i “colli di bottiglia” che hanno condannato negli ultimi decenni l’Italia ad uno sviluppo inferiore di Francia, Germania e della media dell’area Euro, e si afferma che se non si eliminano sarà molto difficile fruire appieno delle opportunità offerte da NGEU. Si osserva anche che le riforme di cui l’Italia ha bisogno, riducendo alcune posizioni di rendita, incontreranno una fiera opposizione. Si offrono anche consigli su come far sì che si riduca l’impatto su alcuni interessi costituiti, al fine di allargare il consenso, a spese d’una sopportabile riduzione dell’efficienza. Si illustra infine una grave preoccupazione da parte degli ambienti progressisti di Bruxelles: siccome all’Italia dovrebbe essere assegnata la parte predominante dei fondi della NGEU, un flop dell’Italia rafforzerebbe la posizione di tutti coloro che si sono opposti alla svolta verso l’attenzione allo sviluppo, alla difesa dell’occupazione, alla mutualizzazione dei rischi etc. recentemente iniziata dalla UE e non ancora compiuta.

Ho compreso quali analisi hanno spinto Gentiloni ad abbandonare i suoi understatement: le decisioni che l’Italia prenderà nei prossimi mesi saranno decisive per determinare se il nostro paese inizierà un percorso di riavvicinamento all’Europa e tornare ad essere uno dei protagonisti di un’Europa più unita e più competitiva o si renderà irreversibile la nostra tendenza verso il sottosviluppo.

 

Se il “sentiero” è ancora “stretto”

In altre parole, Padoan, nel suo “Sentiero stretto”, aveva delineato una prospettiva in cui si riaccendeva il circolo virtuoso di sviluppo e riduzione del debito. Il sentiero tra i due burroni della recessione e del dissesto finanziario era stretto perché l’Italia, a causa del livello di indebitamento e della pressione fiscale già tra le più alte della zona Euro aveva pochissimo spazio di manovra. La nuova situazione, dopo l’impressionante svolta nelle politiche comunitarie, mette a disposizione un largo spazio di manovra: ma i due burroni rimangono ed è evidente che se l’enorme quantità di mezzi non sarà impiegata per riaccendere un vivace sviluppo, e se non si provvederà, a lato degli investimenti, ad allargare tutti i “colli di bottiglia”, il nuovo livello di indebitamento sarà insostenibile. Le dichiarazioni di Sassoli hanno una proterva coerenza: se non si ha nessuna intenzione di affrontare le riforme da lungo tempo rimandate, il problema sarà quello di come gestire una inevitabile insolvenza.

 

Oltre le corporazioni

Purtroppo le distopie italiane sono molto stabili: Mancur Olson ci ha spiegato che le lobby, gli interessi concentrati, hanno molte probabilità di prevalere sull’interesse generale. E in Italia le lobby sono ancor più difficili da contrastare, perché non sono, come in America, prevalentemente espressione di grandi imprese e di Wall Street, ma rappresentano una miriade di interessi corporativi capillari, quindi è arduo, ma nello stesso tempo indispensabile, mobilitare un largo movimento di opinione che supporti riforme radicali. Estenuanti trattative con tutti i gruppi d’interesse sono indispensabili, ma porteranno a compromessi al ribasso se questi confronti non sono inseriti in un più vasto progetto di invertire il declino dell’Italia, condiviso dalla maggioranza dell’opinione pubblica e dai maggiori stakeholders.

Affrontare seriamente, risolutamente e radicalmente questi  problemi costituisce quindi mission impossible? Forse sì e allora dovremmo rassegnarci ad una deriva verso una “situazione argentina” sempre più veloce. Ma qualche segno positivo c’è: la violenza della crisi attuale ha esasperato e reso evidentissime alcune inefficienze macroscopiche, rendendole intollerabili. Mi sembra quindi che sia particolarmente attuale l’esortazione che Keynes fa, nell’ultima pagina della General Theory: “Nel momento presente ci si attende, con un’intensità quale raramente fu raggiunta nel passato, una diagnosi più fondamentale; si è più particolarmente pronti a riceverla; e si è ansiosi di provarla, se essa fosse appena plausibile”.

L’Italia è in attesa che qualche leader politico dica la verità, riconosca i problemi della situazione attuale e indichi una via per superarli, mobilitando tutte le energie economiche e sociali del paese. La mia paura è che se prevarrà, nelle forze potenzialmente riformiste, la mentalità dello struzzo, il malcontento, che è ben diffuso e motivato, si incanalerà verso soluzioni populiste, che riconoscono il problema ma propongono soluzioni mistificanti.

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