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No al protezionismo, ma apertura all’Europa e rilancio della politica industriale

Amedeo Lepore mercoledì 26 Ottobre 2022
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di Amedeo Lepore

 

La formazione del nuovo governo italiano va collegata, per meglio comprendere lo scenario in cui si collocano le scelte da compiere per il prossimo futuro, a una valutazione dello stato dell’economia odierna e a una verifica degli strumenti idonei ad affrontare una situazione molto complessa.

I fenomeni più rilevanti di questa fase sono il Covid-19, il conflitto e il cambiamento climatico, le tre C, come le hanno chiamate Lolwah Al-Khater, Direttore Esecutivo del Forum di Doha, e Brian Finlay, Presidente dello Stimson Center. Questi due centri hanno pubblicato di recente Rethinking Global Cooperation, uno studio comune per presentare un quadro aggiornato delle istituzioni internazionali di governance multilaterale, del tutto indispensabili in un’età di incertezza. La base di tale elaborazione è riferita ai crescenti impatti climatici nel mondo (la prolungata siccità in Medio Oriente e Nord Africa, i monsoni irregolari nell’Asia meridionale e le ondate di caldo record in Europa e Cina), alla permanenza della pandemia (soprattutto nei territori dove si è meno diffuso il vaccino), alla guerra in Ucraina e alle altre ostilità in corso (che ostacolano gli intenti di ripresa e sviluppo sostenibile).

Lo sbocco di questa analisi rimanda a tre obiettivi strategici di cooperazione (riguardanti le nuove generazioni, un patto digitale globale e una rinnovata agenda per la pace), da concretizzare in un “Summit of the Future” promosso dall’ONU per settembre 2024 che, secondo il Segretario Generale António Guterres, potrebbe incoraggiare la formazione di “un nuovo consenso globale su come dovrebbe essere il nostro futuro e su come possiamo assicurarlo”. Dal punto di vista dell’economia, le maggiori minacce vengono dall’incremento esorbitante dei prezzi e dai venti di recessione che, con diversa intensità, hanno iniziato a spirare ovunque.

In un articolo su Le Monde, Anne-Laure Delatte ha affermato che “l’inflazione dimostra l’esaurimento del nostro modello economico”, in quanto, seppure sia tornata attuale la necessità di un intervento pubblico, “le ricette del mondo di prima non saranno efficaci”. Perciò, occorrono politiche e misure innovative per fronteggiare la sfida contemporanea, che corrisponde alla costruzione di paradigmi inediti per la produzione e il consumo. Per la studiosa del CNRS, il processo inflattivo riflette una serie di scarsità (di merci, materie prime, energia e trasporti), accumulate perlomeno dal 2020 in poi, che hanno determinato una condizione di grave instabilità economica. Il passaggio da un’epoca di abbondanza a una di penuria, non a caso richiamato ultimamente da Emmanuel Macron, segna la linea di demarcazione tra una forma tradizionale di capitalismo cui eravamo abituati e il percorso faticoso da intraprendere in tempi rapidi per superare le criticità e avviare una nuova prospettiva di crescita. La maturazione di una modifica nell’orientamento monetario delle banche centrali, con la riduzione della protezione del debito pubblico attraverso minori acquisti di obbligazioni e maggiori tassi d’interesse, verrà confermata dalla riunione della BCE di questa settimana, che, di fronte a un indice dei prezzi al consumo in salita del 10,9% nell’Unione Europea e del 9,9% nell’eurozona, si appresta a un rialzo dei tassi stessi pari a 75 punti base. Tale impostazione richiede scelte di fondo, che assicurino il contenimento della spesa improduttiva e privilegino gli investimenti nell’industria, nella ricerca e nell’innovazione tecnologica, attraverso politiche fiscali coordinate a livello europeo.

L’Economist Intelligence Unit, in questi giorni, ha presentato un rapporto sulle dinamiche industriali dell’anno venturo, mettendo in evidenza squilibri, opportunità e tendenze in vari comparti. Le previsioni per il 2023, in un’ottica volta a considerare le differenti conseguenze dell’inflazione a seconda dei settori, mostrano alcune imprese (come quelle che trattano materie prime) beneficiate dai prezzi elevati, mentre molte altre patiranno danni notevoli a causa di una domanda fiacca e di costi di approvvigionamento, soprattutto energetico, cospicui. D’altro canto, la redditività industriale diminuirà, mentre gli investimenti aziendali potranno subire un rallentamento per effetto dell’aumento dei tassi d’interesse. L’EIU, in definitiva, ritiene che il prossimo sarà un anno cupo, ma potrà anche essere caratterizzato dall’avvio di un’azione di trasformazione. Per dare impulso a una rigenerazione produttiva nel pieno di un’ondata di crisi, allora, è impellente una strategia diretta a “investire per battere il mostro dell’inflazione”, come ha titolato un articolo del Financial Times. Infatti, dopo mezzo secolo, il pericolo di una dura stagflazione è diventato nuovamente reale. Da questa circostanza avversa, però, si potrebbe ricavare un elemento positivo, ribaltando una percezione abituale del rischio con la capacità di valutare che l’impiego di risorse in attività industriali offre uno schermo a lungo termine contro l’inflazione più sicuro della liquidità o del mero risparmio.

Questi temi di essenziale importanza pongono al governo appena insediato un insieme di interrogativi, che solo con una decisa spinta al rilancio dell’industrializzazione e all’apertura europea e internazionale, ben oltre vecchie forme di protezionismo, possono trovare risposta adeguata.

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